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Affidamento in prova: no senza revisione critica

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un detenuto, condannato per traffico di stupefacenti in un contesto associativo, che chiedeva l’affidamento in prova al servizio sociale. La Corte ha stabilito che, per la concessione della misura, non sono sufficienti la buona condotta carceraria e l’espiazione di gran parte della pena. È necessario un giudizio prognostico positivo che dimostri un’effettiva revisione critica del proprio passato criminale e un definitivo distacco dai disvalori che hanno portato a delinquere, elementi che nel caso di specie non sono emersi.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in Prova: Perché la Sola Buona Condotta Non Basta

L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta uno strumento fondamentale nel percorso di risocializzazione del condannato. Tuttavia, la sua concessione non è automatica. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ribadisce un principio cruciale: la buona condotta in carcere, da sola, non è sufficiente se non è accompagnata da una profonda e verificabile revisione critica del proprio passato criminale. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un individuo detenuto per espiare una pena legata al traffico di sostanze stupefacenti, commesso nell’ambito di un’associazione criminale di stampo camorristico. Dopo aver scontato la parte di pena relativa al reato ostativo, l’uomo ha presentato istanza per ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale. Il Tribunale di sorveglianza di Napoli, però, ha respinto la richiesta. La motivazione del rigetto si basava sull’assenza di segnali di una reale evoluzione positiva della personalità e di un effettivo distacco dalle scelte devianti passate, ritenendo necessario un percorso di verifica graduale della sua affidabilità, magari attraverso la concessione di permessi premio. Il condannato ha quindi proposto ricorso in Cassazione, lamentando un vizio di motivazione e sostenendo che la sua regolare condotta carceraria, l’impegno lavorativo e l’avvenuta espiazione di gran parte della pena avrebbero dovuto condurre a una decisione diversa.

La Decisione della Corte di Cassazione sull’Affidamento in Prova

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione del Tribunale di sorveglianza. I giudici di legittimità hanno chiarito che la valutazione per la concessione dell’affidamento in prova non può limitarsi a una constatazione formale della buona condotta. È necessario, invece, un giudizio prognostico completo che si basi su una pluralità di elementi, volto a formulare una ragionevole previsione di un completo reinserimento sociale.

Le Motivazioni: Oltre la Buona Condotta Carceraria

Il cuore della motivazione risiede nella necessità di un’analisi approfondita della personalità del condannato. La Corte sottolinea che l’ordinamento non prevede una presunzione generale di affidabilità. Al contrario, devono emergere elementi positivi concreti che inducano il giudice a “ritenere” che la misura alternativa sia proficua.

Nel caso specifico, la decisione impugnata non si era basata unicamente sulla gravità del reato, ma aveva correttamente valorizzato le risultanze del trattamento inframurario. Da queste non era emerso l’inizio di un serio processo di revisione critica e di distacco dai disvalori che avevano portato a delinquere. Il legame con un’associazione criminale tuttora attiva sul territorio rendeva ancora più stringente la necessità di questa prova.

Inoltre, la Corte ha ritenuto corretta la valutazione del Tribunale circa l’inidoneità della prospettiva lavorativa e abitativa proposta dal detenuto, poiché entrambe erano localizzate nella stessa area geografica in cui erano stati consumati i reati. Questo elemento è stato visto come un potenziale ostacolo al necessario processo di allontanamento dal contesto criminale di origine.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza riafferma che il percorso verso le misure alternative alla detenzione, e in particolare verso l’affidamento in prova, è tutt’altro che un automatismo. La decisione del giudice deve fondarsi su un giudizio prognostico complesso e multifattoriale. La buona condotta è un presupposto necessario, ma non sufficiente. Ciò che il giudice deve ricercare è la prova di un cambiamento interiore autentico, una riconsiderazione critica del proprio passato che si traduca in un progetto di vita futuro credibile e lontano dalle logiche criminali. La valutazione negativa di elementi come il contesto sociale e territoriale proposto per il reinserimento dimostra come ogni dettaglio sia fondamentale per formulare una prognosi di successo della misura.

La buona condotta in carcere è sufficiente per ottenere l’affidamento in prova?
No, secondo la sentenza, la buona condotta e la partecipazione ad attività lavorative in carcere non sono sufficienti se non sono accompagnate da prove concrete di un’effettiva revisione critica del proprio passato criminale e di un definitivo distacco dai valori devianti.

Quali elementi valuta il giudice per concedere l’affidamento in prova?
Il giudice compie un giudizio prognostico complessivo, valutando una serie di fattori: la gravità del reato commesso, i precedenti penali, la condotta carceraria, i risultati delle indagini socio-familiari e ogni altro elemento utile a prevedere un futuro reinserimento sociale e l’assenza di pericolosità.

La proposta di lavoro e di abitazione può influenzare la decisione sull’affidamento?
Sì, in modo significativo. In questo caso, il fatto che la proposta lavorativa e abitativa fosse localizzata nella stessa area in cui erano stati commessi i reati è stato considerato un elemento negativo, in quanto non favoriva il necessario distacco dal precedente ambiente criminale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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