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Affidamento terapeutico: no se c’è pericolosità

La Corte di Cassazione ha confermato il diniego di affidamento terapeutico a un condannato per gravi reati, nonostante la sua presunta alcol-dipendenza. La decisione si fonda sulla valutazione della sua elevata e attuale pericolosità sociale, ritenuta un ostacolo insuperabile per la concessione della misura alternativa, rendendo irrilevante l’accertamento sulla genuinità della dipendenza.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento terapeutico negato: la pericolosità sociale prevale sulla dipendenza

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 29513/2025, ha stabilito un principio fondamentale in materia di misure alternative alla detenzione: l’affidamento terapeutico non può essere concesso se il condannato presenta un profilo di elevata e attuale pericolosità sociale. Questa valutazione prevale anche sulla necessità di un percorso di cura per una dipendenza, come quella da alcol.

I Fatti del Caso

Un uomo, condannato a scontare una pena residua di oltre quattro anni per gravi reati tra cui associazione a delinquere finalizzata a reati contro la pubblica amministrazione, ha presentato istanza per ottenere l’affidamento terapeutico. A sostegno della sua richiesta, ha addotto uno stato di alcol-dipendenza, documentato da certificati medici e da una proposta di programma terapeutico semiresidenziale. Il suo profilo criminale, tuttavia, era particolarmente complesso, includendo un precedente per omicidio risalente nel tempo e un carico pendente per corruzione aggravata.

La Decisione del Tribunale di Sorveglianza

Il Tribunale di Sorveglianza aveva già respinto la richiesta in prima istanza. I giudici avevano basato la loro decisione su due pilastri: l’elevata pericolosità sociale del condannato e il forte dubbio sulla strumentalità della sua dichiarata dipendenza. Secondo il Tribunale, la richiesta di aiuto e l’inizio di un programma di recupero erano avvenuti solo a ridosso della definitività della condanna, sollevando sospetti sulla loro genuinità. Inoltre, la gravità dei reati commessi, i precedenti e i possibili collegamenti con la criminalità organizzata dipingevano un quadro di pericolosità incompatibile con una misura alternativa.

L’affidamento terapeutico e i motivi del ricorso

La difesa ha impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione, sostenendo che la motivazione del Tribunale fosse apparente e che non avesse adeguatamente valutato la documentazione medica presentata. Secondo il ricorrente, il giudizio sulla pericolosità si basava su fatti troppo datati e su elementi non provati, ignorando la necessità di un percorso di cura. Si contestava, in sostanza, che il dubbio sulla condizione del condannato fosse stato utilizzato contro di lui, anziché spingere il giudice ad approfondire gli accertamenti.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la decisione del Tribunale di Sorveglianza e offrendo una chiara interpretazione dei requisiti per l’affidamento terapeutico.
I giudici hanno chiarito che la concessione di questa misura richiede una valutazione complessiva e non si limita alla sola verifica dello stato di dipendenza. Il punto cruciale, secondo la Corte, è il giudizio prognostico sulla probabilità che il programma di recupero contribuisca non solo alla disintossicazione, ma anche a prevenire la commissione di nuovi reati.

In quest’ottica, la valutazione della pericolosità sociale del soggetto diventa un passaggio preliminare e imprescindibile. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che il Tribunale avesse correttamente motivato l’elevata pericolosità del condannato sulla base di elementi concreti e non meramente apparenti: l’estrema gravità dei reati in esecuzione, il precedente per omicidio volontario e l’attuale sottoposizione alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale. Questi fattori, nel loro insieme, attestano l’assenza di un’evoluzione positiva della personalità del condannato e la sua persistente pericolosità.

Di fronte a un giudizio di pericolosità così fondato, la questione della genuinità della dipendenza diventa, secondo la Corte, irrilevante. L’affidamento in prova, infatti, presuppone la collaborazione del soggetto, una condizione che viene negata in radice dalla sua stessa condizione di persona pericolosa. Pertanto, anche se la dipendenza fosse stata pienamente provata, la misura non avrebbe potuto essere concessa.

Conclusioni

La sentenza ribadisce con forza che l’obiettivo dell’affidamento terapeutico non è solo la cura, ma anche la risocializzazione e la prevenzione del crimine. Quando un condannato presenta un profilo di pericolosità sociale elevato e attuale, questo obiettivo è ritenuto irraggiungibile. La pericolosità sociale agisce come un ostacolo preliminare che rende superfluo l’esame di altri requisiti, come lo stato di dipendenza. Per accedere a misure alternative, specialmente in presenza di un passato criminale significativo, è necessario dimostrare un’evoluzione positiva della propria personalità, tale da offrire garanzie di un effettivo reinserimento nel consorzio civile.

È sufficiente dimostrare uno stato di dipendenza per ottenere l’affidamento terapeutico?
No, non è sufficiente. La sentenza chiarisce che il giudice deve effettuare una valutazione complessiva che include la pericolosità sociale del condannato. Se questa è ritenuta elevata e attuale, l’affidamento può essere negato anche in presenza di una dipendenza accertata.

La valutazione sulla pericolosità sociale può basarsi su reati molto vecchi?
Sì, ma non solo. La Corte ha ritenuto legittimo considerare la “estrema gravità” dei reati per cui è in corso la pena e anche un precedente per omicidio, seppur datato, come parte dell’analisi della personalità. Tuttavia, questa valutazione è stata rafforzata da elementi più recenti, come la sottoposizione alla sorveglianza speciale.

Cosa accade se il giudice dubita che la richiesta di affidamento terapeutico sia genuina?
Nel caso specifico, la Corte ha stabilito che la valutazione della pericolosità sociale del condannato è prioritaria. Avendo ritenuto il soggetto socialmente pericoloso, la Corte ha considerato irrilevante approfondire il dubbio sulla “strumentalità” della domanda, poiché la pericolosità stessa era già un motivo sufficiente per rigettare la richiesta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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