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Affidamento terapeutico: la valutazione del programma

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30271/2025, ha annullato un’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza che negava l’affidamento terapeutico a un condannato. La Corte ha stabilito che il giudice di merito non può limitarsi a considerare la pericolosità sociale derivante dai reati passati, ma deve compiere una valutazione specifica e approfondita sull’idoneità del programma di recupero in atto a prevenire la recidiva, colmando così una ‘lacuna motivazionale’.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento Terapeutico: Non Basta la Pericolosità, Serve Valutare il Percorso

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 30271/2025) ha ribadito un principio fondamentale in materia di esecuzione della pena: nella valutazione di una richiesta di affidamento terapeutico, il giudice non può fermarsi alla pericolosità sociale del condannato, ma deve analizzare in modo specifico l’idoneità del programma di recupero a contenere il rischio di recidiva. Questo approccio sposta il focus dal passato criminale al futuro riabilitativo della persona.

Il Caso in Esame: Una Richiesta di Affidamento Negata

Il caso riguardava un uomo condannato a una pena complessiva di oltre cinque anni di reclusione per una serie di reati gravi, tra cui bancarotta fraudolenta, reati di violenza e sessuali, commessi in un lungo arco temporale. Trovandosi in uno stato di dipendenza da cocaina, e dovendo scontare una pena superiore a quattro anni, l’unica misura alternativa percorribile era l’affidamento terapeutico previsto dall’art. 94 del D.P.R. 309/90.

Il Tribunale di Sorveglianza aveva rigettato la richiesta, motivando la decisione sulla base di diversi elementi:
* La pluralità e gravità dei reati commessi.
* La presunta strumentalità della richiesta, presentata a ridosso dell’esecuzione della pena.
* L’inopportunità di un’offerta di lavoro nello stesso settore in cui era stata commessa la bancarotta.
* L’assenza di una revisione critica da parte del condannato sui reati commessi.

I Motivi del Ricorso e l’Analisi sull’Affidamento Terapeutico

La difesa ha impugnato l’ordinanza, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione. Secondo il ricorrente, il Tribunale aveva omesso di valutare elementi positivi cruciali, come le condotte riparatorie tenute nel procedimento per bancarotta (sintomo di resipiscenza) e l’effettiva prosecuzione del percorso terapeutico, iniziato ben prima di quanto ritenuto dai giudici. Si contestava, in sostanza, una valutazione superficiale e incentrata unicamente sugli aspetti negativi della personalità del condannato, senza approfondire le potenzialità del programma di recupero in atto.

La Decisione della Cassazione: La ‘Lacuna Motivazionale’

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando la decisione e rinviando il caso per un nuovo giudizio. Il cuore della sentenza risiede nell’individuazione di una ‘evidente lacuna motivazionale’ nel provvedimento impugnato.

I giudici di legittimità hanno chiarito che, sebbene la valutazione sulla personalità del condannato e sui suoi precedenti penali sia un passaggio necessario, essa rappresenta solo il punto di partenza. L’analisi non può esaurirsi qui. Quando si tratta di affidamento terapeutico, la legge impone una valutazione prognostica sull’idoneità del programma a prevenire la commissione di futuri reati.

Il Tribunale di Sorveglianza, invece, si era limitato a descrivere un ‘astratto pericolo di recidivanza’ basato sul passato, senza verificare concretamente se il percorso terapeutico intrapreso fosse in grado di contenere tale pericolo.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha sottolineato che, una volta accertata la condizione di tossicodipendenza e l’avvio di un programma terapeutico, il giudice ha il dovere di procedere a una ‘specifica valutazione del programma in atto, dei risultati eventualmente raggiunti, della concreta volontà di collaborare’ del condannato. Deve, inoltre, considerare le ‘eventuali ragioni per le quali una prognosi negativa possa essere ancorata alla pericolosità del condannato come ricavata dai precedenti penali e dagli atti’.

In altre parole, non è sufficiente dire che una persona è pericolosa a causa dei suoi precedenti. È necessario spiegare perché, nonostante un programma di recupero in corso, quella pericolosità rimane attuale e non contenibile. Nel caso di specie, questa analisi era del tutto mancata, rendendo la motivazione del diniego illogica e incompleta.

Conclusioni: Cosa Cambia per l’Affidamento Terapeutico

Questa sentenza rafforza la centralità del progetto riabilitativo nell’ambito dell’affidamento terapeutico. Per i giudici di sorveglianza, ciò comporta l’obbligo di andare oltre i ‘profili di fatto’ del passato criminale per condurre un’analisi dinamica e proiettata al futuro. La valutazione deve concentrarsi sull’efficacia del percorso di cura e sulla reale possibilità di recupero del condannato.

Di conseguenza, anche un soggetto con un curriculum criminale significativo può accedere alla misura alternativa, a condizione che il programma terapeutico sia ritenuto, a seguito di un’attenta e approfondita valutazione, uno strumento valido per neutralizzare il rischio di recidiva e favorire il suo reinserimento sociale.

Un condannato con un passato criminale grave può ottenere l’affidamento terapeutico?
Sì. Secondo la Corte, la gravità dei reati passati e la pericolosità sociale del condannato sono solo il punto di partenza della valutazione. L’elemento decisivo è l’idoneità del programma terapeutico in corso a prevenire la commissione di nuovi reati.

Cosa deve valutare il Tribunale di Sorveglianza in una richiesta di affidamento terapeutico?
Il Tribunale non deve limitarsi a considerare i precedenti penali, ma deve procedere a una specifica valutazione del programma terapeutico: i risultati già raggiunti, la concreta volontà di collaborazione del condannato e la possibilità di ottenere risultati positivi per contenere il rischio di recidiva.

Se la richiesta di intraprendere un percorso terapeutico avviene in prossimità dell’esecuzione della pena, è automaticamente considerata ‘strumentale’?
No. Anche se il percorso è iniziato in prossimità dell’esecuzione della pena, la Corte ha stabilito che se risulta provato che il programma è stato effettivamente intrapreso e proseguito, il giudice deve valutarne il merito e l’efficacia, superando il solo sospetto di strumentalità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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