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Affidamento in prova: valutazione negativa e rigetto

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione del Tribunale di Sorveglianza di negare l’affidamento in prova a un detenuto. Nonostante alcuni progressi e pareri favorevoli, la valutazione complessiva della personalità, segnata da episodi negativi recenti e un’attitudine inaffidabile, ha portato al rigetto. La sentenza sottolinea che, per la concessione della misura, è necessaria una valutazione globale che escluda pericoli di recidiva, e la persistenza di segnali allarmanti giustifica il diniego.

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Pubblicato il 3 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in Prova: Quando i Segnali Negativi Prevalgono sui Progressi

L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta uno strumento fondamentale nel nostro ordinamento per favorire il reinserimento sociale del condannato. Tuttavia, la sua concessione non è automatica e dipende da una rigorosa valutazione della personalità del richiedente. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito che, anche in presenza di elementi positivi, la persistenza di segnali allarmanti può legittimamente condurre al rigetto dell’istanza. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un detenuto che, dovendo scontare una pena residua di oltre tre anni per reati gravi come truffa, usura e associazione a delinquere, aveva richiesto di essere ammesso all’affidamento in prova. Il Tribunale di Sorveglianza aveva respinto la sua istanza. La decisione si basava su una valutazione complessivamente negativa della sua personalità, nonostante alcuni recenti segnali di riflessione sul proprio passato. A pesare sul giudizio erano stati diversi fattori: i numerosi precedenti penali, la revoca di un’autorizzazione al lavoro esterno per violazione delle prescrizioni e una sanzione disciplinare recente per condotta irregolare in carcere, che aveva portato anche a un rinvio a giudizio.

Il Ricorso in Cassazione

Il condannato, tramite il suo legale, ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la decisione del Tribunale fosse incongrua e parziale. Secondo la difesa, i giudici non avrebbero tenuto nel dovuto conto alcuni elementi a suo favore, tra cui:
* Il parere favorevole espresso dagli organi dell’amministrazione penitenziaria.
* Il comportamento positivo tenuto durante un recente periodo di detenzione domiciliare.
* L’autorizzazione a svolgere attività lavorativa di cui aveva fruito in quel periodo.
* La lontananza nel tempo dei reati per cui era stato condannato.

In sostanza, il ricorrente chiedeva una rilettura più favorevole degli elementi raccolti, che a suo dire avrebbero dovuto condurre a un esito positivo.

Le motivazioni della Cassazione sull’affidamento in prova

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione del Tribunale di Sorveglianza. I giudici supremi hanno ribadito un principio cardine in materia: la valutazione per la concessione dell’affidamento in prova rientra nella discrezionalità del giudice di merito e si deve fondare su un giudizio prognostico complessivo.

La Corte ha spiegato che, ai fini della decisione, il giudice deve considerare non solo gli elementi positivi, ma anche e soprattutto quelli negativi che possono indicare un percorso di reinserimento non ancora maturo. Nel caso specifico, il Tribunale aveva correttamente bilanciato gli aspetti favorevoli (come la recente inclinazione a una nuova progettualità affettiva e lavorativa) con quelli allarmanti (l’inaffidabilità lavorativa, la violazione delle prescrizioni e l’illecito disciplinare).

È stato sottolineato come l’affidamento in prova richieda “mature capacità di autogestirsi”, capacità che il Tribunale, con motivazione logica e coerente, ha ritenuto non ancora possedute dal condannato. L’ambivalenza delle informazioni raccolte e la persistenza di segnali preoccupanti hanno supportato un giudizio complessivo di inidoneità alla misura, che si basa in larga parte sulla responsabilità e l’autogestione del soggetto.

Conclusioni

La sentenza riafferma che il percorso verso l’ammissione a una misura alternativa come l’affidamento in prova è complesso. Non basta mostrare alcuni segnali di cambiamento se persistono elementi che dipingono un quadro di inaffidabilità e di mancata interiorizzazione delle regole. La decisione del giudice deve essere frutto di un’analisi globale e approfondita, finalizzata a prevenire il pericolo che il condannato commetta altri reati. Pertanto, una motivazione che bilancia in modo logico tutti gli elementi, positivi e negativi, e conclude per l’inidoneità del soggetto, è da considerarsi legittima e non censurabile in sede di Cassazione.

Per ottenere l’affidamento in prova è sufficiente dimostrare alcuni progressi nel percorso rieducativo?
No, non è sufficiente. La Corte ha chiarito che il giudice deve effettuare una valutazione complessiva della personalità del condannato. Anche in presenza di elementi positivi, la persistenza di segnali allarmanti e di un’inaffidabilità di fondo può giustificare il rigetto della richiesta.

Il parere favorevole dell’amministrazione penitenziaria è vincolante per il giudice?
No. Il parere degli organi penitenziari è un elemento importante che il giudice deve considerare, ma la decisione finale spetta al Tribunale di Sorveglianza, che valuta autonomamente tutti gli elementi a disposizione per formare il proprio convincimento.

Cosa valuta la Corte di Cassazione in un ricorso contro il rigetto dell’affidamento in prova?
La Corte di Cassazione non riesamina i fatti del caso né sostituisce la propria valutazione a quella del giudice di merito. Il suo compito è verificare la legittimità della decisione, controllando che la motivazione sia logica, coerente, non contraddittoria e basata sulla corretta applicazione dei principi di legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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