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Affidamento in prova: serve un progetto di reinserimento

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un condannato contro il diniego dell’affidamento in prova. La Corte conferma che, sebbene un lavoro stabile non sia un requisito assoluto, l’assenza totale di un’attività lavorativa, di volontariato o formativa impedisce di formulare una prognosi favorevole al reinserimento sociale, giustificando la reiezione della misura alternativa.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in prova: perché un’attività lavorativa o di volontariato è cruciale

L’ordinamento penale italiano prevede diverse misure alternative alla detenzione, finalizzate alla rieducazione e al reinserimento sociale del condannato. Tra queste, l’affidamento in prova al servizio sociale riveste un ruolo centrale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: per accedere a questa misura, non basta la semplice assenza di pericolosità, ma è necessario un progetto concreto di reinserimento, fondato su attività tangibili come il lavoro o il volontariato.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato riguarda un condannato che si è visto negare l’affidamento in prova dal Tribunale di Sorveglianza. Al posto della misura richiesta, i giudici avevano optato per una soluzione più contenitiva, la detenzione domiciliare. La motivazione di tale scelta risiedeva nella mancanza, da parte del richiedente, di una proposta concreta di attività (lavorativa, di volontariato, formativa o di pubblica utilità) che potesse sostenere un percorso rieducativo. Ritenendo ingiusta la decisione, il condannato ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, lamentando una violazione di legge e un difetto di motivazione.

L’analisi della Corte e il valore dell’affidamento in prova

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in pieno la validità del ragionamento del Tribunale di Sorveglianza. I giudici supremi hanno chiarito che il ricorso, in realtà, non evidenziava reali vizi giuridici, ma mirava a ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti, operazione non consentita in sede di legittimità.

Nel merito, la Corte ha ribadito un orientamento giurisprudenziale consolidato. Se è vero che un contratto di lavoro stabile non è un prerequisito assoluto per la concessione dell’affidamento in prova, è altrettanto vero che l’esistenza di un’attività strutturata è uno degli elementi più importanti per formulare un giudizio prognostico favorevole. L’assenza totale di proposte concrete – siano esse lavorative, di volontariato o formative – rende impossibile per il giudice prevedere un esito positivo della prova, poiché manca la base stessa su cui costruire un percorso di reinserimento sociale.

Le motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sulla natura stessa dell’affidamento in prova. Questa misura non è una semplice alternativa al carcere, ma un percorso attivo di rieducazione. La sua efficacia dipende dalla capacità del condannato di impegnarsi in attività che lo riconnettano positivamente con la società. Secondo la Corte, il Tribunale di Sorveglianza ha correttamente valutato che l’assenza di qualsiasi prospettiva lavorativa o di impegno sociale rendeva la misura inidonea a contribuire concretamente alla rieducazione del soggetto. La valutazione del giudice di merito è stata considerata esaustiva, logica e rispettosa dei presupposti normativi, in quanto ha legato la prognosi negativa proprio alla mancanza di elementi concreti su cui fondare un percorso di recupero.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame offre un’indicazione pratica molto chiara: chi aspira a ottenere l’affidamento in prova deve presentare al Tribunale di Sorveglianza un progetto di vita credibile e strutturato. Non è sufficiente manifestare l’intenzione di cambiare; è indispensabile dimostrare, con proposte concrete, come si intende impiegare il proprio tempo in modo costruttivo. Che si tratti di un lavoro, di un’attività di volontariato, di un percorso di studi o di lavori socialmente utili, è fondamentale fornire al giudice gli elementi necessari per formulare un giudizio prognostico positivo. In assenza di ciò, come dimostra questo caso, i giudici sono legittimati a negare la misura e a optare per soluzioni alternative più contenitive.

È obbligatorio avere un contratto di lavoro stabile per ottenere l’affidamento in prova?
No, secondo la Corte non è un requisito indispensabile. Tuttavia, l’assenza totale di un’attività lavorativa, di volontariato o formativa può impedire la concessione della misura, in quanto tali attività sono elementi fondamentali per una prognosi favorevole sul reinserimento del condannato.

Perché il Tribunale di Sorveglianza ha negato l’affidamento in prova al ricorrente?
Lo ha negato per la mancanza di proposte concrete di attività lavorative, lavori socialmente utili, volontariato o percorsi formativi. Questa assenza ha reso impossibile formulare una prognosi positiva sull’esito della prova e sulla concreta rieducazione del condannato.

Cosa significa che il ricorso è stato dichiarato ‘inammissibile’?
Significa che la Corte di Cassazione non ha esaminato il caso nel merito perché ha ritenuto che i motivi del ricorso non fossero validi. Il ricorrente, invece di denunciare una reale violazione di legge o un difetto di motivazione, stava semplicemente chiedendo ai giudici di rivalutare i fatti, cosa che non è permessa in quella sede.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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