Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 28609 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 28609 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a ROMA il 20/10/1994
avverso l’ordinanza del 21/03/2025 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME il quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 21 marzo 2025, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato l’istanza, proposta da NOME COGNOME intesa all’ammissione all’affidamento in prova al servizio sociale in relazione alla porzione residua della pena detentiva di due anni e nove mesi di reclusione – inflittagli per aver commesso, nel 2023, il reato di cui all’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 – e lo ha, contestualmente, ammesso alla detenzione domiciliare.
Ha, in proposito, ritenuto la sussistenza di un concreto pericolo di recidiva attestato dalla pendenza per reato analogo, ancorché di minore gravità, in relazione al quale è stata disposta la sospensione del procedimento, con messa alla prova – non contenibile in caso di ammissione del condannato alla più ampia misura alternativa che, peraltro, lo vedrebbe impegnato alle dipendenze dell’esercizio commerciale gestito dalla sua famiglia, inserito in un contesto turistico-ricreativo tale da favorire la ricaduta nel reato.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’avv. NOME COGNOME ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il quale lamenta violazione di legge e vizio di motivazione per avere il Tribunale di sorveglianza indebitamente valorizzato la pendenza di procedimento penale per reato in materia di sostanze stupefacenti senza considerare che il prevedibile, favorevole esito della già disposta messa alla prova ne determinerà l’estinzione e riservato, per di più, alla palesata prospettiva di reinserimento lavorativo un giudizio eccessivamente severo, ventilando pericoli in realtà inesistenti e sottovalutando l’indubbia portata risocializzante dell’esperienza.
Il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché vertente su censure manifestamente infondate.
L’affidamento in prova al servizio sociale, disciplinato dall’art. 47 legge 26 luglio 1975, n. 354, è una misura alternativa alla detenzione carceraria che attua la finalità costituzionale rieducativa della pena e che può essere adottata, entro la generale cornice di ammissibilità prevista dalla legge,
allorché, sulla base dell’osservazione della personalità del condannato condotta in istituto, o del comportamento da lui serbato in libertà, si ritenga che essa, anche attraverso l’adozione di opportune prescrizioni, possa contribuire alla risocializzazione prevenendo il pericolo di ricaduta nel reato.
Il giudizio in merito alla ammissione all’affidamento si fonda, dunque, sull’osservazione dell’evoluzione della personalità registratasi successivamente al fatto-reato, nella prospettiva di un ottimale reinserimento sociale: è infatti consolidato, presso la giurisprudenza di legittimità, l’indirizzo ermeneutico secondo cui «In tema di affidamento in prova al servizio sociale, ai fini del giudizio prognostico in ordine al buon esito della prova, il giudice, pur non potendo prescindere dalla natura e gravità dei reati commessi, dai precedenti penali e dai procedimenti penali eventualmente pendenti, deve valutare anche la condotta successivamente serbata dal condannato» (Sez. 1, n. 44992 del 17/09/2018, S., Rv. 273985), in tal senso deponendo il tenore letterale dell’art. 47, commi 2 e 3, legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui condiziona l’affidamento al convincimento che esso, anche attraverso le prescrizioni impartite al condannato, contribuisca alla sua rieducazione ed assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati.
Il processo di emenda deve essere significativamente avviato, ancorché non sia richiesto il già conseguito ravvedimento, che caratterizza il diverso istituto della liberazione condizionale, previsto dal codice penale (Sez. 1, n. 43687 del 07/10/2010, COGNOME, Rv. 248984; Sez. 1, n. 26754 del 29/05/2009, COGNOME, Rv. 244654; Sez. 1, n. 3868 del 26/06/1995, COGNOME, Rv. 202413).
Se il presupposto dell’emenda non è riscontrato, o non lo è nella misura reputata adeguata, il condannato, se lo consentono il limite di pena diversamente stabilito con riferimento alle varie ipotesi disciplinate dall’art. 47-ter legge 26 luglio 1975, n. 354 – ed il titolo di reato, può essere comunque ammesso alla detenzione domiciliare, alla sola condizione che sia scongiurato il pericolo di commissione di nuovi reati (Sez. 1, n. 14962 del 17/03/2009, Castiglione, Rv. 243745).
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il fine rieducativo si attua, in tal caso, mediante una misura dal carattere più marcatamente contenitivo, saldandosi alla tendenziale sfiducia ordinamentale sull’efficacia del trattamento penitenziario instaurato rispetto a pene di contenuta durata.
Rientra nella discrezionalità del giudice di merito l’apprezzamento in ordine all’idoneità o meno, ai fini della risocializzazione e della prevenzione della recidiva, delle misure alternative – alla cui base vi è la comune necessità di una prognosi positiva, seppur differenziata nei termini suindicati, frutto di un unitari
accertamento (Sez. 1, n. 16442 del 10/02/2010, COGNOME, Rv. 247235) – e l’eventuale scelta di quella ritenuta maggiormente congrua nel caso concreto.
Le relative valutazioni non sono censurabili in sede di legittimità, se sorrette da motivazione adeguata e rispondente a canoni logici (Sez. 1, n. 652 del 10/02/1992, COGNOME, Rv. 189375), basata su esaustiva, ancorché se del caso sintetica, ricognizione degli incidenti elementi di giudizio.
Scrutinata alla luce di tali principi, l’ordinanza impugnata supera senz’altro il vaglio di legittimità.
Il Tribunale di sorveglianza ha, invero, ancorato la propria valutazione alla non episodicità della vicenda che è valsa ad Hashesh la condanna alla pena della cui esecuzione si discute, comprovata dalla contestazione di altro reato di omogenea, ancorché meno intensa, offensività, commesso nel medesimo contesto temporale, ed ha, per tale via, stimato che il condannato, se ammesso alla più ampia tra le misure alternative, potrebbe rendersi autore di nuove imprese delittuose, fruendo anche del contatto con una vasta platea di giovani e turisti che gli sarebbe garantita dallo sfruttamento della prospettata opportunità lavorativa.
A fronte di considerazioni coerenti con la descritta cornice ermeneutica e saldamente ancorate agli elementi acquisiti, il ricorrente pone l’accento su circostanze che non appaiono in alcun modo in grado di scalfire la solidità del costrutto argomentativo del provvedimento impugnato, imperniato, come detto, sulla necessità di salvaguardare le persistenti esigenze preventive mediante l’esecuzione della pena nelle forme della detenzione domiciliare.
Le doglianze del ricorrente appaiono, invero, improntate alla confutazione ed alla diversa considerazione di evidenze istruttorie delle quali il Tribunale di sorveglianza ha offerto un’esegesi che sfugge al sindacato di legittimità, specie laddove ha ancorato il giudizio al combinato e sinergico apprezzamento del precedente definitivo e della residua pendenza che, va precisato in replica a specifica obiezione difensiva, non risulta ancora definita, non potendo, allo stato, pronosticarsi, a dispetto delle ottimistiche previsioni dell’interessato, l’estinzion del reato per positivo esito della messa alla prova.
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Né, va opportunamente aggiunto, i timori palesati dal Tribunale di sorveglianza in ordine alle spinte criminogene che potrebbero derivare dalla costante permanenza del condannato in zona, quale il quartiere romano di Trastevere, ad elevata densità turistica paiono frutto di valutazione manifestamente illogica o contraddittoria, tanto più in carenza di precise e confortanti informazioni circa l’avvio, da parte di COGNOME, di un processo di emenda e di definitivo allontanamento dagli ambienti delinquenziali in cui sono
maturati i fatti che gli sono valsi la condanna definitiva e l’instaurazione del procedimento penale ancora
in itinere.
5. Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n.
186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.,
l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 18/06/2025.