Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 46624 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 46624 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Roma del 22.2.2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza resa in data 22.2.2024, il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha provveduto su una istanza, presentata nell’interesse di COGNOME NOME, di affidamento in prova al servizio sociale o di detenzione domiciliare, dopo la emissione di un cumulo da parte della Procura della Repubblica di Tivoli per la pena residua di un anno e sei mesi di reclusione.
Il tribunale ha dato atto che il cumulo riguarda due condanne per violazione degli obblighi di assistenza familiare per fatti del 2010 e del 2015 e che risultano
due precedenti risalenti per atti osceni e per ingiurie nonché una pendenza per lesioni semplici.
L’ordinanza ha dato atto, altresì, che a sostegno dell’istanza di affidamento è stato addotto che l’imputato svolga un’attività lavorativa di carattere itinerante su tutto il territorio nazionale, come da copia del contratto di lavoro allegata all’istanza, evidenziando che tuttavia l’attività lavorativa non è stata riscontrata dagli organi di pubblica sicurezza e giudicandola in ogni caso inidonea per l’affidamento in prova, in quanto del tutto incompatibile con le esigenze di controllo del condannato. E’ stato rilevato anche che non sono stati risarciti dal condannato i danni derivanti dai reati da espiare.
Il Tribunale di Sorveglianza ha concluso, quindi, che, tenuto conto dell’assenza di altri precedenti recenti e del fatto che il domicilio dei genitori del condannato è da ritenersi idoneo, potesse essere concessa a COGNOME una possibilità di reinserimento sociale con la detenzione domiciliare.
Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso il difensore del condannato, articolandolo in due motivi.
2.1 Con il primo motivo, deduce la violazione dell’art. 47 Ord. Pen., lamentando che il Tribunale di Sorveglianza abbia adottato una motivazione erronea con riferimento alla natura e alla tipologia del lavoro, perché il contratto, sebbene stipulato con la società che opera su tutto il territorio nazionale, stabilisce all’art. 2 che la sede di lavoro di COGNOME è in Guidonia Montecelio, dove il condannato è residente. Dunque, il contratto, in realtà, non attribuisce al lavoro di COGNOME la qualifica di “itinerante”, pur prevedendo una richiesta di disponibilità formulata dalla società al dipendente a prestare la propria attività su tutto il territorio nazionale secondo le esigenze dell’impresa: tuttavia, il ricorrente svolge il suo lavoro a Guidonia Montecelio dal lunedì al venerdì dalle ore 7.00 alle ore 17.00.
Censura che il Tribunale di Sorveglianza non abbia valorizzato la condotta di COGNOME, il quale dal 2015 non ha fatto registrare condotte penalmente rilevanti, e non abbia tenuto conto del fatto che, condannato per violazione degli obblighi di assistenza familiare nei confronti della figlia, da allora egli ha recuperato il rapporto con la figlia stessa, come risulta anche dal certificato di residenza e dallo stato di famiglia, nel quale risulta che i due convivano stabilmente.
2.2 Con il secondo motivo, deduce la violazione degli artt. 13 e 27 Cost. con conseguente vizio di motivazione, lamentando che il Tribunale di Sorveglianza, rigettando la richiesta di affidamento, abbia enfatizzato l’incompatibilità del lavoro del ricorrente con le esigenze di controllo e abbia aggiunto che l’attività lavorativa non era stata riscontrata dagli organi di pubblica sicurezza. Tuttavia, si è limitato
ad annotare il difetto di prova, senza richiedere informazioni alle competenti strutture di polizia, laddove avrebbe potuto chiedere o disporre d’ufficio l’accertamento omesso, onde verificare effettivamente la compatibilità del lavoro con le esigenze di controllo.
Con requisitoria scritta del 17.5.2024, il AVV_NOTAIO Procuratore generale ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, osservando che il giudizio sull’affidamento in prova si fonda sull’osservazione dell’evoluzione della personalità successivamente al fatto di reato, nella prospettiva di un reinserimento sociale, in tal senso deponendo il tenore dell’art. 47, commi 2 e 3, Ord. Pen. nella parte in cui condiziona l’affidamento al convincimento che, anche attraverso le prescrizioni, la misura contribuisca alla rieducazione del condannato e assicuri la prevenzione del pericolo della commissione di altri reati.
L’ordinanza impugnata ha trascurato elementi che invece avrebbero dovuto far parte della valutazione complessiva, in quanto non ha preso in considerazione il percorso di vita successiva ai fatti, ha sottovalutato la disponibilità di attivit lavorativa e ha fondato il rigetto sull’argomento della mancanza di risarcimento del danno.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso sono fondati, per le ragioni che di seguito saranno esposte.
Quanto al primo motivo, non erra, per vero, il Tribunale quando afferma che, dalla copia del contratto di lavoro dell’1.2.2024 allegato dal condannato, risulti che l’attività lavorativa presso la RAGIONE_SOCIALE sarebbe “itinerante su tutto il territorio nazionale”.
E’ vero che all’art. 2 del contratto è riportato che “la sede lavorativa di riferimento sia fissata in Guidonia Monetcelio”, ma è vero pure che immediatamente dopo è contenuta nel medesimo articolo la specificazione secondo cui, in relazione alla “mansione assegnata che richiede di essere svolta in luoghi sempre diversi e variabili”, si richiede l’impegno di COGNOME “a prestare l’attività lavorativa su tutto il territorio nazionale secondo le esigenze dell’impresa”.
E giacché, ai sensi dell’art. 4 del contratto, il ricorrente sarebbe assunto con la qualifica di operaio e le mansioni di autista, è del tutto ragionevole affermare a maggior ragione a fronte del non univoco dato testuale dell’art. 2 circa il preciso luogo fisico di lavoro – che, anche se non già attualmente, gli possa essere chiesto di girare su tutto il territorio nazionale.
Tuttavia, il punto problematico è piuttosto un altro.
Il Tribunale, cioè, non spiega le ragioni per cui, quand’anche dovesse svolgersi su tutto il territorio nazionale, l’attività lavorativa in questione contrasti con l esigenza di prevenire il pericolo che COGNOME commetta altri reati, tenuto conto che quelli per i quali gli è stata inflitta la pena da espiare sono di violazione degli obblighi di assistenza familiare.
In ogni caso, poi, il Tribunale non fa corretta applicazione del principio secondo cui, ai fini della concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale, è necessaria, nell’analisi della personalità del soggetto, la valutazione del comportamento del condannato successivo ai fatti per i quali è stata pronunciata la condanna, onde verificare la concreta sussistenza di una positiva evoluzione della sua personalità, tale da rendere possibile il reinserimento sociale mediante la misura alternativa richiesta (Sez. 1, n. 7873 del 18/12/2023, dep. 2024, Rv. 285855 – 01; Sez. 1, n. 4390 del 20/12/2019, dep. 2020, Rv. 278174 – 01).
Tale valutazione, peraltro, sarebbe stata particolarmente doverosa nel caso di specie, in quanto l’ultima delle due condanne a carico del ricorrente riguarda fatti risalenti a ben nove anni fa.
Sotto questo profilo, l’ordinanza impugnata, invece, omette di prendere realmente in considerazione alcuni elementi fattuali suscettibili di incidere in senso favorevole sulla valutazione della personalità del condannato e sulla conseguente idoneità della misura alternativa invocata a realizzare la rieducazione del reo.
Da un lato, il condannato ha dimostrato di essersi positivamente attivato per essere assunto con un contratto a tempo indeterminato, ciò che gli consentirebbe di fruire di un reddito stabile (1.732,73 euro lordi per quattordici mensilità) e che, dunque, lo porrebbe nella condizione di continuare ad adempiere gli obblighi di assistenza familiare, per la violazione dei quali ha riportato le condanne relative alle pene da espiare.
Dall’altro, COGNOME ha fornito dimostrazione documentale di convivere attualmente con la figlia, che è verosimilmente la persona offesa (o una delle persone offese) dei reati per i quali è stato condannato, il che costituirebbe, peraltro, anche un elemento di cui tenere conto nella valutazione degli adempimenti previsti dal comma 7 dell’art. 47 Ord. Pen.
Quanto al secondo motivo, è da ritenersi che la motivazione dell’ordinanza impugnata sia carente pure in ordine alla valutazione della compatibilità dell’attività lavorativa con le esigenze di controllo (e, dunque, di prevenzione del pericolo di commissione di altri reati).
Da questo punto di vista, il Tribunale non spiega, innanzitutto, che cosa significhi l’affermazione riportata nel proprio provvedimento secondo cui tale
attività non sia “stata riscontrata dalla P.S.” (non avendo avuto ancora inizio, nessuna verifica evidentemente sarebbe stato possibile svolgere), né perché, ritenendosi il carattere eventualmente itinerante del lavoro incompatibile con l’esigenza di prevenzione, non poteva allora essere adottata, ai sensi del comma 6 dell’art. 47 Ord. Pen., la prescrizione dell’obbligo di soggiorno nel comune dove il ricorrente aveva attestato che si sarebbe svolta in via esclusiva l’attività lavorativa.
Per quanto fin qui osservato, dunque, deve ritenersi che la prognosi negativa cui è approdato il Tribunale di Sorveglianza circa l’idoneità della misura dell’affidamento in prova a contribuire alla rieducazione del reo, assicurando al tempo stesso la prevenzione del rischio di recidiva, sia infine derivata da una valutazione incompleta dei requisiti previsti dalla legge per l’accesso a tale misura alternativa.
Ne consegue, pertanto, che l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Sorveglianza di Roma per un nuovo giudizio, da svolgersi alla luce dei principi che sono stati sopra richiamati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Sorveglianza di Roma.
Così deciso il 20.9.2024