Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3478 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 3478 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/11/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 30/05/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Considerato che NOME COGNOME, ricorre per cassazione avverso l’ordinanza in preambolo, con cui il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato la sua istanza di affidamento in prova al servizio sociale in relazione a pene concorrenti in corso di espiazione in regime di detenzione domiciliare e, con l’unico motivo, denuncia che il giudice specializzato avrebbe, in modo contraddittorio, sottovalutato gli elementi favorevoli risultanti dall’osservazione penitenziaria (ineccepibile comportamento in regime di detenzione domiciliare e piena adesione al percorso psicologico con l’esperto dell’Uepe, svolgimento di attività lavorativa) e, quindi, negato l’accesso al beneficio, previa formulazione di un ingiustificato giudizio prognostico sfavorevole circa il pericolo di reiterazione di reati;
ribadito il principio affermato in sede di legittimità secondo cui la concessione delle misure alternative alla detenzione è rimessa alla valutazione discrezionale della magistratura di sorveglianza, che deve verificare, al di fuori di ogni automatismo, la meritevolezza del condannato in relazione al beneficio richiesto e l’idoneità di quest’ultimo a facilitarne il reinserimento sociale (da ultimo, Sez. 1, n. 8712 del 08/02/2012, Tanzi, Rv. 252921-01);
ricordato nel caso dell’affidamento in prova il giudice, basandosi sulle relazioni provenienti dagli organi deputati all’osservazione del condannato medesimo, ma senza essere vincolato ai giudizi ivi espressi, deve apprezzare le riferite informazioni sulla sua personalità e sul suo stile di vita, parametrandone la rilevanza ai fini della decisione alle istanze rieducative sottostanti la misura e ai profili di pericolosità residua dell’interessato;
ritenuto che è nell’alveo di tali principi che si è mosso il Tribunale di sorveglianza che, difatti, ha espressamente preso in esame tutte le risultanze del trattamento, ivi comprese quelle di segno opposto a quelle sunteggiate nel ricorso (vi si evidenzia, invero, che il percorso trattamentale è ancora ad uno stadio iniziale e che la relazione psicologica indica che, nonostante la manifestata disponibilità, il condannato è non ha realmente intrapreso il processo di rivisitazione critica del proprio passato deviante) e, quindi, con motivazione non lacunosa ed esente da profili di illogicità, le ha ritenute di pregnanza tale da giustificare il diniego del provvedimento di ammissione alla misura invocata;
considerato che, in tale valutazione quel giudice non ha ancorato il diniego alla mancata prova del ravvedimento, né ha dato rilievo ostativo decisivo alla gravità dei fatti commessi; piuttosto, come è corretto, ha correlato anche a questo elemento l’evoluzione trattamentale del condannato e, senza trascurare alcuno degli aspetti rilevanti, è giunto – con valutazione discrezionale finale,
insindacabile in questa sede – a un giudizio prognostico sfavorevole, frutto di ponderato bilanciamento di tutti gli aspetti del caso;
ritenuto, pertanto, che tale decisione è conforme al principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità della gradualità della concessione dei benefici penitenziari che, pur non costituendo una regola assoluta è codificata, risponde a un razionale apprezzamento delle esigenze rieducative di previsione cui è ispirato il principio stesso del trattamento penitenziario (Sez. 1 n. 22443 del 17/01/2019, COGNOME, Rv. 267213; Sez. 1 n. 27264 del 14/01/2015, COGNOME, Rv. 264037; Sez. 1 n. 15064 del 06/03/2003, NOME, Rv. NUMERO_DOCUMENTO);
ritenuto che si tratta di motivazione né illegittima, né mancante o contraddittoria, cui il ricorrente non contrappone alcun argomento suscettibile d’inficiarne la tenuta, sicché il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e per i profili di colpa connessi all’irritualità dell’impugnazione (Corte cost. n. 18 del 2000) – di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare, in rapporto alle questioni dedotte, in euro tremila;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 16 novembre 2013
Il Consigliere estensore
Il Presidente