Affidamento in Prova: Quando la Mancanza di Revisione Critica Rende il Ricorso Inammissibile
L’affidamento in prova ai servizi sociali rappresenta una delle più importanti misure alternative alla detenzione, pensata per favorire il reinserimento sociale del condannato. Tuttavia, la sua concessione non è automatica e dipende da una valutazione approfondita del giudice. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (Sez. 7, n. 575/2024) offre un chiaro esempio dei criteri che portano a negare tale beneficio, sottolineando l’importanza della revisione critica del proprio passato criminale da parte del condannato.
Il Caso: la Richiesta di Affidamento in Prova Negata
Il caso in esame riguarda un uomo condannato che aveva presentato ricorso contro la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Ancona. Quest’ultimo aveva rigettato la sua istanza di affidamento in prova, ritenendo che non fosse una misura idonea a gestire il concreto pericolo di recidiva. Il Tribunale aveva basato la sua valutazione su diversi elementi: i precedenti penali del soggetto, le pendenze giudiziarie a suo carico, la mancanza di un’opportunità lavorativa stabile e, fattore decisivo, l’assenza di un serio processo di autocritica e revisione del proprio vissuto criminale.
Contro questa decisione, il condannato ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando una presunta violazione di legge e vizi motivazionali.
La Decisione della Corte e il Ruolo del Giudizio di Legittimità
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la decisione del Tribunale di Sorveglianza. I giudici supremi hanno chiarito un punto fondamentale del processo penale: il ricorso in Cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito. Ciò significa che la Corte non può riesaminare i fatti o sostituire la propria valutazione a quella del giudice precedente. Il suo compito è solo verificare che la legge sia stata applicata correttamente e che la motivazione della decisione sia logica e non contraddittoria.
Nel caso specifico, il ricorrente non contestava un errore di diritto, ma proponeva una lettura alternativa degli stessi elementi già valutati dal Tribunale. Un’operazione, come ribadito dalla Corte, non consentita in sede di legittimità.
Le Motivazioni: Perché il Diniego dell’Affidamento in Prova è Stato Confermato
La Corte ha ritenuto che la motivazione del Tribunale di Sorveglianza fosse “adeguata e non manifestamente illogica”. Gli elementi a sfavore del condannato erano stati correttamente ponderati per giungere alla conclusione che il rischio di reiterazione del reato era troppo elevato.
Valutazione Complessiva del Pericolo di Recidiva
Il diniego non si basava su un singolo fattore, ma su un quadro complessivo. I precedenti penali e le pendenze giudiziarie indicavano una persistente tendenza a delinquere. Anche l’opportunità lavorativa menzionata è stata ritenuta debole, in quanto a tempo determinato e prossima alla scadenza. Questi elementi, visti nel loro insieme, delineavano un profilo di rischio che una misura alternativa non avrebbe potuto contenere efficacemente.
L’Importanza Cruciale della Revisione Critica
L’elemento più significativo, come sottolineato dalla Corte, è stata la “mancanza di un serio processo di revisione critica da parte del condannato”. Per ottenere una misura come l’affidamento in prova, non basta soddisfare requisiti formali. È necessario dimostrare di aver intrapreso un percorso interiore di cambiamento e di aver compreso la gravità delle proprie azioni. Questa revisione critica è il presupposto fondamentale per ritenere che il soggetto abbia la volontà e le capacità di rispettare le prescrizioni e di non commettere nuovi reati. La sua assenza è stata interpretata come un indicatore negativo decisivo.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza
Questa ordinanza ribadisce un principio consolidato nella giurisprudenza di sorveglianza: le misure alternative alla detenzione sono uno strumento di reinserimento sociale, non un diritto automatico. La loro concessione è subordinata a una prognosi favorevole sul futuro comportamento del condannato. La decisione ci insegna che, ai fini di tale valutazione, gli aspetti soggettivi e psicologici, come la presa di coscienza e la revisione critica del proprio passato, assumono un’importanza pari, se non superiore, a elementi oggettivi come la disponibilità di un lavoro. Un ricorso in Cassazione che si limita a sollecitare una diversa interpretazione dei fatti, senza individuare vizi di legittimità, è destinato a essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Per quali motivi principali il Tribunale di Sorveglianza può negare l’affidamento in prova?
Secondo l’ordinanza, l’affidamento in prova può essere negato a causa di un elevato pericolo di recidiva, desunto da elementi come precedenti penali, pendenze giudiziarie, assenza di un’opportunità lavorativa stabile e, in modo particolare, la mancanza di un serio processo di revisione critica del proprio passato da parte del condannato.
È possibile contestare in Cassazione la valutazione dei fatti compiuta dal Tribunale di Sorveglianza?
No, la Corte di Cassazione ha ribadito che il suo è un giudizio di legittimità, non di merito. Pertanto, non può riesaminare i fatti del processo o sostituire la propria valutazione a quella dei giudici precedenti. Proporre una semplice lettura alternativa degli elementi già valutati è un motivo di inammissibilità del ricorso.
Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Come stabilito dall’art. 616 del codice di procedura penale e confermato nel provvedimento, chi propone un ricorso dichiarato inammissibile viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 575 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 575 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 12/03/1956
avverso l’ordinanza del 28/06/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di ANCONA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso e l’ordinanza impugnata.
Rilevato che il ricorso sollecita apprezzamenti di merito estranei al giudizio d legittimità e, laddove denuncia violazione di legge e vizi motivazionali, è comunque manifestamente infondato;
Considerato, infatti, che il provvedimento impugnato – con motivazione adeguata e non manifestamente illogica – ha fondato il rigetto della istanza di affidamento in prov sulla impossibilità di fronteggiare con una misura alternativa alla detenzione il pericolo recidiva, desunto dai precedenti penali, dalle pendenze risultanti a carico di NOME COGNOME dall’assenza di una opportunità lavorativa stabile (considerato che l’opportunità di lavoro sarebbe scaduta il 30 settembre 2023) e , soprattutto, dalla mancanza di un serio processo di revisione critica da parte del condannato;
Ritenuto che, rispetto a tale coerente ragionamento, il ricorrente non si confronta in modo specifico, limitandosi a predicare l’omessa valutazione di elementi favorevoli invero presi in esame da parte del Tribunale di sorveglianza di Ancora, che ha accertato l’insussistenza delle condizioni per la concessione della più ampia fra le misure alternative alla detenzione;
Considerato, quindi, che il ricorrente propone una lettura alternativa del medesimo materiale processuale che, come noto, è operazione non consentita in sede di legittimità;
Ritenuto che il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, e che il ricorrente deve essere condannato, in forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e della somma, ritenuta congrua, di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non esulando profili di colpa nella presentazione del ricorso (Corte Cost. n. 186 del 2000);
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2023.