Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 12693 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 12693 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Colleferro il 31/12/1968
avverso l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Roma dell’1/10/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME. NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del r icorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 1.10.2024, il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha provveduto su una istanza di COGNOME NOME di affidamento in prova o di detenzione domiciliare, in relazione ad un cumulo della Procura della Repubblica di Velletri che ha fissato nei suoi confronti la pena da espiare in tre anni e undici mesi di reclusione per i reati di violazione degli obblighi familiari commesso nel 2013, di tentata estorsione commessa nel 2016 e di distruzione di scritture contabili commesso nel 2016.
Il Tribunale di Sorveglianza ha rigettato l’istanza di affidamento in prova e ha dichiarato inammissibile quella di detenzione domiciliare.
Quanto all’affidamento in prova, ha ritenuto che non siano emersi, all’esito dell’istruttoria, elementi indicativi dell’avvio di un percorso del condannato
finalizzato al reinserimento sociale e alla prevenzione del pericolo di recidiva. Sotto questo profilo, i reati in esecuzione non possono essere valutati in un’ottica avulsa dalla biografia del soggetto che, pur provenendo da una famiglia regolare e pur avendo conseguito un titolo di studio, non si è mai collocato in una prospettiva di vita stabile.
In particolare, è risultato che COGNOME abbia commesso reati sin dagli anni ’90 (minaccia, truffa, mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, violazioni edilizie). Inoltre, la sua riferita attività nel settore degli spettacoli della Rai è contrastata dalle segnalazioni per truffa in danno della suddetta azienda; quanto, poi, alla indicata specializzazione in attività investigative, risulta che il condannato sia stato licenziato per la non idoneità al conseguimento del patentino di investigatore privato; anche l’ultimo suo rapporto di lavoro è cessato a luglio 2024 per mancato superamento del periodo di prova.
Per quello che riguarda il presente, nei colloqui COGNOME non ha mostrato consapevolezza dei reati commessi, in parte negandoli e in parte attribuendoli ad una amplificazione mediatica dei suoi rapporti con personaggi politici e dello spettacolo. In definitiva, dunque, la assenza di stabilità lavorativa, la sua non giovane età e l’assenza di revisione critica denotano una personalità non adeguatamente strutturata, che si alimenta di progettualità non mature.
Quanto, in secondo luogo, alla richiesta di detenzione domiciliare, il Tribunale di Sorveglianza l’ha dichiarata inammissibi le perché la pena da espiare è superiore al limite edittale di accesso al beneficio.
Avverso la predetta ordinanza, ha proposto ricorso il difensore di COGNOME NOME, articolandolo in un unico motivo, con il quale deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 47 Ord. Pen., 27 Cost, nonché difetto di motivazione.
Censura che il Tribunale di Sorveglianza abbia omesso di valutare gli elementi positivi relativa alla personalità e al comportamento attuale del condannato, fondando la sua decisione su due circostanze non correttamente valutate.
In primo luogo, si è soffermato sui precedenti di Cacciotti, senza tenere conto dell’intero percorso evolutivo e prendendo in esame elementi frammentari, ma trascurando i progressi personali e sociali intervenuti nel tempo. Anche i problemi lavorativi del ricorrente non dipendono da comportamenti illeciti, ma da circostanze indipendenti dalla sua volontà. Di contro, dal 2013 il ricorrente non ha più commesso reati, si è impegnato in varie attività lavorative, ha aiutato il padre e ha costituito un proprio nucleo familiare.
In secondo luogo, il Tribunale di Sorveglianza ha valorizzato in senso negativo il difetto di consapevolezza dei reati commessi, in contrasto con il principio secondo
cui la mancata ammissione degli addebiti non è di per sé ostativa alla concessione delle misure alternative; ha omesso, invece, di considerare adeguatamente le informazioni relative al percorso di revisione critica di COGNOME, che, come risulta dalla relazione di indagine socio-familiare, ha maturato maggiore consapevolezza rispetto ai suoi atteggiamenti del passato, tanto che la relazione stessa esprime un parere favorevole alla concessione della misura alternativa.
Con requisitoria scritta trasmessa l’11.12.2024 , il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso, in quanto le motivazioni del l’ordinanza impugnata sono congrue e logiche e, dunque, esenti da vizi che possano essere fatti valere in sede di legittimità; di contro, il ricorso è meramente contestativo e volto ad una rivalutazione di quanto già considerato dal Tribunale di Sorveglianza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito esposte.
L’accesso all’affidamento in prova al servizio sociale è subordinato alla sussistenza di determinati requisiti, alcuni dei quali attinenti alla meritevolezza della misura al ternativa che il tribunale di sorveglianza deve ricavare dall’analisi del comportamento tenuto dal condannato e dalla conseguente prognosi di non recidiva da porsi in relazione con la idoneità dell’affidamento a contribuire al suo reinserimento nella società.
Sotto questo profilo, è stato affermato che, sebbene il punto di partenza dell’analisi della personalità del soggetto sia costituito dalla natura e dalla gravità dei reati per cui è stata irrogata la pena in espiazione, è tuttavia necessaria la valutazione della condotta successivamente serbata dal condannato, essendo indispensabile l’esame anche dei suoi comportamenti attuali, attesa l’esigenza di accertare non solo l’assenza di indicazioni negative, ma anche la presenza di elementi positivi che consentano un giudizio prognostico di buon esito della prova e di prevenzione del pericolo di recidiva (Sez. 1, Sentenza n. 4390 del 20/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278174 -01; Sez. 1, n. 7873 del 18/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285855 -01).
In questa prospettiva, il Tribunale di Sorveglianza ha preso in considerazione gli elementi risultanti dall’indagine socio -familiare dell’Uepe e dalle informazioni di polizia, valorizzando in senso sfavorevole al condannato, da un lato, il mancato avvio di un percorso di revisione critica dei suoi comportamenti e, dall’altro, l’attuale mancanza di un’attività lavorativa.
Si tratta di elementi di sicuro rilievo ai fini della necessaria valutazione dell’idoneità della misura alternativa a rieducare il reo e ad assicurarne la prevenzione dal pericolo della recidiva.
2.1 Sotto il primo profilo, se è vero che, in tema di affidamento in prova al servizio sociale, non può richiedersi, in positivo, la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica del proprio passato, è nondimeno necessario che, dai risultati dell’osservazione della personalità, emerga che un siffatto processo critico sia stato almeno avviato (Sez. 1, n. 43863 del 23/10/2024, COGNOME, Rv. 287151 -01; Sez. 1, n. 1410 del 30/10/2019, dep. 2020, M., Rv. 277924 – 01).
Ai fini del giudizio prognostico in ordine alla realizzazione delle prospettive cui è finalizzato l’istituto, il giudice deve valutare in concreto l’esistenza di elementi positivi in base ai quali si possa ragionevolmente ritenere che l’affidamento si riveli proficuo, valorizzando, tra gli altri, il ripudio delle condotte devianti del passato e l’adesione alle ragioni più profonde di valori socialmente condivisi.
Vale a dire che il condannato deve avere quantomeno intrapreso un percorso orientato alla sua risocializzazione, rispetto al quale l’affidamento in prova può costituire, appunto, il contesto appropriato entro cui tale percorso può progredire in una situazione più favorevole di quella carceraria ed essere completato.
Tanto richiede, tuttavia, che si possa formulare una prognosi positiva circa la capacità di adesione del condannato al percorso trattamentale extra-murario, alla ipotizzabilità della quale non contribuisce, però, la constatazione -nel caso di specie -della resistenza pressoché pregiudiziale del ricorrente a rielaborare criticamente i precedenti comportamenti.
2.2 Sotto il secondo profilo, se è vero che lo svolgimento attuale di un’attività di lavoro non rientra tra le condizioni richieste dalla legge per la concessione della misura alternativa in esame, si tratta comunque di un elemento che deve essere valutato unitamente agli altri riguardanti la personalità del richiedente (Sez. 1, n. 1023 del 30/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274869 -01; Sez. 1, n. 43390 del 22/9/2014, COGNOME, Rv. 260723 – 01).
L’idoneità della misura rispetto alla rieducazione del reo, infatti, va apprezzata anche in base alle risorse di cui il condannato può in concreto giovarsi durante l’affidamento in prova; e sotto questo aspetto non v’è dubbio che delle attività che egli potrebbe svolgere, anche di quella lavorativa, deve tenersi conto per valutarne la rilevanza in funzione del suo reinserimento sociale.
In questa prospettiva, la circostanza che il ricorrente fosse al momento privo di lavoro e che peraltro avesse perso le precedenti occupazioni lavorative per cause a lui imputabili (licenziamento per non idoneità al conseguimento del patentino di investigatore e mancato superamento del periodo di prova) è stata oggetto di adeguato vaglio da parte del Tribunale di Sorveglianza per inferirne
ulteriormente che COGNOME non fosse ancora affidabile per un percorso trattamentale extramurario, a maggior ragione alla luce delle problematiche già emerse con riferimento alla insufficienza della revisione critica.
A fronte di tale ragionamento, il ricorso enfatizza gli elementi che l’ordinanza impugnata non avre bbe tenuto in debito conto nella propria valutazione, individuandoli nel fatto che il condannato non abbia commesso reati da diversi anni e nella circostanza che possa contare sulla disponibilità della sua famiglia di origine.
Ma, in realtà, il Tribunale di Sorveglianza ha preso in considerazione tali elementi, giudicandoli tuttavia recessivi rispetto a quelli sfavorevoli con una motivazione nient’affatto illogica o contradditoria, che evidenzia la necessità di valutarli in un’ottica non avulsa dalla biografia del soggetto, ‘mai collocato in una prospettiva di vita sorretta da stabili ancoraggi’ e ‘sguarnito delle risorse richieste per gestire in autonomia la propria restituzione sociale’.
Si deve ritenere, in definitiva, che l’ordinanza impugnata abbia adeguatamente valutato i risultati dell’osservazione della personalità del condannato e abbia ritenuto di escludere l’accesso all’affidamento in prova al servizio sociale con una motivazione del tutto congrua, che il ricorso non arriva a inficiare.
Alla luce di quanto fin qui osservato, il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso l’8.1.2025