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Affidamento in prova: valutazione completa del giudice

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza che negava l’affidamento in prova basandosi solo sulla gravità del reato e sulla mancanza di un programma di reinserimento. La sentenza stabilisce che per concedere la misura alternativa, il giudice deve effettuare una valutazione completa e attuale della personalità del condannato, considerando la sua condotta successiva al reato e il suo percorso di reinserimento sociale, senza fermarsi a elementi singoli come la mancanza di un lavoro.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in prova: non basta la gravità del reato per negarlo

L’affidamento in prova ai servizi sociali rappresenta uno strumento fondamentale per il reinserimento sociale del condannato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. N. 4891/2024) ribadisce un principio cruciale: la decisione di concedere o negare questa misura non può basarsi unicamente sulla gravità del reato commesso in passato o sulla mancanza di un programma di trattamento predefinito. È necessaria un’analisi completa e attuale della personalità del soggetto. Analizziamo insieme questo importante caso.

I Fatti del Caso

Un uomo, condannato in Romania per reati di truffa e falso commessi fino al 2009, presentava istanza di affidamento in prova ai servizi sociali in Italia, dove risiedeva dal 2016 senza aver mai ricevuto nuove condanne. Il Tribunale di sorveglianza di Roma rigettava la richiesta, concedendo invece la detenzione domiciliare. La decisione del Tribunale si fondava principalmente su due elementi: la gravità dei reati per cui era stato condannato e l’assenza di un programma di rieducazione finalizzato a prevenire il rischio di recidiva.

La Decisione del Tribunale e il Ricorso in Cassazione

Il condannato ha impugnato l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza, lamentando una motivazione carente e una violazione di legge. Sosteneva che il Tribunale non avesse adeguatamente considerato elementi positivi fondamentali, quali:
– Il lungo tempo trascorso dai fatti criminosi (cessati nel 2009).
– La sua condotta irreprensibile in Italia dal 2016.
– Il comportamento corretto tenuto durante la detenzione domiciliare.
– La mancata acquisizione della relazione sull’osservazione del suo comportamento in carcere.
In sostanza, il ricorso evidenziava come la valutazione del giudice si fosse fermata a un’analisi statica del passato, ignorando il percorso evolutivo e la condotta attuale del richiedente.

L’Affidamento in Prova e la Valutazione Complessiva

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza e rinviando il caso a un nuovo esame del Tribunale di sorveglianza. La Suprema Corte ha chiarito che, ai fini della concessione dell’affidamento in prova, la gravità dei reati è solo il punto di partenza dell’analisi sulla personalità del soggetto, ma non può essere l’unico né il decisivo. È indispensabile una valutazione dinamica che tenga conto di tutti gli elementi disponibili.

Le Motivazioni della Sentenza

I giudici di legittimità hanno sottolineato che il Tribunale di sorveglianza ha errato nel fondare la sua decisione esclusivamente sulla gravità dei reati e sulla mancanza di un programma trattamentale, senza approfondire le ragioni di tale assenza. Non è stato chiarito se la mancanza del programma fosse dovuta a una cattiva volontà dell’interessato o a un’impossibilità oggettiva di reperire un’attività lavorativa o di volontariato.
La Corte ha ribadito che lo svolgimento di un’attività lavorativa è solo uno degli elementi utili a formulare un giudizio prognostico favorevole, ma non può costituire una condizione ostativa all’accesso alla misura, specialmente se l’impossibilità è legata a ragioni di età o salute.
Il Tribunale, secondo la Cassazione, ha omesso di considerare e valutare tutti gli elementi derivanti dall’osservazione della personalità del condannato e dalla sua condotta successiva al reato, che sono fondamentali per formulare una ragionevole prognosi di completo reinserimento sociale.

Le Conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio di civiltà giuridica: la valutazione per l’accesso alle misure alternative deve essere completa e individualizzata. Un giudice non può fermarsi alla ‘fotografia’ del reato commesso anni prima. Deve, invece, analizzare il ‘film’ della vita del condannato, considerando i progressi, i cambiamenti e tutti gli elementi attuali che possono indicare un percorso di risocializzazione già avviato. La decisione di negare l’affidamento in prova deve essere sorretta da una motivazione approfondita che dia conto di un’analisi globale della persona, altrimenti risulta illegittima.

La gravità del reato commesso in passato è sufficiente per negare l’affidamento in prova?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la natura e la gravità del reato costituiscono solo il punto di partenza dell’analisi sulla personalità del soggetto, ma è necessaria una valutazione complessiva della condotta successiva e degli elementi attuali per formulare una prognosi sul reinserimento sociale.

La mancanza di un lavoro o di un programma di trattamento impedisce di ottenere l’affidamento in prova?
No. L’assenza di un’attività lavorativa o di volontariato non può rappresentare una condizione ostativa automatica. Il giudice deve indagare le cause di tale mancanza e valutare tutti gli altri elementi positivi che possono sostenere un giudizio favorevole, come la condotta post-reato e il contesto socio-familiare.

Quali elementi deve considerare il Tribunale di Sorveglianza per decidere sulla richiesta di affidamento in prova?
Il Tribunale deve valutare un’ampia gamma di fattori, tra cui il reato commesso, i precedenti penali, la condotta carceraria, i risultati dell’indagine socio-familiare, l’assenza di nuove denunce, il ripudio delle condotte passate, l’adesione a valori socialmente condivisi e ogni altro elemento utile a formulare una prognosi ragionevole sul buon esito della misura.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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