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Affidamento in prova: valutazione anche per residenti

La Corte di Cassazione ha annullato la decisione di un Tribunale di Sorveglianza che aveva negato l’affidamento in prova a un cittadino residente all’estero. Il diniego era basato sulla mancanza di un domicilio e di un’attività risocializzante in Italia. La Suprema Corte ha stabilito che il giudice deve considerare tutti gli elementi positivi, come la stabile vita all’estero e gli sforzi concreti per trovare una sistemazione in Italia, senza fermarsi a una valutazione parziale e illogica. La sentenza sottolinea che la valutazione per l’affidamento in prova deve essere olistica e finalizzata al reinserimento sociale.

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Pubblicato il 22 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in Prova: Come la Cassazione Valuta il Residente all’Estero

L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta uno strumento fondamentale per il reinserimento sociale del condannato. Ma cosa accade quando il richiedente vive e lavora stabilmente all’estero? Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 37097/2024, offre chiarimenti cruciali, affermando che il giudice non può negare la misura basandosi unicamente su difficoltà logistiche, come la mancanza di un domicilio immediato in Italia, ma deve compiere una valutazione completa della persona. Questo caso dimostra come una visione d’insieme della vita del condannato sia essenziale per una decisione giusta e conforme allo spirito della legge.

I Fatti del Caso: Dalla Richiesta in Austria al Rifiuto in Italia

Il protagonista della vicenda è un uomo, condannato a una pena di 2 anni e 8 mesi di reclusione, che da anni vive e lavora in Austria con la sua famiglia. Inizialmente, ottiene l’ammissione all’affidamento in prova da eseguirsi proprio in Austria. Tuttavia, la procedura si interrompe: le autorità austriache negano il riconoscimento della sanzione per difetto del requisito della “doppia incriminazione”, in quanto il reato per cui era stato condannato in Italia non è previsto come tale dalla legge austriaca, costituendo solo un illecito amministrativo. Di conseguenza, il provvedimento italiano viene revocato.

A questo punto, l’uomo avanza una nuova istanza per svolgere l’affidamento in prova in Italia. Il Tribunale di Sorveglianza di Bologna, però, la respinge. La motivazione? Il condannato risulterebbe privo di un’attività risocializzante e di un domicilio sul territorio nazionale, oltre a una presunta scarsa collaborazione con l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE). Contro questa decisione, l’uomo ricorre in Cassazione.

I Criteri per la Concessione dell’Affidamento in Prova

Prima di analizzare la decisione della Suprema Corte, è utile ricordare i principi che regolano la concessione dell’affidamento in prova. L’articolo 47 dell’ordinamento penitenziario stabilisce che la misura è finalizzata a favorire il reinserimento sociale del condannato, evitando gli effetti desocializzanti del carcere.

Elemento centrale è il “giudizio prognostico” favorevole. Il giudice deve valutare la personalità del soggetto e la sua condotta successiva al reato per prevedere se, durante il periodo di prova, si asterrà dal commettere ulteriori crimini. Come ribadito da costante giurisprudenza, questa valutazione non può limitarsi alla gravità del reato commesso, ma deve necessariamente includere l’analisi di elementi positivi attuali, come un percorso di revisione critica del proprio passato e un comportamento collaborativo.

Le Motivazioni della Cassazione: Una Valutazione Illogica

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso, definendo “illogica” l’argomentazione del Tribunale di Sorveglianza. Secondo gli Ermellini, il Tribunale ha commesso un errore fondamentale: ha ignorato tutti gli indicatori positivi, concentrandosi solo sulle difficoltà pratiche.

Il fatto stesso che la misura fosse stata inizialmente concessa per l’esecuzione in Austria dimostrava che i presupposti soggettivi (personalità, revisione critica, stabilità lavorativa e familiare) erano già stati valutati positivamente. La successiva revoca era dipesa da un cavillo giuridico internazionale (la doppia incriminazione), non da un cambiamento negativo nel comportamento del condannato.

Inoltre, la Corte sottolinea come il Tribunale abbia travisato il concetto di “scarsa collaborazione”. Dalla stessa relazione dell’UEPE emergeva che l’uomo si era attivato concretamente per trovare un domicilio e un’attività in Italia, precisamente a Trieste. La difficoltà nel reperire una sistemazione non può essere interpretata come mancanza di volontà, ma come un ostacolo oggettivo che il condannato stava cercando di superare.

Le Conclusioni: L’Importanza di una Visione d’Insieme

La sentenza stabilisce un principio di grande importanza pratica: nella valutazione per l’affidamento in prova, il giudice è tenuto a un’analisi completa e non parziale. Non può fermarsi di fronte a ostacoli pratici, soprattutto quando il condannato dimostra un impegno attivo per superarli. La stabilità lavorativa e familiare, anche se consolidata all’estero, e un percorso di vita irreprensibile successivo al reato sono elementi positivi preponderanti che non possono essere ignorati.

La Corte di Cassazione ha quindi annullato l’ordinanza, rinviando il caso al Tribunale di Sorveglianza di Bologna per un nuovo giudizio che dovrà tenere conto di tutti gli aspetti della vicenda, in linea con la finalità rieducativa della pena.

La residenza stabile all’estero impedisce di ottenere l’affidamento in prova in Italia?
No. Secondo la Corte, la stabilità di vita e lavoro all’estero è un indice positivo. Il giudice deve valutare gli sforzi concreti del condannato per trovare un domicilio in Italia e non può negare la misura solo per le difficoltà logistiche che questo comporta.

Cosa deve considerare il giudice per concedere l’affidamento in prova?
Il giudice deve compiere una valutazione complessiva della personalità del soggetto, considerando non solo la gravità del reato commesso anni prima, ma soprattutto la condotta successiva, i comportamenti attuali e la presenza di elementi positivi che facciano presagire un buon esito della misura e un basso rischio di recidiva.

Una precedente ammissione alla misura, poi revocata per motivi formali, ha valore nella nuova decisione?
Sì. La Cassazione ha ritenuto che il fatto che l’affidamento fosse già stato concesso una prima volta (per essere eseguito all’estero) comprovasse la sussistenza dei presupposti soggettivi positivi. Questa precedente valutazione favorevole non può essere ignorata nel nuovo giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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