Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 35483 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 35483 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a MODICA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 06/03/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di CATANIA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato il Tribunale di sorveglianza di Catania ha rigettato l’istanza con cui NOME COGNOME aveva chiesto la concessione della misura alternativa dell’affidamento in prova ai servizi sociali; ha, invece, accolto la richiesta subordinata di ammissione alla detenzione domiciliare.
Avverso il provvedimento, COGNOME, a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione con cui sviluppa un unico motivo per vizio di motivazione.
Lamenta che il Tribunale non abbia adeguatamente valutato gli elementi positivi desumibili sia dall’indagine condotta dall’UEPE, allegata al ricorso per la sua autosufficienza, sia dalla risalenza nel tempo del reato oggetto della condanna in esecuzione, commesso nel lontano agosto 2013, ritenendoli erroneamente insufficienti ai fini del giudizio prognostico per l’ammissione alla più ampia misura dell’affidamento in prova.
L’ordinanza, in contrasto coi principi ripetutamente affermati dalla giurisprudenza di legittimità, h attributo rilevanza decisiva alla particolare gravità del reato e ai precedenti penali, peraltro costituiti in gran parte da illeci depenalizzati o comunque bagatellari commessi fino all’anno 2000, senza prendere in esame la condotta serbata dal condannato in epoca successiva alla consumazione del reato e i suoi comportamenti attuali. A quest’ultimo proposito è stato del tutto trascurato che COGNOME, come si evince dagli di causa, ha tenuto un comportamento irreprensibile, dedicandosi con profitto alla sua attività lavorativa.
Nonostante la sua natura colposa, il reato di omicidio oggetto della sentenza in esecuzione è stato considerato espressione di volontaria e consapevole scarsa considerazione dell’altrui incolumità personale
Erroneamente è stata ritenuta necessaria per l’ammissione al beneficio la totale esclusione della pericolosità sociale e non invece una prognosi positiva sull’avvio del percorso rieducativo e di reinserimento sociale
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
1. Ai fini della concessione della misura alternativa dell’affidamento in prova, pur non potendosi prescindere dalla natura e dalla gravità dei reati per cui è stata irrogata la pena in espiazione, quale punto di partenza dell’analisi della personalità del soggetto, è tuttavia necessaria la valutazione della condotta serbata dal condannato in epoca successiva. Nel giudizio prescritto dall’art. 47 Ord. pen. è indispensabile l’esame dei comportamenti attuali del condannato perché non è sufficiente verificare l’assenza di indicazioni negative, ricavabili senz’altro dal passato (si pensi ai precedenti penali), ma è necessario accertare in positivo la presenza di elementi che consentano un giudizio prognostico di buon esito della prova e di prevenzione del pericolo di recidiva. Si deve, pertanto, avere riguardo al comportamento e alla situazione del soggetto dopo i fatti per i quali è stata inflitta la condanna in esecuzione, per verificare concretamente se sussistano, o no, sintomi di una positiva evoluzione della sua personalità e condizioni che ne rendano possibile il reinserimento sociale attraverso la richiesta misura
alternativa; ciò non significa acquisire dai risultati dell’osservazione della personalità la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica del proprio passato, essendo, al contrario, sufficiente l’avvio di tale processo critico (ex plurimis Sez. 1, n. 31809 del 9/7/2009, COGNOME, Rv. 244322 e, più di recente, Sez. 1, n. 31420 del 5/5/2015, COGNOME, Rv. 264602).
Tra gli indicatori utilmente apprezzabili possono essere annoverati l’assenza di nuove denunzie, il ripudio delle pregresse condotte devianti, l’adesione a valori socialmente condivisi, la condotta di vita attuale, la congruità della condanna, l’attaccamento al contesto familiare e l’eventuale buona prospettiva di risocializzazione (Sez. 1, n. 44992 del 17/9/2018, S., Rv. 273985).
Il Tribunale di sorveglianza, nell’esaminare le informazioni e le relazioni provenienti dagli organi deputati all’osservazione del condannato, non è, in alcun modo, vincolato dai giudizi di idoneità ivi espressi, ma è tenuto soltanto a considerare le riferite informazioni sulla personalità e lo stile di vit dell’interessato, parametrandone la rilevanza ai fini della decisione alle istanze rieducative e ai profili di pericolosità dell’interessato, secondo il criterio del gradualità nella concessione di benefici penitenziari che governa l’ammissione ai benefici penitenziari (Sez. 1, n. 23343 del 23/3/2017, Arzu, Rv. 270016); detto criterio, pur non costituendo una regola assoluta e codificata, risponde ad un razionale apprezzamento delle esigenze rieducative e di prevenzione cui è ispirato il principio stesso del trattamento penitenziario specie quando risulta documentato un non irrilevante vissuto criminale (Sez. 1, n. 5689/99 del 18/11/1998, Foti, Rv. 212794).
Il Tribunale di sorveglianza non ha fatto buon governo degli esposti principi negando l’ammissione del condannato alla misura dell’affidamento in prova al servizio sociale con un percorso argomentativo che presta il fianco ai rilievi critici denunziati dal ricorrente.
La scelta di ammettere il condannato alla detenzione domiciliare anziché all’affidamento in prova ai servizi sociali, nell’ottica della gradualit dell’ammissione ai benefici penitenziari, è stata giustificata in via esclusiva con la particolare gravità del reato e con il numero dei precedenti penali, elementi considerati, nel loro complesso, ostativi perché sintomatici di una pericolosità sociale del condannato così elevata da dover essere fronteggiata soltanto con la più contenitiva delle misure alternative.
L’ordinanza impugnata ha, quindi, fondato il rigetto dell’affidamento in prova sul solo argomento di una situazione di pericolosità sociale desumibile da dati informativi del passato, facendo di essi una considerazione assoluta e ponendoli da soli a sostegno della motivazione, senza considerazione adeguata di diversi altri
fattori riguardanti l’evoluzione della personalità del ricorrente, successiva alla consumazione della condotta sanzionata. In quest’ottica sono state del tutto ignorate le risultanze ampiamente favorevoli dell’indagine condannata dall’UEPE.
Così operando il Tribunale di sorveglianza ha finito per desumere, in modo manifestamente illogico, l’attuale ed elevato rischio di recidivanza incompatibile con l’ammissione del condannato all’affidamento in prova dalla consumazione del reato oggetto della condanna senza focalizzarne la natura colposà e senza dare adeguato peso alla rilevante risalenza nel tempo dell’epoca di consumazione di tale violazione, per quanto grave, nonché dei reati, peraltro di modesto allarme sociale, per i quali sono intervenute le ulteriori condanne annotate nel certificato del casellario giudiziale.
Per quanto sin qui osservato l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Catania.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata, limitatamente alla misura dell’affidamento in prova al servizio sociale, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Catania.