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Affidamento in prova: non basta la gravità del reato

Un uomo condannato per usura si è visto negare l’affidamento in prova dal Tribunale di sorveglianza, che ha concesso solo la detenzione domiciliare basandosi sulla gravità del reato. La Corte di Cassazione ha annullato questa decisione, stabilendo che per una corretta valutazione dell’affidamento in prova non si può ignorare la condotta tenuta dal condannato dopo il reato, le relazioni positive dei servizi sociali e la sua evoluzione personale. Il caso dovrà essere riesaminato.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in prova: la valutazione va oltre la gravità del reato

L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta uno strumento fondamentale nel nostro ordinamento per favorire il reinserimento sociale del condannato. Tuttavia, la sua concessione dipende da una valutazione prognostica complessa. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 21510/2025) ha ribadito un principio cruciale: per negare questo beneficio non è sufficiente basarsi unicamente sulla gravità del reato commesso, ma è necessaria un’analisi a tutto tondo della personalità e del percorso del reo dopo i fatti.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un individuo condannato in via definitiva per il reato di usura a una pena di un anno, cinque mesi e diciassette giorni di reclusione. L’uomo aveva presentato istanza al Tribunale di Sorveglianza per ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale. Il Tribunale, pur concedendogli la misura più lieve della detenzione domiciliare, aveva respinto la richiesta di affidamento. La decisione del Tribunale si fondava principalmente sulla gravità del delitto commesso, sul mancato risarcimento del danno e su una presunta minimizzazione delle proprie responsabilità da parte del condannato.

I Motivi del Ricorso e la valutazione per l’affidamento in prova

Contro questa decisione, il condannato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando un vizio di motivazione e la violazione dell’art. 47 dell’Ordinamento Penitenziario. Secondo la difesa, il Tribunale di Sorveglianza aveva commesso un errore nel focalizzare la propria attenzione solo sugli aspetti negativi legati al reato. Erano stati infatti ignorati, o comunque sottovalutati, numerosi elementi positivi emersi successivamente, tra cui:

* L’assenza di precedenti penali significativi, a parte la condanna in oggetto.
* La mancanza di altri procedimenti penali pendenti.
* Una condotta di vita regolare e irreprensibile mantenuta dopo i fatti per cui era stato condannato.
* Le relazioni positive redatte sia dall’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE) sia dagli organi di polizia.

In sostanza, il ricorrente sosteneva che il giudice avesse operato una valutazione parziale e incompleta, non tenendo conto del percorso di revisione critica e di cambiamento intrapreso.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza e rinviando il caso al Tribunale di Sorveglianza per un nuovo esame. La Suprema Corte ha chiarito che il giudizio prognostico necessario per la concessione dell’affidamento in prova non può limitarsi alla sola analisi del reato commesso. Sebbene la natura e la gravità del crimine rappresentino un “ineludibile punto di partenza”, la valutazione deve necessariamente estendersi ad altri fattori.

Il giudice deve considerare l’evoluzione della personalità del ricorrente successiva ai fatti, la sua condotta attuale e gli elementi raccolti nel periodo di osservazione. La relazione dell’UEPE, in particolare, assume un ruolo centrale, poiché fornisce un quadro aggiornato del percorso di risocializzazione. Nel caso di specie, il Tribunale aveva omesso una “congrua valutazione” di questi elementi, fondando il proprio diniego su una base motivazionale insufficiente.

La Corte ha ribadito che elementi come l’assenza di nuove denunce, l’adesione a valori socialmente condivisi, l’attaccamento al contesto familiare e una buona prospettiva di reinserimento sono essenziali per valutare l’esistenza di un effettivo processo di recupero sociale e l’assenza di un pericolo di recidiva.

Le conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio di civiltà giuridica: la valutazione per l’accesso alle misure alternative deve essere dinamica e proiettata al futuro. Non si può giudicare una persona unicamente sulla base del suo passato, ma occorre analizzare il percorso compiuto e le reali possibilità di un reinserimento positivo nella società. La decisione del Tribunale di Sorveglianza è stata censurata proprio per questa visione statica, che non ha saputo cogliere i segnali di cambiamento evidenziati dalle relazioni degli operatori. Il nuovo giudizio dovrà quindi colmare questa lacuna, procedendo a una valutazione completa e bilanciata di tutti i fattori in gioco, come richiesto dalla legge e dalla giurisprudenza consolidata.

Per negare l’affidamento in prova è sufficiente considerare solo la gravità del reato commesso?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la gravità del reato è solo il punto di partenza dell’analisi. Per negare il beneficio è necessaria una valutazione completa che consideri anche la condotta del condannato successiva al reato, la sua evoluzione personale e altri fattori prognostici positivi.

Quali elementi deve valutare il Tribunale di Sorveglianza per concedere l’affidamento in prova?
Il Tribunale deve valutare una serie di fattori, tra cui: la gravità del reato, i precedenti penali, la condotta successiva al reato, le relazioni dei servizi sociali (UEPE) e della polizia, l’assenza di nuove denunce, l’attaccamento al contesto familiare e la prospettiva di un effettivo reinserimento sociale.

Cosa succede se la motivazione di un’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza è ritenuta incompleta o viziata?
Se la Corte di Cassazione rileva un vizio di motivazione, come in questo caso, annulla l’ordinanza impugnata e rinvia gli atti allo stesso Tribunale di Sorveglianza per un nuovo giudizio, che dovrà tenere conto dei principi di diritto affermati dalla Cassazione e colmare le lacune motivazionali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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