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Affidamento in prova: quando la recidiva lo nega

La Corte di Cassazione conferma il diniego dell’affidamento in prova a un soggetto condannato per spaccio di stupefacenti, a causa dell’alto rischio di recidiva. La decisione si basa sul fatto che il nuovo reato è stato commesso dopo aver già beneficiato in passato della stessa misura alternativa, dimostrando il fallimento del precedente percorso rieducativo.

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Pubblicato il 7 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in prova: la recidiva come ostacolo insormontabile?

L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta una delle più importanti misure alternative alla detenzione, pensata per favorire il reinserimento sociale del condannato. Tuttavia, la sua concessione non è automatica e dipende da una valutazione complessa da parte del Tribunale di Sorveglianza. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce come la ricaduta nel reato (recidiva), specialmente dopo aver già beneficiato della misura, possa costituire un elemento decisivo per il diniego.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato riguarda un uomo che aveva richiesto l’ammissione all’affidamento in prova dopo una condanna per cessione di sostanze stupefacenti. L’istanza è stata però respinta dal Tribunale di Sorveglianza. La decisione si fondava su due elementi principali: in primo luogo, il richiedente aveva già un precedente specifico per lo stesso tipo di reato, per il quale aveva scontato la pena proprio tramite affidamento in prova, terminato alcuni anni prima. In secondo luogo, il nuovo reato era stato commesso con modalità particolarmente gravi, detenendo parte della sostanza stupefacente (cocaina) persino nella camera da letto dei propri figli. Di fronte al diniego, l’uomo ha presentato ricorso in Cassazione.

La Decisione del Tribunale e la Valutazione del Rischio

Il Tribunale di Sorveglianza, nella sua valutazione, ha interpretato la commissione di un nuovo reato come un “sostanziale fallimento” della precedente misura alternativa. Se l’obiettivo dell’affidamento è la risocializzazione e la prevenzione della recidiva, il fatto che il soggetto sia ricaduto nello stesso comportamento criminale dimostra che il percorso rieducativo non ha avuto successo. Secondo i giudici, non era ravvisabile alcun “avanzato grado di rieducazione”. La difesa del ricorrente ha tentato di valorizzare aspetti come lo svolgimento di un’attività lavorativa, ma la Corte ha ritenuto tali elementi non sufficienti a superare la prognosi negativa.

Le Motivazioni della Cassazione sul diniego dell’affidamento in prova

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la legittimità della decisione del Tribunale di Sorveglianza. I giudici supremi hanno ribadito che la valutazione per la concessione dell’affidamento in prova è un giudizio prognostico ampiamente discrezionale del giudice di merito. Questo giudizio deve basarsi su un’analisi completa della personalità del condannato, che non può prescindere dalla natura e dalla gravità dei reati commessi.

La Corte ha sottolineato che non è sufficiente l’assenza di elementi negativi attuali, ma è necessaria la presenza di elementi positivi concreti che facciano ragionevolmente ritenere che la misura avrà successo. Nel caso di specie, la ricaduta in un reato grave, commesso dopo aver già usufruito di un’opportunità di reinserimento, è un fattore negativo di peso preponderante. La Cassazione ha definito il ricorso come un tentativo di ottenere una nuova valutazione dei fatti, non consentito in sede di legittimità, concludendo che la motivazione del Tribunale era logica, coerente e priva di vizi.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica: l’affidamento in prova non è un diritto, ma un’opportunità che va meritata dimostrando un cambiamento reale e tangibile. Aver già beneficiato della misura in passato non è una garanzia per il futuro; anzi, una ricaduta nel crimine può essere interpretata come prova del fallimento del percorso rieducativo, rendendo molto più difficile ottenere una seconda possibilità. La decisione evidenzia l’importanza che i giudici attribuiscono non solo agli aspetti formali (lavoro, famiglia), ma soprattutto al significato profondo della condotta del soggetto, al fine di formulare una prognosi affidabile sulla sua capacità di prevenire future ricadute.

Avere un lavoro e una famiglia è sufficiente per ottenere l’affidamento in prova?
No, non è sufficiente. Il giudice deve compiere una valutazione complessiva che include la gravità del reato, i precedenti, la condotta passata e la presenza di un concreto processo di revisione critica, non potendo basarsi solo su elementi come l’attività lavorativa o il contesto familiare.

Aver già usufruito dell’affidamento in prova in passato aiuta a ottenerlo di nuovo?
Non necessariamente. Se dopo un primo affidamento in prova si commette un nuovo reato, specialmente se della stessa natura, questo viene considerato un “sostanziale fallimento” della misura alternativa e può costituire un forte elemento a sfavore per la concessione di una nuova misura.

Cosa valuta il Tribunale di Sorveglianza per concedere l’affidamento in prova?
Il Tribunale valuta un’ampia gamma di elementi: la natura e gravità dei reati, i precedenti penali, la condotta tenuta, i risultati delle indagini socio-familiari e, soprattutto, la presenza di elementi positivi che facciano ragionevolmente ritenere la proficuità della misura e la prevenzione del pericolo di recidiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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