Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 3721 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1   Num. 3721  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CATANIA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 15/03/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di CATANIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata;
RITENUTO IN FATTO
 Con il provvedimento in epigrafe, emesso il 15 marzo 2023, il Tribunale di sorveglianza di Catania ha ammesso NOME COGNOME, condannato all’espiazione di pena detentiva, alla detenzione domiciliare e ha contestualmente rigettato l’istanza proposta dallo stesso condannato di affidamento in prova al servizio sociale dichiarando non concedibile tale misura.
Il Tribunale ha considerato che non potesse ammettersi COGNOME all’affidamento in prova a cagione della sua pericolosità sociale, reputata ostativa all’accesso del condannato a quella misura alternativa, mentre la misura, meno ampia, della detenzione domiciliare è stata considerata adeguatamente contenitiva della pericolosità sociale del medesimo.
Avverso il provvedimento ha proposto ricorso il difensore di COGNOME chiedendo l’annullamento dello stesso sulla scorta di un unico motivo con cui si lamentano la violazione dell’art. 47 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e succ. modd. (Ord. pen.) e il corrispondente vizio della motivazione.
Premesso che COGNOME aveva visto applicarsi, per i reati ascrittigli, la pena concordata di anni quattro di reclusione, di cui mesi sei lo avevano visto in custodia cautelare in carcere e un altro rilevante periodo, iniziato il 20.10.2021, aveva contemplato per lui gli arresti domiciliari, fino a quando il Pubblico ministero aveva emesso il 19.05.2022 l’ordine di esecuzione per la pena residua mantenendo il condannato in regime di detenzione domiciliare, la difesa censura la determinazione del Tribunale di sorveglianza, in quanto nel provvedimento appare del tutto omesso l’esame degli elementi indicativi della revisione critica avviata dal medesimo.
Invece – sostiene la difesa – i giudici di sorveglianza hanno annesso rilievo in modo esclusivo alla gravità del reato: criterio valutativo erroneo, perché, ove ci si concentri la disamina sulla sola gravità del reato, la valutazione prognostica si profila stata inevitabilmente negativa e ci si discosta dalla costante elaborazione interpretativa, che annette rilievo principale proprio alla verifica dell’avvio della revisione critica.
In tal senso il ricorrente segnala che il provvedimento non ha spiegato la ragione per la quale il percorso da lui compiuto e descritto negli atti dell’istruttoria tecnica pure richiamata (la relazione UEPE e le informazioni di polizia) non sia stato ritenuto idoneo a dimostrare l’avvio del suddetto percorso di revisione, atteso che l’omissione della corrispondente valutazione ha determinato l’obliterazione dell’assenza di precedenti condanne e di carichi pendenti, del ripudio delle condotte devianti, dell’attaccamento al contesto
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familiare, dell’attuale dedizione al lavoro, dell’ammissione delle proprie responsabilità per i reati commessi: dati tutti indicativi della prospettiva risocializzante in atto.
Si critica, in particolare, la mancata considerazione dell’attività lavorativa in corso, al cui svolgimento COGNOME era stato autorizzato dal giudice della cognizione, attività interrotta a seguito dell’emissione del provvedimento impugnato, che non conteneva l’autorizzazione alla prosecuzione di essa, pur dando atto della regolare condotta del condannato durante la sua pregressa collocazione agli arresti domiciliari.
La difesa, al riguardo, rimarca l’erronea applicazione dell’art. 47 Ord. pen., sia per non aver tenuto conto della positiva condotta del condannato dopo la commissione del reato, sia per aver ritenuto troppo ampia la misura dell’affidamento in prova senza sperimentare la possibilità di circoscrivere la sfera di libertà del reo con le opportune prescrizioni, pure contemplate dalla norma, mediante le quali sarebbe stato possibile conformare l’affidamento in modo da realizzare la funzione rieducativa e contenere la residua pericolosità sociale del destinatario, fermo restando che il Tribunale avrebbe dovuto motivare su quali dati potesse reputarsi che COGNOME fosse portatore di una pericolosità sociale di grado tale da escludere la sua ammissione all’affidamento in prova.
 Il Procuratore generale ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata, in quanto la motivazione che la connota – estremamente succinta non fornisce adeguata ragione del rigetto della misura alternativa richiesta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
 Il ricorso è da ritenersi fondato, in relazione all’unica statuizione impugnata, quella di rigetto dell’istanza di applicazione della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale, impregiudicata quindi l’avvenuta concessione della detenzione domiciliare, che non ‘ ha formato oggetto di impugnazione.
Il Tribunale di sorveglianza, come si è già rilevato, si è determinato a negare l’accesso del condannato a questa misura, in quanto ha ritenuto l’affidamento in prova misura alternativa inadeguata a contenere la pericolosità sociale dell’istante, pericolosità desunta, all’esito dell’istruttoria espletata, co esclusivo riferimento al fatto che l’istante era stato condannato per i reati di cui agli artt. 416, 648-ter cod. pen. e 2 e 10 – ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, commessi dal 2018 al 2021.
La motivazione addotta dai giudici di sorveglianza, considerate anche le riflessioni pure svolte nel provvedimento per giustificare il riconoscimento della diversa misura alternativa della detenzione domiciliare, non può ritenersi adeguata e coerente.
3.1. Richiamando il corrispondente principio di diritto consolidato e meritevole di essere ribadito, occorre ricordare che, quando debba valutarsi se fare luogo o meno alla concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale, pur non potendo prescindersi dalla natura e dalla gravità dei reati per i quali è stata irrogata la pena in espiazione, quale punto di partenza dell’analisi della personalità del soggetto, la considerazione di tale gravità, al pari di quella relativa ai precedenti penali, non è sufficiente, poiché è sempre necessaria la valutazione della condotta successivamente serbata dal condannato, essendo indispensabile anche l’esame dei comportamenti successivi e attuali del medesimo, in ragione dell’esigenza, connaturata alla ratio dell’istituto, di accertare non solo l’assenza di indicazioni negative, ma anche la presenza di elementi positivi, tali da consentire un giudizio prognostico di buon esito della prova e di prevenzione del pericolo di recidiva.
D’altro canto, non va trascurato che per la favorevole delibazione dell’istanza non può esigersi, in positivo, la dimostrazione che il soggetto abbia già compiuto una completa revisione critica del proprio passato, bensì è sufficiente che – dai risultati dell’osservazione della personalità – emerga che un siffatto processo critico sia stato almeno avviato, nella prospettiva di un suo ottimale reinserimento sociale (Sez. 1, n. 1410 del 30/10/2019, dep. 2020, M., Rv. 277924 – 01; Sez. 1, n. 31420 del 05/05/2015, COGNOME, Rv. 264602 – 01; Sez. 1, n. 773 del 03/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258402 – 01): la misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale, invero, non postula come presupposto indispensabile al suo riconoscimento la verifica di una già conseguita, radicale emenda da parte del condannato, che costituisce, al contrario, l’obiettivo da · raggiungere con il completamento del processo di risocializzazione, esigendo piuttosto il riscontro dell’esistenza di elementi dai quali possa desumersi l’avvenuto, sicuro inizio di questo processo; inizio del percorso di emenda che si richiede in modo concettualmente ineludibile per qualsiasi condannato, quale che sia la natura del reato commesso.
In questa prospettiva, in funzione di una congrua valutazione ai fini dell’ammissione alla misura disciplinata dall’art. 47 Ord. pen. e, quindi, al fine di accertare se essa possa concretamente contribuire alla rieducazione del reo e assicurare la prevenzione del pericolo che commetta nuovi reati, rileva la dimostrazione che egli si sia determinato a introiettare la consapevolezza della
necessità di rispettare le leggi penali e ispirare la propria condotta al rispetto dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale sanciti dall’ordinamento medesimo, con la conseguente necessità di verificare, non soltanto l’assenza di indicazioni negative, ma anche la presenza di elementi positivi, tali da autorizzare un giudizio prognostico di buon esito della prova e di prevenzione del pericolo di recidiva (Sez. 1, n. 4390 del 20/12/2019, dep. 2020, Nicolai, Rv. 278174 – 01).
Si considera, quindi, essenziale un’esauriente disamina degli elementi acquisiti nel corso dell’istruttoria, dovendo il giudice, in particolare, esaminare le relazioni provenienti dagli organi deputati all’osservazione del condannato, pur senza essere in alcun modo vincolato dai giudizi di idoneità ivi espressi, ma essendo tenuto a considerare le riferite informazioni sulla personalità e lo stile di vita dell’interessato, parametrandone la rilevanza alle istanze rieducative e ai profili di pericolosità dell’interessato, secondo la gradualità che governa l’ammissione ai benefici penitenziari (Sez. 1, n. 23343 del 23/03/2017, COGNOME, Rv. 270016 – 01; l’importanza della delibazione relativa ai risultati dell’osservazione del comportamento del condannato è rimarcata da Sez. 1, n. 5981 del 21/09/2016, dep. 2017, Panelli, Rv. 269033 – 01).
3.2. Non potendo prescindersi, dunque, dalla condotta tenuta dal condannato dopo la commissione del reato e dai suoi comportamenti attuali, essendo – questi elementi – essenziali ai fini della verifica inerente all’esistenza di un effettivo processo di recupero sociale e della prevenzione del pericolo di recidiva e all’idoneità della misura alternativa, quando l’affidamento in prova sia richiesto prima dell’inizio dell’espiazione della pena, diviene necessario procedere alla considerazione anche della condotta mantenuta in stato di libertà, dopo la condanna, pure nel corso dell’esperimento di altra misura alternativa alla detenzione per stabilire la prognosi favorevole o meno circa l’astensione da parte del soggetto dal compimento in futuro di nuove azioni criminose.
Del pari suscettibile di congrua valutazione, pur nel concorso con tutti gli altri indici rilevanti, appare doversi considerare il comportamento serbato dal condannato restato agli domiciliari esecutivi.
Quel che rileva, nell’indicata prospettiva, è l’analisi della personalità individuale, con la verifica della sua evoluzione psicologica, che dal fatto di reato si deve estendere ai precedenti e alle pendenze penali, agli eventuali progressi compiuti dal condannato nel periodo successivo e alla condotta di vita precedente e susseguente alla condanna, da effettuare sulla scorta dei dati conoscitivi forniti dall’osservazione e dalle valutazioni offerte dal servizio sociale, allo scopo di accertare l’idoneità dell’affidamento in prova a contribuire al reinserimento sociale del condannato e al sicuro contenimento del residuo di
pericolosità sociale in principio eventualmente esistente (Sez. 1, n. 9439 del 06/02/2015, NOME, non mass.).
L’onere motivazionale così configurato non può dirsi essere stato assolto in modo adeguato dall’ordinanza impugnata per la sua parte dedicata all’affidamento in prova: invero, il Tribunale ha dedicato a tale punto della decisione il solo riferimento dianzi richiamato così esaurendo la giustificazione del diniego in un troppo sintetico, pressoché oracolare, riferimento ai reati commessi dal condannato, senza neanche estrinsecare la specifica ragione per la quale la pregressa consumazione di tali reati dovesse ritenersi univocamente sintomatica della immanente pericolosità sociale.
4.1. In particolare, non sono state esposte specifiche argomentazioni che spiegassero quali fossero le risultanze inerenti al periodo, complessivamente non breve, in cui COGNOME, ristretto in condizioni di detenzione, prima inframuraria e poi domiciliare, prima della emissione dell’ordine di esecuzione.
Che, al contrario, il comportamento del condannato, in quel rilevante intervallo temporale successivo ai reati qui considerati, quanto meno, non sia stato suscettibile di valutazione negativa lo ha, per altro verso, segnalato lo stesso Tribunale di sorveglianza nella parte del provvedimento in cui, per giustificare l’ammissione di COGNOME alla misura della detenzione domiciliare, ha segnalato che il soggetto aveva mantenuto una condotta regolare durante gli arresti domiciliari in corso.
In sostanza, nessuna indicazione concreta si può desumere dalla motivazione offerta dai giudici di sorveglianza per poter ritenere adeguatamente argomentata la conclusione, nemmeno esposta in modo chiaro, che il percorso di revisione critica propedeutico all’affidamento in prova al servizio sociale chiesto da COGNOME non sia stato affatto intrapreso dal condannato.
Discende da questa constatazione la considerazione che è mancata un’adeguata analisi della condotta successivamente serbata dal condannato, mentre era indispensabile anche l’esame dei comportamenti attuali del medesimo, onde effettuare la conseguente valutazione sinottica: questa necessaria disamina, nell’ordinanza impugnata, non si è tradotta in una motivazione effettiva in ordine allo scrutinio degli elementi distintivi del comportamento del condannato fino al tempo attuale, la cui obliterazione appare ancor più chiara ove si consideri che, come si è notato, in relazione alla pur diversa misura della detenzione domiciliare biennale, l’asseverata assenza di controindicazioni specifiche non appare escludere l’avvio di una concreta e percepibile revisione critica da parte del condannato.
4.2. Conclusivamente, in relazione all’affidamento in prova, il provvedimento
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impugnato si è connotato per una motivazione espressiva di una valutazione unilateralmente sbilanciata verso l’attribuzione di una rilevanza impediente ai reati la cui pena è oggetto di espiazione, con corrispondente deminutio operata in modo non sorretto da congruo discorso giustificativo – degli elementi relativi al comportamento successivo e all’avviamento del percorso di emenda da parte del condannato.
Ricollegando a una chiave esclusivamente retrospettiva la considerazione dell’omesso raggiungimento da parte del condannato di un grado apprezzabile di reinserimento sociale e così valutandolo ancora portatore di pericolosità sociale non contenibile con l’affidamento in prova, l’ordinanza in esame ha fatto derivare soltanto da tale elemento l’assenza di percepibile revisione critica nella sua condotta, senza però compiere la contestuale valutazione degli altri fattori sopra indicati, il cui scrutinio, pur riguardato sullo sfondo del pregresso vissuto antigiuridico, non è meno importante per stabilire in modo argomentato se sussista o no quella pericolosità sociale ostativa, per il rischio di recidiva, alla misura negata e, in via coordinata e speculare, se il condannato abbia maturato la sufficiente consapevolezza della necessità di rispettare le leggi penali e di ispirare la propria condotta al rispetto dei doveri inderogabili di solidarietà.
Mancando tale valutazione bilanciata, la motivazione deve ritenersi carente.
In considerazione dell’emerso vizio, l’ordinanza impugnata va, pertanto, annullata, per quanto concerne la statuizione di rigetto dell’istanza di affidamento in prova al servizio sociale, con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Catania per nuovo giudizio, da compiersi nel rispetto dei principi dianzi indicati.
P.Q.M .
Annulla l’ordinanza impugnata relativamente al punto concernente l’affidamento in prova con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Catania.
Così deciso il 24 novembre 2023
II Consighere estensore
Il Presidente