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Affidamento in prova: quando si può negare?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 35490/2024, ha rigettato il ricorso di un detenuto a cui era stato negato l’affidamento in prova. La Corte ha stabilito che, nonostante un precedente provvedimento favorevole, una nuova condanna definitiva per un grave reato costituisce un elemento che aggrava il profilo del condannato, giustificando una nuova valutazione negativa e il diniego della misura alternativa.

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Pubblicato il 19 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in Prova: La Cassazione Chiarisce i Limiti in Caso di Nuove Condanne

L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta uno degli strumenti più importanti del nostro ordinamento per favorire il reinserimento sociale del condannato, offrendo un’alternativa concreta alla detenzione in carcere. Tuttavia, la sua concessione non è automatica, ma è subordinata a una valutazione prognostica positiva da parte del Tribunale di Sorveglianza. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 35490 del 2024, ha chiarito come una nuova condanna definitiva possa cambiare le carte in tavola, giustificando il diniego del beneficio anche a chi in passato ne aveva già usufruito.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un uomo che aveva richiesto l’affidamento in prova in relazione a una pena cumulata. Il Tribunale di Sorveglianza di Catania aveva respinto l’istanza, ritenendo il soggetto socialmente pericoloso e bisognoso di un ulteriore periodo di osservazione in carcere. Il ricorrente, attraverso il suo difensore, ha impugnato questa decisione, evidenziando una presunta contraddizione: un altro Tribunale di Sorveglianza, quello di Messina, gli aveva concesso lo stesso beneficio in precedenza. A suo avviso, gli elementi valutati negativamente dal tribunale catanese (gravità del fatto, pendenze) erano gli stessi che avevano portato alla precedente concessione, rendendo la nuova decisione illogica e carente di motivazione.

Le Condizioni per l’Affidamento in Prova e la Valutazione del Giudice

L’articolo 47 dell’Ordinamento Penitenziario stabilisce che l’affidamento in prova può essere concesso quando si ritiene che la misura possa contribuire alla rieducazione del reo e prevenire il pericolo di nuovi reati. La valutazione del giudice si basa sull’osservazione della personalità del condannato e sul suo comportamento post-reato. La questione centrale del ricorso era se un giudizio prognostico positivo, espresso in passato, potesse essere ribaltato da una successiva decisione negativa basata sugli stessi elementi.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. Il punto cruciale, secondo gli Ermellini, è che la situazione del condannato non era affatto invariata. Successivamente alla prima concessione del beneficio da parte del Tribunale di Messina, era divenuta definitiva una nuova condanna per un reato grave (tentata estorsione). Questo nuovo titolo esecutivo, che al tempo della prima decisione era stato valutato solo in via incidentale, ha comportato la revoca della misura precedente e ha aggravato significativamente il quadro complessivo.

La Corte ha spiegato che è del tutto logico che, al mutare delle condizioni di fatto, possa mutare anche la valutazione complessiva del condannato. L’esecuzione di una pena per un reato così grave, l’entità della pena residua da scontare e un fine pena lontano nel tempo sono tutti elementi che peggiorano il quadro soggettivo e comportamentale. Questi fattori hanno legittimamente indotto il Tribunale di Sorveglianza a ritenere non ancora maturi i tempi per la concessione di una misura alternativa, rendendo la sua decisione né contraddittoria né immotivata.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale in materia di esecuzione della pena: la valutazione per la concessione delle misure alternative è dinamica e ancorata alla situazione attuale del condannato. Un percorso rieducativo positivo può essere vanificato da nuovi elementi negativi, come una sopravvenuta condanna definitiva per un reato grave. In questi casi, il giudice non solo può, ma deve riconsiderare la prognosi sulla pericolosità sociale. La decisione sottolinea che l’affidamento in prova non è un diritto acquisito, ma un beneficio concesso sulla base di un giudizio di affidabilità che deve essere costantemente verificato alla luce di tutti gli elementi disponibili.

Una nuova condanna può impedire la concessione dell’affidamento in prova?
Sì. Secondo la sentenza, una nuova condanna definitiva per un grave reato, intervenuta dopo una precedente valutazione positiva, costituisce un elemento che aggrava il quadro soggettivo e comportamentale del condannato e può legittimamente portare al diniego della misura.

La valutazione del giudice per l’affidamento in prova è statica o può cambiare nel tempo?
La valutazione è dinamica. Deve basarsi sulla situazione attuale del condannato. Se le condizioni di fatto mutano, come nel caso di una nuova condanna, è logico che anche la valutazione complessiva possa cambiare, portando a una decisione diversa rispetto al passato.

Perché il Tribunale ha negato l’affidamento se in precedenza era stato concesso allo stesso soggetto?
Il diniego è stato giustificato dal fatto che, dopo la prima concessione, era diventata esecutiva una condanna per un grave reato (tentata estorsione). Questo evento ha modificato in peggio la valutazione della pericolosità sociale del condannato, rendendo la nuova decisione negativa coerente e motivata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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