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Affidamento in prova: requisiti e valutazione del giudice

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2640/2024, ha respinto il ricorso di un condannato a cui era stato negato l’affidamento in prova. La Corte ha chiarito che, ai fini della concessione della misura, non basta valutare l’assenza di un lavoro o di un’abitazione, ma è necessario un giudizio prognostico complessivo sulla personalità del condannato, sulla sua pericolosità sociale residua e sulla mancanza di un percorso di riabilitazione concreto.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in Prova: Non Bastano Casa e Lavoro, Serve un Progetto di Vita

L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta una delle più importanti misure alternative alla detenzione, pensata per favorire il reinserimento sociale del condannato. Tuttavia, la sua concessione non è automatica e dipende da una valutazione complessa da parte del Tribunale di Sorveglianza. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 2640 del 2024, offre chiarimenti cruciali sui criteri che guidano questa decisione, sottolineando che l’assenza di una casa o di un lavoro, pur essendo elementi rilevanti, non sono gli unici né i più importanti fattori da considerare.

I Fatti del Caso: Il Diniego del Tribunale di Sorveglianza

Il caso riguarda un uomo condannato per numerosi reati di truffa, commessi fino al 2018. L’uomo aveva presentato istanza per ottenere l’affidamento in prova e, in subordine, la detenzione domiciliare. Il Tribunale di Sorveglianza di Torino aveva respinto entrambe le richieste.
La decisione si basava su una serie di elementi negativi: il condannato non aveva un’abitazione stabile, un’attività lavorativa, né una rete familiare di supporto. A ciò si aggiungeva il parere negativo dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE). Inoltre, la detenzione domiciliare non era concedibile poiché la pena complessiva da scontare superava il limite di legge di due anni.

Il Ricorso in Cassazione e i Criteri per l’Affidamento in Prova

Contro la decisione del Tribunale, il difensore del condannato ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione. La tesi difensiva sosteneva, in sostanza, che non si può negare una misura alternativa unicamente sulla base della mancanza di un lavoro e di un’abitazione.

La Suprema Corte, tuttavia, ha ritenuto il ricorso infondato, confermando la decisione del Tribunale di Sorveglianza. Gli Ermellini hanno chiarito che la valutazione per la concessione dell’affidamento in prova non può limitarsi a un mero controllo di requisiti formali, ma deve consistere in un approfondito giudizio prognostico sulla personalità del richiedente e sulle sue reali possibilità di reinserimento sociale.

La Valutazione del Giudice: Oltre gli Aspetti Materiali

Il punto centrale della sentenza risiede nella natura del giudizio che il magistrato di sorveglianza è chiamato a compiere. La Corte ha specificato che il diniego non era fondato solo sull’assenza di un lavoro e di una casa, ma su una valutazione più ampia che comprendeva:

* La mancanza di un percorso di riabilitazione personale: Il Tribunale aveva rilevato l’assenza di qualsiasi segnale di cambiamento o di un progetto di vita alternativo al percorso criminale.
* La pericolosità sociale residua: Di conseguenza, era stata ritenuta ancora presente una pericolosità sociale tale da ostacolare la concessione del beneficio.
* La relazione negativa dell’UEPE: Il parere dell’ufficio specializzato aveva confermato l’assenza di fattori positivi su cui fondare una prognosi favorevole.

le motivazioni

La Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: per concedere l’affidamento in prova, il giudice deve effettuare un giudizio prognostico complessivo sul buon esito della misura. Questo significa che, pur senza ignorare la gravità dei reati commessi e i precedenti penali, deve valutare attentamente la condotta tenuta dal condannato dopo la commissione dei reati. Elementi rilevanti in questa analisi sono l’assenza di nuove denunce, il ripudio delle condotte devianti passate, l’adesione a valori sociali condivisi, la condotta di vita attuale e l’eventuale prospettiva di risocializzazione. In questo quadro, l’assenza di un lavoro o di una casa diventa sintomo di una più generale mancanza di un progetto di vita stabile e lecito, che giustifica il diniego della misura.

le conclusioni

In conclusione, la sentenza n. 2640/2024 rafforza l’idea che l’affidamento in prova non è un diritto automatico, ma una possibilità legata a un giudizio complesso e multifattoriale. La mancanza di stabilità abitativa e lavorativa non è un ostacolo insormontabile di per sé, ma diventa determinante quando si inserisce in un quadro generale privo di elementi positivi e di un concreto percorso di cambiamento. Per il condannato, non è sufficiente ‘non avere’, ma è indispensabile dimostrare di ‘voler costruire’ un futuro diverso, supportato da un progetto di reinserimento credibile e concreto.

La mancanza di un’abitazione e di un lavoro impedisce automaticamente di ottenere l’affidamento in prova?
No, la sentenza chiarisce che questi elementi, pur importanti, non sono automaticamente ostativi. Tuttavia, vengono valutati nel contesto più ampio di un giudizio prognostico sulla personalità del condannato, sulla sua pericolosità sociale e sulla presenza di un concreto percorso di riabilitazione.

In cosa consiste il ‘giudizio prognostico’ che il giudice deve compiere per concedere l’affidamento in prova?
È una valutazione previsionale sul buon esito della misura. Il giudice deve considerare non solo la gravità dei reati e i precedenti, ma anche la condotta successiva del condannato, l’eventuale ripudio delle scelte passate, l’assenza di nuove denunce e la presenza di una prospettiva di risocializzazione.

Perché nel caso specifico è stata negata anche la detenzione domiciliare?
La detenzione domiciliare è stata negata perché la pena complessiva da scontare, risultante dall’unificazione di più condanne, era superiore ai limiti di legge previsti per la concessione di tale misura alternativa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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