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Affidamento in prova: si può negare per mancanza di lavoro?

La Corte di Cassazione ha annullato la decisione di un Tribunale di Sorveglianza che negava l’affidamento in prova a un uomo anziano e con problemi di salute solo per l’assenza di un progetto lavorativo. La Corte ha stabilito che la mancanza di un lavoro non è un ostacolo automatico, specialmente quando esistono altri elementi positivi e la persona si è resa disponibile a svolgere attività di volontariato. Il giudice deve effettuare una valutazione completa della personalità del condannato e del suo percorso rieducativo.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in prova: Non basta l’assenza di un lavoro per negarlo

L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta uno strumento fondamentale per il reinserimento sociale del condannato. Ma cosa succede se una persona, a causa dell’età avanzata o di problemi di salute, non è in grado di trovare un’occupazione lavorativa? Questa circostanza può giustificare da sola il rigetto della richiesta? Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali su questo punto, stabilendo che la valutazione del giudice deve essere molto più ampia e non può limitarsi alla sola assenza di un progetto lavorativo.

Il caso: la richiesta di affidamento in prova negata

Il caso esaminato riguarda un uomo, nato nel 1948, che aveva richiesto di essere ammesso alla misura alternativa dell’affidamento in prova. Il Tribunale di Sorveglianza di Bologna aveva respinto la sua istanza basando la decisione su un unico presupposto: la mancanza di una “progettualità esterna”, ovvero di un’attività lavorativa o di volontariato che potesse sostenere il percorso di reinserimento.

Secondo i giudici di merito, questa assenza rendeva impossibile concedere il beneficio, pur riconoscendo le difficoltà oggettive del richiedente, persona anziana, pensionata e con precarie condizioni di salute, nel reperire un’occupazione.

I motivi del ricorso e il principio dell’affidamento in prova

La difesa ha impugnato l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza davanti alla Corte di Cassazione, sostenendo che la motivazione fosse manifestamente illogica. Come si poteva pretendere che una persona di oltre settant’anni, pensionata e malata, trovasse un lavoro come condizione per accedere a una misura alternativa?

Inoltre, la difesa ha sottolineato che il proprio assistito aveva espresso la piena disponibilità a svolgere attività di volontariato o di pubblica utilità, come previsto da recenti modifiche normative (in particolare il D.L. n. 92 del 2024). Il Tribunale, anziché respingere la richiesta, avrebbe dovuto incaricare l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE) di elaborare un progetto adeguato alla sua situazione.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando la decisione del Tribunale di Sorveglianza e rinviando il caso per un nuovo esame. I giudici supremi hanno ribadito alcuni principi fondamentali in materia di affidamento in prova.

In primo luogo, la concessione di una misura alternativa non dipende solo dall’assenza di elementi negativi (come il superamento dei limiti di pena), ma richiede la presenza di elementi positivi che supportino una prognosi favorevole sulla rieducazione del condannato e sulla prevenzione di futuri reati.

In secondo luogo, e questo è il punto cruciale della sentenza, lo svolgimento di un’attività lavorativa è certamente un mezzo importante di reinserimento sociale, ma la sua assenza non costituisce, da sola, una condizione ostativa all’applicazione della misura. Il giudice di merito deve considerare tutti gli elementi a disposizione, tra cui l’età, le condizioni di salute, il comportamento tenuto dopo la commissione del reato e l’evoluzione della personalità.

La Corte ha specificato che negare l’affidamento in prova basandosi esclusivamente sulla mancanza di un’occupazione, specialmente in presenza di circostanze oggettive che la rendono impossibile, equivale a una scorretta applicazione della legge. Il Tribunale, inoltre, ha omesso di considerare la disponibilità del condannato a impegnarsi in attività di volontariato, ignorando le nuove disposizioni normative che valorizzano proprio queste forme di impegno sociale come alternative al lavoro retribuito.

Le conclusioni: una valutazione complessiva della persona

La decisione della Cassazione rafforza un principio di civiltà giuridica: la valutazione per la concessione di una misura alternativa deve essere personalizzata e basata su un’analisi complessiva del percorso del condannato. Imporre requisiti impossibili da soddisfare, come trovare un lavoro in età avanzata e in condizioni di salute precarie, snatura la funzione rieducativa della pena. La sentenza sottolinea l’importanza di percorsi alternativi, come il volontariato, e il ruolo attivo che l’UEPE deve avere nel costruire progetti di reinserimento su misura, garantendo che l’accesso ai benefici penitenziari sia concreto e non solo una possibilità teorica.

L’assenza di un’attività lavorativa impedisce di ottenere l’affidamento in prova?
No, secondo la Corte di Cassazione, la mancanza di un lavoro non costituisce da sola una condizione ostativa all’applicabilità della misura. Il giudice deve valutare la situazione complessiva del condannato, considerando unitamente tutti gli elementi a disposizione.

Cosa deve fare il giudice se il condannato non può lavorare per età o salute?
Il giudice deve verificare la presenza di altri elementi idonei a fondare un giudizio prognostico favorevole al reinserimento sociale. Deve inoltre considerare la disponibilità del condannato a svolgere, in sostituzione, un idoneo servizio di volontariato o attività di pubblica utilità.

Qual è il ruolo dell’UEPE in questi casi?
Nel caso in cui il condannato si dichiari disponibile a svolgere attività di volontariato ma non abbia un progetto definito, il giudice dovrebbe coinvolgere l’UEPE (Ufficio di Esecuzione Penale Esterna) affinché si interessi di strutturare un programma adeguato, come previsto dalle normative vigenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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