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Affidamento in prova: valutazione post-reato

La Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza di un Tribunale di Sorveglianza che negava l’affidamento in prova a un detenuto. La Corte ha stabilito che, ai fini della concessione della misura, la valutazione deve concentrarsi sulla condotta tenuta dal condannato dopo il reato e sul suo percorso di reinserimento sociale, piuttosto che sulla gravità dei fatti commessi in un passato lontano o su generiche difficoltà di controllo dell’attività lavorativa proposta.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in prova: la condotta successiva al reato è decisiva

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7700 del 2024, torna a pronunciarsi sui criteri per la concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale, ribadendo un principio fondamentale: la valutazione del giudice deve incentrarsi sul percorso evolutivo del condannato e non può essere ancorata esclusivamente alla gravità dei reati commessi in passato. Questa decisione annulla un’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza che aveva negato la misura alternativa basandosi su motivazioni ritenute illogiche e generiche.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un uomo condannato per reati di estorsione e usura aggravata, commessi oltre un decennio prima. Durante la detenzione, l’uomo aveva mantenuto una condotta carceraria regolare, mostrando impegno nell’attività lavorativa e un forte legame con la famiglia. Nonostante questi elementi positivi, il Tribunale di Sorveglianza di Roma aveva rigettato la sua istanza di affidamento in prova. Le ragioni del diniego erano due: la mancata espressione di un parere da parte del Gruppo di Osservazione e Trattamento (G.O.T.) sulla misura richiesta e la presunta impossibilità di controllare efficacemente l’attività lavorativa che il condannato avrebbe svolto presso l’azienda di famiglia. Contro questa decisione, il condannato ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione.

I principi per la concessione dell’affidamento in prova

La Corte Suprema accoglie il ricorso, cogliendo l’occasione per riaffermare i principi consolidati in materia. L’affidamento in prova non è una ricompensa, ma uno strumento finalizzato al reinserimento sociale del condannato. Per questo motivo, la prognosi sulla sua riuscita deve basarsi su un’analisi completa e attuale della personalità del soggetto.

La giurisprudenza ha chiarito che elementi come la gravità del reato originario o la mancata ammissione di colpevolezza non possono, da soli, giustificare un diniego. Ciò che conta è il processo critico, anche se solo avviato, rispetto al proprio passato. La valutazione deve partire dai reati commessi, ma non può prescindere dall’analisi della condotta post delictum, ovvero successiva ai fatti. Indicatori positivi come l’assenza di nuove denunce, l’adesione a valori socialmente condivisi, una vita familiare stabile e una buona prospettiva di risocializzazione sono essenziali per ponderare il rischio di recidiva.

Le motivazioni della Cassazione

La Corte ha giudicato la motivazione del Tribunale di Sorveglianza come palesemente contraddittoria e carente. Da un lato, il Tribunale riconosceva numerosi elementi positivi nel percorso del detenuto; dall’altro, li svalutava opponendo un diniego basato su argomentazioni illogiche.

In primo luogo, l’assenza del parere del G.O.T. non può essere un ostacolo insormontabile. In secondo luogo, e più importante, l’affermazione sulla ‘non controllabilità’ dell’attività lavorativa è stata ritenuta generica. Il Tribunale, infatti, non ha spiegato concretamente perché le modalità lavorative proposte sarebbero state inadatte a un efficace controllo, limitandosi a un’asserzione astratta. La Corte ha sottolineato come il Tribunale abbia omesso di condurre un’analisi approfondita della condotta del condannato successiva ai reati, ormai molto risalenti nel tempo, e di valutare seriamente il concreto pericolo di reiterazione dei reati.

Le conclusioni

In conclusione, la Cassazione ha annullato l’ordinanza impugnata, rinviando il caso al Tribunale di Sorveglianza di Roma per un nuovo esame. Quest’ultimo dovrà attenersi ai principi enunciati: la valutazione per l’affidamento in prova deve essere dinamica, proiettata al futuro e basata su un’analisi concreta e individualizzata della personalità del condannato, valorizzando il percorso rieducativo e la condotta tenuta dopo la commissione del reato. Le motivazioni di un eventuale diniego non possono fondarsi su ostacoli formali o su affermazioni generiche e non dimostrate.

La gravità di un reato commesso molti anni fa può essere l’unico motivo per negare l’affidamento in prova?
No. Secondo la Corte, la gravità del reato per cui si è stati condannati è solo il punto di partenza dell’analisi. La valutazione decisiva deve riguardare la personalità del soggetto e la sua evoluzione successiva al fatto, al fine di formulare una prognosi sul suo reinserimento sociale.

Cosa deve valutare principalmente il Tribunale di Sorveglianza in una richiesta di affidamento in prova?
Il Tribunale deve valutare in modo completo la personalità del richiedente, dando peso essenziale alla condotta tenuta dopo il reato e ai comportamenti attuali. Elementi come l’assenza di nuove denunce, l’adesione a valori socialmente condivisi, l’attaccamento al contesto familiare e una buona prospettiva di risocializzazione sono fondamentali per valutare l’esistenza di un effettivo processo di recupero e prevenire il pericolo di recidiva.

Un Tribunale può negare l’affidamento in prova affermando genericamente che l’attività lavorativa proposta non è controllabile?
No. La Corte ha stabilito che un’affermazione del genere è troppo generica se non è supportata da una spiegazione concreta delle ragioni per cui le modalità di svolgimento dell’attività lavorativa sarebbero inidonee a consentire gli opportuni controlli. La motivazione deve essere specifica e dettagliata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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