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Affidamento in prova: valutazione della condotta

La Corte di Cassazione annulla un’ordinanza che negava l’affidamento in prova basandosi solo sulla gravità dei reati e la mancata ammissione di colpa. La Suprema Corte stabilisce che il giudice deve effettuare una valutazione completa, considerando il tempo trascorso, la condotta successiva del condannato e l’avvio di un percorso di revisione critica, anche se non ancora completato. La decisione errata del Tribunale di Sorveglianza, che non ha considerato questi elementi positivi, ha portato all’annullamento con rinvio per un nuovo giudizio.

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Pubblicato il 15 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in prova: la valutazione va oltre la gravità del reato

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 33639/2024) ha ribadito i principi fondamentali per la concessione della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale. Questa pronuncia chiarisce che il giudizio del Tribunale di Sorveglianza non può limitarsi a considerare la gravità dei reati commessi in passato, ma deve basarsi su una valutazione complessiva e attuale della personalità del condannato. Vediamo nel dettaglio il caso e le importanti conclusioni della Suprema Corte.

I fatti del caso

Un uomo, condannato a una pena detentiva, presentava istanza al Tribunale di Sorveglianza per ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale. In subordine, chiedeva la detenzione domiciliare. Il Tribunale rigettava la richiesta principale, ammettendolo solo alla detenzione domiciliare. La decisione si fondava su due elementi principali: la gravità dei reati per cui era intervenuta la condanna e la mancata, immediata, ammissione di responsabilità da parte dell’interessato.

L’uomo, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando un vizio di motivazione e una violazione di legge. La difesa ha sottolineato come il Tribunale avesse commesso diversi errori di valutazione:
1. Aveva erroneamente indicato una pena inflitta di venti anni anziché due.
2. Non aveva considerato il considerevole tempo trascorso dalla commissione dei fatti (risalenti agli anni 2007-2008).
3. Aveva ignorato la condotta irreprensibile tenuta dal condannato negli anni successivi, durante i quali aveva avviato un’attività lavorativa e non aveva commesso altri reati.

I criteri per la concessione dell’affidamento in prova

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendolo fondato. La sentenza ribadisce che l’affidamento in prova è uno strumento finalizzato al reinserimento sociale del condannato. Per concederlo, il giudice deve formulare una prognosi positiva sulla base di un’analisi completa che non può prescindere da elementi cruciali.

Il Tribunale di Sorveglianza, infatti, è tenuto a considerare non solo la natura dei reati e i precedenti penali, ma deve dare peso determinante al comportamento e alla situazione del soggetto dopo i fatti per cui è stato condannato. Questo serve a verificare se sia in atto una reale e positiva evoluzione della sua personalità.

Le motivazioni della Cassazione

Secondo la Suprema Corte, il Tribunale ha commesso un errore di diritto fondando il suo diniego esclusivamente su due elementi – la gravità dei reati e la mancata ammissione di responsabilità – che, da soli, non possono essere decisivi. La giurisprudenza consolidata, infatti, chiarisce che né la gravità del reato, né i precedenti penali, né la mancata confessione possono, di per sé, giustificare un giudizio prognostico sfavorevole.

Per concedere l’affidamento in prova, non è richiesta la prova di un “compiuto ravvedimento”, ma è sufficiente che emerga, dall’osservazione della personalità, che un processo di revisione critica del proprio passato sia stato almeno “avviato”.

Nel caso specifico, il Tribunale ha completamente omesso di valutare:
* Il lungo tempo trascorso dalla commissione dei reati.
* La condotta successiva del ricorrente, caratterizzata dall’avvio di una seria attività lavorativa.
* Il contenuto della relazione dell’UEPE (Ufficio di Esecuzione Penale Esterna), che dava atto di questi aspetti positivi.
* L’assenza di nuove pendenze giudiziarie.

Questa omissione ha reso la motivazione del diniego incompleta e apparente, basata su un criterio decisorio errato.

Le conclusioni

La Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza impugnata e ha rinviato il caso al Tribunale di Sorveglianza di Bari per un nuovo giudizio. Il Tribunale dovrà riesaminare l’istanza conformandosi ai principi enunciati: dovrà condurre una valutazione completa e attenta del comportamento tenuto dal condannato negli anni successivi ai reati, del suo percorso lavorativo e dell’assenza di ulteriori pendenze, al fine di formulare una prognosi corretta e motivata sulla possibilità di un suo reinserimento sociale attraverso la misura dell’affidamento in prova.

La gravità del reato commesso in passato è sufficiente per negare l’affidamento in prova?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la gravità del reato, da sola, non può essere un elemento decisivo per negare la misura. Deve essere considerata insieme a tutti gli altri elementi relativi alla personalità e alla condotta attuale del condannato.

Cosa deve valutare il giudice per concedere l’affidamento in prova?
Il giudice deve effettuare una valutazione complessiva che tenga conto di molteplici fattori: il tempo trascorso dai fatti, la condotta successiva del soggetto (lavoro, assenza di nuovi reati), l’evoluzione della sua personalità, i precedenti penali e le informazioni dei servizi sociali. L’obiettivo è formulare una prognosi ragionevole sul suo reinserimento sociale.

La mancata ammissione di colpevolezza impedisce la concessione dell’affidamento in prova?
No. La mancata ammissione di colpevolezza non può essere interpretata automaticamente come sintomo di mancato ravvedimento o di pericolosità sociale, e quindi non può, da sola, precludere l’accesso alla misura alternativa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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