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Affidamento in prova: perché la condotta attuale conta

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di una condannata per la concessione dell’affidamento in prova. La decisione si basa sulla valutazione negativa della condotta attuale della ricorrente, che ha continuato a delinquere recentemente, e sulla ritenuta inadeguatezza del programma di reinserimento proposto. Secondo la Corte, per ottenere il beneficio non basta l’assenza di elementi negativi, ma serve la prova di un concreto percorso di cambiamento, che nel caso di specie mancava.

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Pubblicato il 2 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in Prova: Quando la Condotta Attuale Blocca il Beneficio

L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta una delle più importanti misure alternative alla detenzione, pensata per favorire il reinserimento del condannato nella società. Tuttavia, la sua concessione non è automatica e dipende da una valutazione approfondita della personalità del soggetto e del suo percorso di cambiamento. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce come una condotta attuale negativa e un programma di risocializzazione inadeguato possano precludere l’accesso a questo importante beneficio.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato riguarda una donna che ha presentato ricorso contro la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Roma, il quale le aveva negato l’accesso a una misura alternativa alla detenzione. La ricorrente, nonostante avesse subito diverse condanne divenute definitive, aveva continuato a commettere reati fino a tempi molto recenti (settembre 2023). Nel suo ricorso, proponeva un percorso di risocializzazione basato sull’assistenza alla madre invalida, che avrebbe comportato il suo trasferimento presso l’abitazione di quest’ultima.

La Valutazione per l’Affidamento in Prova

La Corte di Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha ribadito i principi fondamentali che guidano la concessione delle misure alternative. Il giudice non deve limitarsi a considerare la gravità dei reati per cui è stata inflitta la pena, ma deve compiere un’analisi completa della personalità del condannato. È essenziale valutare la condotta successiva alla condanna per comprendere se sia stato avviato un reale processo di revisione critica del proprio passato. Per ottenere l’affidamento in prova, non è sufficiente l’assenza di nuove pendenze, ma è necessaria la presenza di elementi positivi che indichino un concreto impegno verso la legalità e la risocializzazione.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha stabilito che il Tribunale di Sorveglianza ha correttamente applicato questi principi. La decisione di negare il beneficio si fonda su argomentazioni logiche e coerenti, basate su fatti specifici.

In primo luogo, la condotta recente della donna è stata considerata un sintomo decisivo della sua attuale pericolosità sociale. Il fatto di aver continuato a delinquere nonostante l’irrevocabilità di altre condanne ha portato a una prognosi negativa sul rischio di recidiva.

In secondo luogo, il programma di reinserimento proposto è stato giudicato non solo inadeguato, ma potenzialmente controproducente. L’attività di assistenza alla madre avrebbe costretto la condannata a trasferirsi in una località nota per essere un centro di spaccio di stupefacenti, la stessa attività delittuosa per cui era stata condannata in passato. Invece di favorire il suo reinserimento, questa situazione l’avrebbe esposta a un elevato rischio di ricadere nel crimine.

Il ricorso è stato quindi ritenuto un tentativo di ottenere una nuova valutazione dei fatti, non consentito in sede di legittimità, e dichiarato inammissibile.

Conclusioni

Questa ordinanza offre un’importante lezione: per accedere a benefici come l’affidamento in prova, non bastano le buone intenzioni o proposte sulla carta. È indispensabile dimostrare con fatti concreti e recenti di aver intrapreso un percorso di cambiamento autentico. La valutazione del giudice è discrezionale, ma deve basarsi su una prognosi realistica del percorso di risocializzazione del condannato. Una condotta che rivela la persistenza di pericolosità sociale e un progetto di reinserimento che presenta più rischi che opportunità sono ostacoli insormontabili per la concessione della misura.

Per ottenere l’affidamento in prova è sufficiente non avere più indicazioni negative a proprio carico?
No, non è sufficiente. La Corte chiarisce che è necessaria la presenza di elementi positivi che dimostrino l’avvio di un processo di revisione critica del proprio passato e un percorso di risocializzazione.

Una condotta criminale recente può impedire la concessione di misure alternative alla detenzione?
Sì. La Corte ha ritenuto sintomatica della pericolosità sociale la continuazione dell’attività delittuosa fino a tempi recenti, considerandola un elemento decisivo per formulare una prognosi negativa e negare il beneficio.

Proporre un’attività di assistenza a un familiare invalido è sempre un elemento positivo per la concessione del beneficio?
Non necessariamente. Nel caso specifico, tale attività è stata valutata negativamente perché avrebbe comportato il trasferimento della condannata in un contesto territoriale noto per lo stesso tipo de reati per cui era stata condannata, aumentando il rischio de recidiva anziché ridurlo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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