Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 38854 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 38854 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a TAURIANOVA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 22/05/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 22 maggio 2024 il Tribunale di sorveglianza di Roma ha accolto la richiesta presentata da NOME COGNOME di concessione della misura della detenzione domiciliare, per l’espiazione di una condanna per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/1990 e vari reati fine, respingendo invece la richiesta di concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale.
Il Tribunale ha ritenuto non concedibile l’affidamento in prova perché tale misura, che comporta ampi e incontrollati spazi di libertà, presuppone una valutazione di massima affidabilità del condannato, non formulabile nel caso di specie per la gravità dei reati commessi, la brevità della detenzione trascorsa agli arresti domiciliari, la condotta non corretta tenuta durante la detenzione in carcere, l’inidoneità dell’attività lavorativa prospettata, in quanto da svolgersi in Roma e tale da non impedire contatti non controllabili con soggetti pregiudicati e con terze persone. Ha ritenuto, invece, concedibile la misura della detenzione domiciliare nell’attuale domicilio di Montecompatri, alla luce della condotta corretta tenuta durante gli arresti presso quel domicilio, stante la natura più contenitiva della misura stessa e la sua idoneità a mantenere il detenuto distante dall’ambiente di provenienza.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME, per mezzo del suo difensore AVV_NOTAIO, articolando un unico motivo, con il quale denuncia l’erronea applicazione dell’art. 47 Ord.pen. e il vizio di motivazione nel diniego di concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale.
Il Tribunale non ha adeguatamente valutato la fronteggiabilità della residua pericolosità sociale alla luce dei parametri elaborati dalla giurisprudenza, quali la condotta anteatta e recente, la presenza di nuove denunce, la pendenza di procedimenti penali, la frequentazione di pregiudicati, la mancanza di revisione critica del proprio passato criminale. Ha ritenuto non corretta la condotta carceraria del ricorrente, benché egli abbia riportato solo due rilievi disciplinari in tre anni, risalenti nel tempo, e omettendo di valutare l’idoneità di tali rilievi dimostrare la inaffidabilità del condannato e la loro attuale rilevanza. Non ha valutato l’assenza di suoi collegamenti con la criminalità organizzata, né ha verificato la sussistenza di elementi da cui dedurre la permanenza di una sua antisocialità, ovvero la mancanza di una evoluzione personologica.
L’asserita inidoneità dell’attività lavorativa prospettata è stata valutata solo con riferimento alla presenza di un soggetto pregiudicato, ma in ogni caso la mancanza di un lavoro non può essere ritenuta rilevante quando sia l’unico
motivo che giustifica l’omessa concessione del beneficio. Peraltro, se una delle ragioni del diniego è il fatto di dover svolgere tale attività in Roma, l’affidamento in prova avrebbe potuto essere concesso presso l’attuale domicilio in Montecompatri.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Il difensore ha inviato una memoria di replica, con la quale ribadisce le ragioni della critica all’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato, e deve essere rigettato.
L’ordinanza impugnata risulta motivata in modo logico, completo e non contraddittorio, nonché conforme ai principi di questa Corte, secondo cui «in tema di affidamento in prova al servizio sociale, ai fini del giudizio prognostico in ordine alla realizzazione delle prospettive cui è finalizzato l’istituto, e, quind dell’accoglimento o del rigetto dell’istanza, non possono, di per sé, da soli, assumere decisivo rilievo, in senso negativo, elementi quali la gravità del reato per cui è intervenuta condanna, i precedenti penali o la mancata ammissione di colpevolezza, né può richiedersi, in positivo, la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica del proprio passato, essendo sufficiente che, dai risultati dell’osservazione della personalità, emerga che un siffatto processo critico sia stato almeno avviato. (In motivazione, la Corte ha specificato che le fonti di conoscenza che il tribunale di sorveglianza è chiamato a valutare sono sia il reato commesso, i precedenti penali, le pendenze processuali e le informazioni di polizia, sia anche la condotta carceraria ed i risultati dell’indagine socio-familiare operata dalle strutture di osservazione, onde verificare la sussistenza di elementi positivi che facciano ragionevolmente ritenere la proficuità dell’affidamento, quali l’assenza di nuove denunzie, il ripudio delle condotte devianti passate, l’adesione ai valori socialmente condivisi, l’attaccamento al contesto familiare, la condotta di vita attuale, la congruità della condanna e l’eventuale buona prospettiva risocializzante)» (Sez. 1, n. 1410 del 30/10/2019, dep. 2020, Rv. 277924).
Il Tribunale, infatti, ha adeguatamente esaminato i parametri di valutazione della più ampia misura alternativa, sia quanto alla sua idoneità per la rieducazione del condannato sia, soprattutto, quanto alla sua capacità di
assicurare la prevenzione dal pericolo di commissione di altri reati. L’inaffidabilità del ricorrente, in particolare quanto alla sua capacità di astenersi dal commettere nuovi reati, è stata desunta, in modo logico, dalla gravità del reato commesso e dalla condotta carceraria non corretta, ritenuta dimostrativa dell’assenza, allo stato, dell’adesione ad un percorso di revisione critica, di cui è necessario dimostrare quanto meno l’inizio. Anche l’attività lavorativa prospettata è stata ritenuta non idonea, sotto tale profilo, attraverso un’argomentazione logica, trattandosi di un’attività da svolgere in Roma, località in cui il ricorrente ha commesso il grave delitto per il quale è stato condannato, avendo come colleghi di lavoro soggetti pregiudicati per reati anche relativi al traffico di sostanze stupefacenti, e venendo quotidianamente a contatto con numerosi clienti, circostanze che rendono impossibile un controllo circa i contatti che il ricorrente potrebbe riallacciare.
Il ricorso non si confronta adeguatamente con queste valutazioni, in quanto non offre elementi da cui dedurre l’effettivo e concreto inizio di una seria revisione critica, e non nega che la prospettata attività lavorativa porrebbe il ricorrente a contatto con soggetti pregiudicati, ma si limita ad affermare che ciò non costituirebbe una ragione ostativa alla concessione del beneficio, non potendo persino la mancanza di un lavoro giustificare, da sola, il suo diniego. Il ricorso non affronta, pertanto, la questione della totale assenza di prospettazione di un’attività risocializzante, essendo inidonea, a tale fine, l’opportunità di lavoro indicata, e non essendo offerte soluzioni alternative, che possano svolgere una funzione di ausilio alla risocializzazione.
Il Tribunale, pertanto, ha ritenuto inidonea la misura richiesta attraverso un’argomentazione logica, fondata sui parametri, indicati dalla giurisprudenza di legittimità, della mancanza di avvio di una seria revisione critica e di un’attività che favorisca la riabilitazione del condannato. La motivazione dell’ordinanza impugnata è, quindi, conforme alla legge, e priva dei vizi dedotti nel ricorso.
Il ricorrente, di fatto, chiede a questa Corte una valutazione diversa degli stessi elementi esaminati dal Tribunale di sorveglianza: deve ribadirsi, però, che esula dai poteri di questa Corte sostituire alla valutazione del giudice di merito, ritenuta esente da vizi motivazionali, una propria, diversa valutazione (vedi Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260). Il compito del giudice di legittimità è solo quello di valutare la correttezza del provvedimento impugnato alla luce dei parametri di completezza, logicità e non contraddittorietà; il provvedimento impugnato non presenta alcuno di tali vizi, e non vi sono ragioni, quindi, per procedere al suo annullamento.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve pertanto essere respinto, e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 27 settembre 2024
Il Consigliere estensore