Affidamento in prova: il no della Cassazione a chi persevera nel crimine
L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta uno strumento fondamentale nel nostro ordinamento per favorire il reinserimento sociale del condannato. Tuttavia, la sua concessione non è automatica ed è subordinata a una valutazione prognostica positiva sulla capacità del soggetto di rispettare la legge. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce che la persistenza in attività criminali gravi, anche in presenza di elementi apparentemente positivi come un lavoro stabile, osta alla concessione del beneficio. Analizziamo insieme la vicenda.
I Fatti del Caso
Un soggetto, condannato in via definitiva, presentava istanza per ottenere la misura alternativa dell’affidamento in prova. Il Tribunale di Sorveglianza rigettava la richiesta, basando la propria decisione su una valutazione complessiva della personalità del richiedente. Nonostante quest’ultimo avesse un’occupazione lavorativa da diversi anni e avesse già beneficiato in passato della stessa misura con esito positivo, il Tribunale evidenziava la sua persistente pericolosità sociale. Questa era desunta da numerosi e gravi precedenti penali, incluse condotte violente e, soprattutto, reati recenti legati al traffico di stupefacenti, commessi anche in contesti associativi. Avverso tale decisione, il condannato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando un vizio di motivazione e un’errata valutazione dei fatti.
La Decisione della Corte di Cassazione e la Valutazione della Pericolosità
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la valutazione del Tribunale di Sorveglianza. I giudici hanno ritenuto che le censure mosse dal ricorrente fossero semplici doglianze di fatto, volte a ottenere una nuova e non consentita valutazione del merito della vicenda. La Corte ha sottolineato come la decisione impugnata fosse giuridicamente corretta e adeguatamente motivata.
Le Motivazioni
La Corte di Cassazione ha spiegato che la decisione del Tribunale di Sorveglianza si fondava su argomenti solidi e coerenti. I giudici di merito avevano correttamente bilanciato gli elementi a disposizione. Da un lato, l’esistenza di un’attività lavorativa stabile e un precedente affidamento conclusosi positivamente molti anni prima. Dall’altro, una serie di elementi negativi preponderanti:
1. Informazioni di Polizia: Le note delle forze dell’ordine evidenziavano un profilo negativo.
2. Gravità dei Precedenti: Il ricorrente era un soggetto pluripregiudicato non solo per reati comuni, ma anche per condotte violente in ambito familiare.
3. Recidività Specifica: Nonostante il percorso riabilitativo passato, il soggetto era tornato a delinquere, commettendo plurime condotte di spaccio di stupefacenti.
4. Attualità del Pericolo: La partecipazione, in epoca recentissima (fino al 2022), a un’indagine per associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico (art. 74 d.P.R. 309/1990) dimostrava un inserimento stabile nel contesto criminale e una totale incapacità di adattarsi alle regole della convivenza civile.
Secondo la Corte, questi elementi, nel loro complesso, delineavano un quadro di persistente e allarmante pericolosità sociale, tale da rendere impossibile una prognosi favorevole circa il futuro rispetto della legge. Il lavoro, in questo contesto, diventa un elemento secondario, incapace da solo di dimostrare un reale percorso di recupero sociale.
Le Conclusioni
La pronuncia in esame ribadisce un principio cardine nella concessione delle misure alternative: la valutazione del giudice deve essere globale e attuale. Un singolo elemento positivo, come un’occupazione stabile, non è sufficiente a superare una prognosi negativa fondata su una carriera criminale costante e su reati recenti di particolare gravità. L’affidamento in prova non può essere concesso a chi, con la propria condotta, dimostra un radicato disprezzo per la legalità e un profondo inserimento in contesti delinquenziali, poiché verrebbe meno lo scopo riabilitativo della misura stessa.
Perché il ricorso per l’affidamento in prova è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le censure sollevate erano manifestamente infondate e si limitavano a contestare la valutazione dei fatti già correttamente operata dal Tribunale di Sorveglianza, senza sollevare questioni di legittimità.
Quali elementi hanno portato i giudici a negare la misura alternativa nonostante il ricorrente avesse un lavoro?
I giudici hanno negato la misura a causa della prevalenza di elementi negativi, quali i numerosi precedenti penali, la gravità e la recente commissione di reati legati al narcotraffico in contesti associativi, che dimostravano una persistente pericolosità sociale e l’assenza di un reale recupero.
Un precedente affidamento in prova con esito positivo garantisce la concessione di un secondo?
No. L’ordinanza dimostra che un precedente percorso positivo non è una garanzia. Se il soggetto torna a commettere reati gravi successivamente, ciò dimostra l’inefficacia del precedente percorso riabilitativo e depone a sfavore di una nuova concessione della misura.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6685 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6685 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 14/09/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Rilevato in fatto e considerato in diritto
Ritenuto che sono inammissibili le censure dedotte nel ricorso di NOME COGNOME – nel quale il difensore si duole del vizio di motivazione e della violazione di legge con riguardo al mancato riconoscimento della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale, lamentando l’omesso confronto con la relazione Uepe e il travisamento dell’epoca dei fatti di cui alle recenti denunce – perché manifestamente infondate e costituite da mere doglianze in punto di fatto.
Considerato che dette censure sono, altresì, riproduttive di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal Tribunale di sorveglianza di Roma nel provvedimento impugnato.
In esso, invero, si evidenzia, con riguardo alla misura alternativa richiesta, che: – alla luce delle pessime informazioni fornite dal Commissariato PS di Primavalle con note del 4 luglio 2022 e 13 gennaio 2023, riscontrate dalla natura ed entità dei precedenti penali e giudiziari a carico dell’interessato, per reati commessi sino ad epoca estremamente recente (2022),, e nonostante lo svolgimento di attività lavorativa da oltre sette anni, come da relazione Uepe, deve escludersi che il soggetto abbia realmente manifestato segni di recupero sociale e di riabilitazione; – COGNOME, pluripregiudicato anche per condotte violente in ambito familiare, beneficiario nel 2003 della misura dell’affidamento in prova al servizio sociale con declaratoria di esito positivo, nel novembre 2015 ha posto in essere altre plurime condotte di spaccio di stupefacenti, nel 2018 e nel 2020 è stato denunciato per violazione dell’art. 74 d.P.R. 309/1990 e altra condotta di spaccio, nel 2022 è stato indagato per violazione dell’art. 74 di cui al suddetto d.P.R. unitamente ad altre dieci persone; – il compimento in data estremamente recente di tali condotte criminose, in contesti associativi di narcotraffico, e la natura particolarmente grave ed allarmante dei reati stessi evidenziano senza ombra di dubbio l’inserimento del soggetto nel contesto criminale e la sua assoluta incapacità di adattarsi alla legalità e alle regole che governano la comunità civile, come del resto dimostrato dal disprezzo verso le restrizioni imposte per ordine dell’Autorità e dalla protervia nel delinquere.
Rilevato, pertanto, che il ricorso – che oltre che in fatto e aspecifico, lamenta travisamento e omessa valutazione della relazione Uepe insussistenti deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila
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euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2024.