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Affidamento in prova: valutazione completa obbligatoria

La Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza che negava l’affidamento in prova a un detenuto. La decisione era basata su una relazione datata e non considerava elementi favorevoli recenti, come opportunità lavorative. La Cassazione ha ribadito che la valutazione per l’affidamento in prova deve essere completa, attuale e non può fondarsi solo su elementi negativi del passato, essendo sufficiente l’avvio di un percorso di revisione critica.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in Prova: La Valutazione Non Può Essere Superficiale o Datata

L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta uno strumento cruciale nel nostro ordinamento per favorire il reinserimento sociale del condannato. Tuttavia, la sua concessione dipende da una valutazione attenta e completa da parte del Tribunale di Sorveglianza. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. n. 45956/2024) ha riaffermato un principio fondamentale: tale valutazione non può essere né superficiale né basata su informazioni superate. Analizziamo insieme questo importante caso.

I Fatti del Caso e la Decisione Iniziale

Un uomo, condannato per reati di appropriazione indebita, bancarotta e diffamazione, con fine pena previsto per il 2028, presentava istanza per essere ammesso all’affidamento in prova al servizio sociale. La sua richiesta era supportata da concrete opportunità lavorative e dalla disponibilità a svolgere attività di volontariato.

Tuttavia, il Tribunale di Sorveglianza di Lecce respingeva la domanda. La motivazione del diniego si basava essenzialmente su due punti: una relazione di sintesi, risalente a oltre un anno prima, che indicava come ‘incompleto’ il processo di revisione critica del condannato, e la ritenuta necessità di una ‘sperimentazione esterna’ preliminare attraverso la concessione di permessi premio.

I Motivi del Ricorso: una motivazione apparente sull’affidamento in prova

La difesa del condannato ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la decisione del Tribunale di Sorveglianza fosse viziata da un’applicazione errata della legge e da un difetto di motivazione. In particolare, si evidenziava come il Tribunale avesse ignorato gli elementi positivi presentati nella domanda (proposte di lavoro e volontariato), concentrandosi unicamente sui precedenti penali e su una relazione di osservazione ormai datata. Paradossalmente, proprio quella relazione indicava che un serio percorso di revisione critica era comunque stato avviato.

Il ricorrente lamentava, inoltre, il mancato esame della domanda subordinata di ammissione alla semilibertà.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando la decisione del Tribunale di Sorveglianza. Le motivazioni della Cassazione sono chiare e riaffermano principi consolidati in materia di esecuzione della pena.

Innanzitutto, si sottolinea che il giudice, nel formulare la prognosi sulla pericolosità sociale del condannato, ha l’obbligo di considerare tutti gli elementi a sua disposizione, sia quelli favorevoli che quelli sfavorevoli. Ignorare, come avvenuto nel caso di specie, le prospettive di reinserimento sociale e lavorativo presentate dall’interessato costituisce una violazione del dovere di completezza della motivazione.

In secondo luogo, la Corte ribadisce che, ai fini della concessione dell’affidamento in prova, non possono avere un peso decisivo e isolato elementi come la gravità del reato, i precedenti penali o la mancata ammissione di colpevolezza. L’istituto stesso, con le sue prescrizioni, è finalizzato a favorire il recupero del condannato.

Infine, e questo è il punto cruciale, non è richiesta la prova che il soggetto abbia completato una revisione critica del proprio passato. È sufficiente che emerga, dagli atti, che un tale processo sia stato almeno avviato. Basare un diniego su una relazione di un anno prima, che peraltro già attestava l’inizio di questo percorso, è stato ritenuto illogico e contrario alla giurisprudenza consolidata.

Le Conclusioni

La sentenza in esame ha importanti implicazioni pratiche. Essa serve da monito per i Tribunali di Sorveglianza, richiamandoli alla necessità di una valutazione sempre attuale, completa e proiettata al futuro. La prognosi sulla rieducazione non può essere un giudizio statico ancorato al passato, ma deve essere un’analisi dinamica che tenga conto di ogni progresso e di ogni elemento che possa favorire il reinserimento del condannato nella società. Un diniego basato su dati vecchi o su una visione parziale degli elementi istruttori non solo è illegittimo, ma vanifica la funzione rieducativa della pena sancita dalla Costituzione.

Può il Tribunale negare l’affidamento in prova basandosi solo su una relazione vecchia di un anno?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la decisione non può basarsi essenzialmente su una relazione datata, ma deve considerare tutti gli elementi istruttori disponibili, inclusi quelli più recenti e favorevoli al richiedente.

Per ottenere l’affidamento in prova, è necessario aver completato un percorso di revisione critica del proprio passato?
No. Secondo la sentenza, non è richiesta la prova di una completa revisione critica. È sufficiente che dai risultati dell’osservazione della personalità emerga che un tale processo critico sia stato almeno avviato.

La gravità del reato e i precedenti penali possono da soli impedire la concessione dell’affidamento in prova?
No. La Corte ha chiarito che elementi come la gravità del reato per cui è intervenuta la condanna o i precedenti penali non possono, da soli, assumere un rilievo decisivo in senso negativo per respingere l’istanza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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