Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 37523 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 37523 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 02/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A. L. COGNOME nato
I
ai GLYPH omissis
avverso l’ordinanza del 20/02/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di L’AQUILA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Milano ha dichiarato inammissibile l’istanza di concessione della misura alternativa dell’affidamento in prova in casi particolari, ex art. 94 d.P.R. 09 ottobre 1990, n. 309 del 1990, presentata nell’interesse di RAGIONE_SOCIALE rilevando esser riconnpreso, nel titolo in esecuzione, un reato rientrante nel novero di quelli indicati dall’art. 4 -bis legge 26 luglio 1975, n. 354 ed essendo la pena espianda eccedente il limite di ammissibilità dei quattro anni. Il Tribunale di sorveglianza, inoltre, ha rigettato l’istanza ex artt. 147 cod. pen. e 47 -ter comma 1 -ter Ord. pen., reputando insussistenti – sulla scorta della relazione medica del 16 febbraio 2024 – i presupposti legittimanti il rinvio dell’esecuzione della pena, potendo le patologie da cui è affetto il condannato essere costantemente controllate e adeguatamente curate all’interno dell’istituto penitenziario nel quale egli è allocato, ovvero mediante l’effettuazione di visite e consulenze specialistiche in luoghi di cura esterni, ai sensi dell’art. 11 Ord. pen.
Ricorre per cassazione GLYPH RAGIONE_SOCIALE> , per il tramite dell’avv. NOME COGNOME deducendo due motivi, che vengono di seguito riassunti entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, viene lamentata inosservanza ed erronea applicazione della normativa sulla concedibilità della misura di cui all’art. 94 d.P.R. n. 309 del 1990, nonché mancanza di motivazione, per avere il Tribunale di sorveglianza omesso di considerare come la pena irrogata – in relazione al reato ostativo alla concessione della misura dell’affidamento in prova terapeutico – sia già stata interamente espiata dal condannato.
La Corte costituzionale, con la pronuncia n. 32 del 2022, ha inoltre statuito che – in caso di cumulo, materiale o giuridico, di pene inflitte per divers titoli di reato, alcuni dei quali soltanto siano ostativi alla fruizione dei bene penitenziari – occorre procedere allo scioglimento del cumulo, venendo meno l’impedimento, qualora l’interessato abbia già espiato la parte di pena relativa ai predetti reati.
2.2. Con il secondo motivo, viene dedotta violazione degli artt. 147 cod. pen. e 47 -ter, comma 1 -ter, Ord. pen., per avere il decidente ritenuto che lo stato di salute del condannato sia compatibile con il regime carcerario, nonostante le sue condizioni siano rimaste invariate, rispetto a quelle che avevano giustificato in un primo tempo la concessione – oltre che la proroga, in un momento successivo – del rinvio dell’esecuzione della pena nella forma della
detenzione domiciliare.
Invero, dalla relazione sanitaria del 16 febbraio 2024 si evince la necessità che il ricorrente viva in spazi ampi, onde evitare che subisca urti o incorra in traumi accidentali; di conseguenza, la mancata prosecuzione della detenzione domiciliare potrebbe arrecare allo stesso un grave pregiudizio fisico, tenuto conto del sovraffollamento delle celle e degli spazi condivisi; ne deriverebbe una compromissione delle finalità di reinserimento sociale insite nel percorso rieducativo, in quanto il condannato non sarebbe in condizioni di poter prendere parte fattivamente alle attività trattamentali proposte dagli educatori. Inoltre, il Tribunale di sorveglianza avrebbe dovuto verificare le effettive condizioni del condannato attraverso un’apposita perizia.
3. Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
4. La difesa, con separata memoria, ha chiesto la rimessione alle Sezioni Unite della seguente questione, oggetto di contrasto giurisprudenziale: “se l’art. 94 d.P.R. n. 309 del 1990 consenta o meno lo scioglimento virtuale del cumulo di pene in cui sono ricomprese condanne per reati nell’art. 4 -bis Ord. pen., quando occorre procedere al giudizio sull’ammissibilità della richiesta di concessione dell’affidamento in prova in casi particolari (o di prosecuzione della medesima misura) formulata da un condannato che debba espiare un residuo di pena detentiva inferiore a sei anni, ma superiore a quattro anni e quando il richiedente abbia espiato la parte di pena irrogata per i reati ostativi”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Per ciò che attiene alla questione posta con il primo motivo, questo Collegio – sebbene sia consapevole dell’esistenza anche di un contrario orientamento, formatosi nella giurisprudenza di legittimità (posizione espressa, fra le altre, da Sez. 1, n. 13041 del 11/12/2020, dep. 2021, Strano, rv. 280982 e da Sez. 1, n. 2285 del 03/12/2013, dep. 2014, COGNOME, rv. 258403) – intende purtuttavia dar seguito alla soluzione ermeneutica adottata da Sez. 1, n. 29873 del 24/03/2023, Giuffreda, rv. 284824, a mente della quale: «In tema di affidamento in prova terapeutico, prevedendo la condizione di accesso alla misura che la pena detentiva inflitta o ancora da espiare sia contenuta nel limite di sei anni ovvero di quattro anni, se relativa a titolo esecutivo comprendente reati di cui all’art. 4 -bis, legge 26 luglio 1975 n. 354, non è consentita la
scissione virtuale del cumulo, in caso di pena da espiare superiore ai quattro anni, al fine di imputare quella già espiata ai reati in questione»; nello stesso senso, si vedano Sez. 1, n. 23279 del 03/03/2021, COGNOME, rv. 281613; Sez. 1, n. 12339 del 20/02/2020, COGNOME, rv. 278701; Sez. 1, n. 42088 del 18/07/2019, COGNOME, rv. 277294)
2.1. Il principio della scindibilità del cumulo, posto a fondamento dell’opposta interpretazione della norma, non può trovare applicazione, infatti, allorquando la misura alternativa richiesta sia – come avviene nella concreta fattispecie – l’affidamento terapeutico, ostandovi il dato testuale ricavabil dall’art. 94 d.P.R. n. 309 del 1990. Tale disposizione stabilisce la applicabilità dell’affidamento in prova al servizio sociale, nei casi particolari di condannati, tossicodipendenti o alcooldipendenti in trattamento, o che intendano sottoporsi al programma di recupero, parametrandola alla misura della pena detentiva inflitta, ovvero di quella residua da espiare; la norma sancisce altresì – quale condizione di ammissibilità della suddetta misura alternativa – che la sanzione espianda non debba eccedere la soglia dei sei anni ovvero – più rigorosamente di quattro anni, laddove essa inerisca a titolo esecutivo comprendente anche una delle fattispecie di reato di cui all’art. 4 -bis legge 26 luglio 1975, n. 354.
In maniera dissimile rispetto alla previsione relativa ad altri benefici penitenziari, il criterio discretivo dettato dalla norma è rappresentato dal fatt che sia ricompresa – o meno – nel titolo in esecuzione, una delle ipotesi ostative ex art. 4 -bis Ord. pen. Tale disposizione è testuale e non può essere minimamente tacciata di incoerenza sistematica, per essere essa, al contrario, funzionale alla necessità di disciplinare e circoscrivere – in modo maggiormente rigoroso – la applicazione della misura alternativa in esame, in relazione al più alto grado di pericolosità delle diverse tipologie di condannati, normativamente apprezzata sulla base del generale canone rappresentato dall’entità della pena (Sez. 1, n. 41322 del 07/10/2009, Francavilla, rv 245057).
2.2. L’esegesi normativa contenuta nell’orientamento preferito da questo Collegio, del resto, è perfettamente combaciante anche con il tenore della sentenza n. 33 del 2022 della Corte cost. Questa non riguardava specificamente il tema dei presupposti di concedibilità dell’affidamento ex art. 94 T.U. stup; sebbene indicasse la necessità di procedere all’effettuazione dello scorporo auspicato dalla difesa, faceva riferimento a richiesta di accesso alle misure alternative alla detenzione di cui agli artt. 47, 47 -ter e 50 Ord. pen., presentata da un condannato in regime di cui all’art. 656 comma 10 cod. proc. pen.; trattavasi, in definitiva, di una situazione non assimilabile a quella ora sottoposta al vaglio di questa Corte.
2.3. Adeguandosi al sopra richiamato principio di diritto, l’avversato provvedimento dipana argomentazioni conformi alla richiamata normativa: qualora il titolo esecutivo comprenda (anche) un reato c.d. «ostativo», la soglia per la concessione del beneficio penitenziario de quo è quella di complessivi quattro anni di detenzione. Si tratta di un riferimento testuale, non superabile grazie al meccanismo dello scioglimento del cumulo, che – mediante la considerazione atomistica delle plurime condanne riportate dal medesimo soggetto – andrebbe ad eludere i limiti fissati dall’art. 94 T.U. stup., portando a ipotizzare la sussistenza di termini dì ammissibilità differenti, relativamente alle più condanne ricomprese nello stesso cumulo in espiazione.
Per ciò che inerisce al secondo motivo, giova integrare brevemente la ricostruzione storica e oggettiva già sintetizzata in parte narrativa, ricordando che:
con ordinanza datata 11 maggio 2023, il Tribunale di sorveglianza di L’Aquila ha concesso ad GLYPH A.L. GLYPH per la durata di mesi quattro, la detenzione domiciliare ai sensi dell’art. 47-ter comma 1-ter Ord. pen.;
il Magistrato di sorveglianza ne ha disposto la proroga, con provvedimento in data 11 settembre 2023, in quanto il decorso clinico post operatorio era stato stimato in sei mesi dall’intervento, avvenuto in data 27 giugno 2023, tenuto anche conto del fatto che il paziente necessita di evitare traumi all’arto e, pertanto, deve potersi muovere in spazi ampi;
la relazione dell’ASL del giorno 11 ottobre 2023 (redatta in vista dell’udienza del 12/10/2023 poi rinviata fino al giorno in cui è stato emesso il provvedimento impugnato) stabilisce che: “il quadro clinico è ancora in evoluzione…sì tratta di una condizione certamente compatibile con il regime carcerario; occorre tuttavia considerarsi che, almeno per i prossimi 3-4 mesi, l’ambiente carcerario, con gli spazi necessariamente confinanti, e le plausibili dinamiche interne possano compromettere la completa guarigione della frattura”.
3.1. Il vulnus della prospettazione difensiva si annida, allora, nella mancata indicazione – puntuale e specifica – della tipologia di cure eventualmente somministrabili all’esterno e, in ipotesi difensiva, non garantite al condannato durante la permanenza in ambiente carcerario. Snodandosi secondo la direttrice della critica meramente contestativa e fortemente assertiva, la doglianza omette, infatti, di precisare quali siano le terapie, ovvero le forme di assistenza, destinate a rimanere carenti durante la restrizione.
3.2. Del resto, la relazione dell’Asl dell’Il ottobre 2023 riferisce di un condizione compatibile con il regime carcerario e prosegue con la raccomandazione di evitare al ricorrente possibili urti e di garantirgli
costantemente spazi idonei ad un libero movimento.
La stessa richiesta di ulteriore accertamento istruttorio, anche con il conferimento di incarico peritale, formulata dalla difesa, è infine restata privo di adeguata indicazione delle ragioni da cui trae origine, tanto da rimanere ferma allo stadio della mera asserzione.
Alla luce delle considerazioni che precedono, si impone il rigetto del ricorso; segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Ricorrendone le condizioni, infine, deve essere disposta l’annotazione di cui all’art. 52, comma 1, del decreto legislativo 20 giugno 2003, n. 196, recante il “codice in materia di protezione dei dati personali”.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/0 quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, 02 luglio 2024.