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Affidamento in prova senza lavoro: la Cassazione chiarisce

Un condannato si è visto negare l’affidamento in prova perché, in assenza di un’attività lavorativa, non ha proposto un programma alternativo di reinserimento. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, sottolineando che, sebbene il lavoro non sia un requisito indispensabile, il richiedente deve dimostrare attivamente un impegno in attività socialmente utili per ottenere il beneficio, specialmente se ha precedenti penali.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in Prova Senza Lavoro: La Cassazione Chiarisce i Requisiti

L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta una fondamentale misura alternativa alla detenzione, mirata al reinserimento del condannato nella società. Ma è possibile ottenerla senza avere un’occupazione stabile? Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto chiarimenti cruciali su questo punto, stabilendo che, sebbene un lavoro non sia un requisito indispensabile, è onere del condannato dimostrare un concreto impegno in attività socialmente utili.

I Fatti del Caso

Un uomo, condannato a una pena di un anno e otto mesi di reclusione, presentava istanza al Tribunale di Sorveglianza per ottenere la misura alternativa dell’affidamento in prova. Il Tribunale, tuttavia, rigettava la richiesta principale, motivando la decisione con il fatto che l’interessato non aveva allegato alcuna prova dello svolgimento di un’attività risocializzante. In subordine, il Tribunale concedeva la misura della detenzione domiciliare.

L’uomo decideva quindi di ricorrere in Cassazione, sostenendo che il Tribunale avesse errato nel non valorizzare adeguatamente altri elementi, come il parere positivo espresso dall’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE) e l’evoluzione positiva della sua personalità, orientata a un effettivo reinserimento sociale. A suo avviso, la decisione era stata ingiustamente basata sulla sola assenza di un’attività lavorativa.

La Disciplina dell’Affidamento in Prova e il Ruolo del Lavoro

La Corte di Cassazione ha colto l’occasione per ribadire i principi che regolano la concessione dell’affidamento in prova. La giurisprudenza consolidata ha da tempo chiarito che la sussistenza di un lavoro non è, di per sé, un requisito indispensabile per accedere al beneficio. Anche l’impossibilità di svolgere un’attività lavorativa, ad esempio per ragioni di età o di salute, non osta alla concessione della misura se esistono altri elementi idonei a fondare un giudizio prognostico favorevole sul reinserimento sociale del condannato.

Tuttavia, la mancanza di un’attività lavorativa impone al richiedente un onere aggiuntivo: quello di prospettare e documentare un’altra attività socialmente utile da svolgere. In altre parole, il condannato deve dimostrare al giudice di avere un piano concreto per impegnare il proprio tempo in modo costruttivo e finalizzato alla rieducazione.

Le Motivazioni della Decisione

Nel caso specifico, la Suprema Corte ha ritenuto il ricorso infondato, confermando la decisione del Tribunale di Sorveglianza. I giudici di legittimità hanno evidenziato come il ricorrente non si fosse adeguatamente confrontato con la motivazione del provvedimento impugnato. Il Tribunale, infatti, non si era limitato a constatare la mancanza di un lavoro, ma aveva sottolineato che non era stata indicata alcuna attività risocializzante alternativa e, soprattutto, non era stata allegata la relativa documentazione.

La Corte ha specificato che il giudice di merito ha correttamente valutato tutti gli elementi a sua disposizione, inclusi i precedenti penali e i procedimenti pendenti a carico del condannato. Questi fattori, considerati nel loro insieme, hanno portato a una motivazione definita ‘ineccepibile e completa’ per il rigetto della richiesta principale. La concessione della detenzione domiciliare è stata quindi una corretta applicazione della legge in risposta a una richiesta gradata.

Le Conclusioni: Cosa Implica questa Sentenza?

La pronuncia in esame offre un’importante lezione pratica per chi intende richiedere l’affidamento in prova. Dimostra che l’assenza di un contratto di lavoro non è un ostacolo insormontabile, ma sposta l’onere della prova sul condannato. È fondamentale non presentare un’istanza generica, ma costruire un progetto di reinserimento solido e documentato, che può includere volontariato, percorsi formativi o altre attività utili alla collettività. In mancanza di un simile progetto, e in presenza di altri elementi negativi come i precedenti penali, le probabilità di ottenere la misura si riducono drasticamente.

È obbligatorio avere un lavoro per ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale?
No, la sentenza chiarisce che la sussistenza di un lavoro non è un requisito indispensabile previsto dalla legge per la concessione del beneficio.

Se non si ha un lavoro, cosa bisogna dimostrare per ottenere l’affidamento in prova?
È necessario dimostrare di volersi impegnare in altre attività utili e risocializzanti, prospettando al giudice un programma concreto e allegando la relativa documentazione per supportare la richiesta.

I precedenti penali possono influire sulla decisione di concedere l’affidamento in prova?
Sì, il giudice di merito tiene conto dei precedenti penali e dei procedimenti pendenti nel formulare il suo giudizio prognostico sulla personalità del condannato e sulle sue possibilità di reinserimento sociale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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