Affidamento in Prova: Inefficace se Manca la Volontà del Condannato
L’affidamento in prova rappresenta una fondamentale misura alternativa alla detenzione, ma la sua efficacia dipende dalla concreta adesione del condannato al programma rieducativo. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce che il disinteresse manifestato dal soggetto, come la mancata sottoscrizione delle prescrizioni, ne determina l’inefficacia. Analizziamo insieme questo importante caso.
I Fatti di Causa
Il Tribunale di Sorveglianza aveva concesso a un condannato la misura alternativa dell’affidamento in prova ai servizi sociali. Tuttavia, successivamente, lo stesso Tribunale ha dichiarato l’inefficacia di tale provvedimento. La ragione? Nonostante l’ordinanza di ammissione alla misura fosse stata regolarmente notificata presso la residenza del condannato e consegnata alla moglie, egli non aveva mai provveduto a sottoscrivere il verbale contenente le prescrizioni da seguire.
Questo comportamento omissivo è stato interpretato dal Tribunale come una chiara manifestazione di disinteresse verso il percorso di reinserimento proposto. Di conseguenza, il condannato ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando una presunta violazione di legge e un vizio di motivazione da parte del giudice di sorveglianza.
La Decisione della Corte sull’Affidamento in Prova
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo manifestamente infondato e, pertanto, inammissibile. Secondo i giudici supremi, il ragionamento del Tribunale di Sorveglianza era del tutto corretto, logico e adeguatamente motivato.
Il ricorrente, con la sua impugnazione, non contestava una reale violazione di norme giuridiche, ma tentava di ottenere una nuova e diversa valutazione degli elementi già esaminati dal giudice precedente. Questo tipo di richiesta, tuttavia, esula dalle competenze della Corte di Cassazione, che è un giudice di legittimità e non di merito.
La Corte ha quindi confermato la decisione impugnata, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, evidenziando la colpa nella presentazione di un ricorso palesemente infondato.
Le Motivazioni
Le motivazioni della Corte si fondano su un principio cardine dell’esecuzione penale: le misure alternative richiedono la partecipazione attiva e consapevole del condannato. L’affidamento in prova non è un diritto automatico, ma un percorso che presuppone la volontà del soggetto di rispettare determinate regole (le prescrizioni) per dimostrare il suo impegno nel processo di risocializzazione.
La mancata sottoscrizione delle prescrizioni, dopo una notifica regolare, non può essere considerata una mera dimenticanza, ma un’azione che inequivocabilmente esprime il rifiuto di aderire al programma. Il Tribunale di Sorveglianza ha correttamente interpretato tale condotta come un’assenza di interesse, rendendo di fatto impossibile l’avvio della misura. Di conseguenza, dichiararne l’inefficacia è stato un atto dovuto e logicamente conseguente.
Le Conclusioni
Questa pronuncia ribadisce un concetto fondamentale: la concessione di benefici penitenziari è strettamente legata alla collaborazione e alla volontà del condannato. L’inerzia o il disinteresse possono portare alla perdita della misura alternativa. Per i condannati, è cruciale comprendere che l’adesione formale e sostanziale al programma, a partire dalla sottoscrizione delle prescrizioni, è il primo passo indispensabile per poter usufruire di percorsi alternativi al carcere. La decisione evidenzia anche i limiti del ricorso in Cassazione, che non può essere utilizzato per rimettere in discussione l’apprezzamento dei fatti operato dai giudici di merito, se la loro motivazione risulta logica e coerente.
Perché la misura dell’affidamento in prova è stata dichiarata inefficace?
La misura è stata dichiarata inefficace a causa del disinteresse dimostrato dal condannato, che non ha provveduto a sottoscrivere le prescrizioni previste dal programma, nonostante la regolare notifica dell’ordinanza che gliela concedeva.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Secondo l’art. 616 del codice di procedura penale, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.
È possibile chiedere alla Corte di Cassazione una nuova valutazione dei fatti?
No, non è possibile. La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, il cui compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non può riesaminare i fatti del caso come farebbe un giudice di merito.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 33437 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 33437 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CATANIA il 30/11/1967
avverso l’ordinanza del 16/04/2025 del TRIB. SORVEGLIANZA di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso di NOME COGNOME e la ordinanza impugnata.
Considerato che il ricorso è manifestamente infondato;
Considerato, infatti, che il provvedimento impugnato – con motivazione adeguata e non manifestamente illogica – ha dichiarato la inefficacia dell’ordinanza con la quale, suo tempo, il Tribunale di sorveglianza di Catania aveva concesso all’odierno ricorrente la misura alternativa dell’affidamento in prova, in ragione della mancata sottoscrizione delle prescrizioni nonostante l’avvenuta notifica dell’ordinanza concessiva a mani della moglie del condannato;
Rilevato che il Tribunale di sorveglianza di Catania ha osservato che, in ragione di tali comportamenti, la misura dell’affidamento doveva essere dichiarata inefficace stante il disinteresse dimostrato dallo COGNOME al riguardo;
Rilevato, altresì, che il ricorrente rispetto a tale coerente ragionamento svolto dal Tribunale di sorveglianza, pur lamentando la violazione di legge ed il vizio di motivazione, chiede in sostanza una differente (ed inammissibile) valutazione degli elementi processuali;
Ritenuto che il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile e che il ricorrente deve essere condannato, in forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e della somma, ritenuta congrua, di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non esulando profili di colpa nella presentazione del ricorso (Corte cost., sent. n. 186 del 2000);
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 25 settembre 2025.