Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 33973 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 33973 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a ENNA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 27/09/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di CATANIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Catania dichiarava inammissibili le istanze avanzate da NOME COGNOME per la concessione delle misure alternative della detenzione domiciliare (essendo la pena detentiva da espiare superiore ai due anni) e della semilibertà (non essendo stata espiata metà della pena) e rigettava quella volta ad ottenere la più ampia misura dell’affidamento in prova al servizio sociale.
Ad avviso del Tribunale, dovevano considerarsi ostativi all’accoglimento di quest’ultima istanza i numerosi e gravi precedenti e pendenze penali riportati, anche di recente (reato di evasione commesso il 5 maggio 2022), dal condanNOME, unitamente all’esito negativo dell’osservazione della personalità in regime penitenziario, documentato dalla relazione di sintesi redatta il 26 settembre 2023.
L’interessato, per mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
2.1. Con il primo, si duole, in sintesi, sotto il profilo del vizio di motivazione che il Tribunale abbia rigettato l’istanza finalizzata ad ottenere l’affidamento in prova basandosi esclusivamente sulla biografia criminale del condanNOME e omettendo, viceversa, di considerare la regolarità della condotta serbata in carcere dal predetto come illustrato nella relazione di sintesi versata in atti.
2.2. Con il secondo motivo, viene sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 47-ter, comma 1-bis, Ord. pen., negli stessi termini prospettati dal Tribunale di sorveglianza di Trieste con ordinanza n. 56 del 20 marzo 2023, pubblicata in G. Uff. 3 maggio 2023, n. 18 serie speciale, vale a dire: «nella parte in cui non prevede a favore dei condannati cd. liberi sospesi, anteriormente all’ entrata in vigore del decreto legislativo n. 150/2022, la detenzione domiciliare per espiare una pena detentiva inflitta non superiore a quattro anni, indipendentemente dalle condizioni di cui al comma 1, quando non ricorrono i presupposti per l’affidamento in prova al servizio sociale e sempre che la misura sia idonea ad evitare il pericolo che il condanNOME commetta altri reati, avuto riguardo a comprovate esigenze familiari, di studio, di formazione professionale, di lavoro, o di salute del condanNOME, così come previste dall’ art. 56 legge n. 689/81, sostituito dall’art. 71, comma 1, lett. c), decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, alle condizioni previste dall’ art. 59 L. 689/81 come sostituito dall’ art. 71, comma 1, lett. g) del decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 150, con le prescrizioni disciplinate all’art. 56-ter legge n. 689/81, introdott dall’art. 71, comma 1, lett. d) del decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 150».
In sostanza, il difensore del ricorrente mette in luce, stigmatizzandolo, un difetto di coordinamento tra il limite edittale di quattro anni stabilito dal legislat per la fruibilità della “pena sostitutiva” (delle pene detentive brevi: art. 20-bis cod. pen.) della “detenzione domiciliare sostitutiva”, introdotta, come le altre, nell’ordinamento (testo novellato dell’art. 56 I. n. 689/81), con il d.lgs. 10 ottobr 2022, n. 150, in attuazione della I. 27 settembre 2021, n. 134, e il corrispondente limite edittale di due anni previsto per la misura alternativa della detenzione domiciliare “ordinaria”.
Il Procuratore generale di questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Dopo due rinvii (udienze del 22 marzo 2024 e del 17 settembre 2024), disposti in attesa della decisione della Corte costituzionale, successivamente intervenuta (sentenza n. 176 del 21 maggio 2024, depositata in data 7 novembre 2024), si è pervenuti all’odierna udienza di discussione, nelle forme ordinarie della trattazione scritta ex art. 611 cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va rigettato, perché, nel complesso, infondato.
Manifestamente infondato è il primo motivo di ricorso, afferente alla mancata concessione della misura dell’affidamento in prova al servizio sociale.
2.1. Riguardo alla invocata misura alternativa, va ricordato che attraverso di essa l’ordinamento ha inteso attuare una forma dell’esecuzione della pena esterna al carcere nei confronti di condannati per i quali, alla luce dell’osservazione della personalità e di altre acquisizioni ed elementi di conoscenza, sia possibile formulare una ragionevole prognosi di completo reinserimento sociale all’esito della misura alternativa (Corte cost., 5 dicembre 1997, n. 377).
In relazione alla peculiare finalità dell’affidamento, la giurisprudenza di legittimità è uniformemente orientata nel senso di ritenere che, ai fini della concessione della misura, non possano, di per sé soli, assumere decisivo rilievo, in senso negativo, elementi quali la gravità del reato per cui è intervenuta condanna e i precedenti penali, né possa richiedersi, in positivo, la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica del proprio passato, essendo sufficiente che dai risultati dell’osservazione della personalità emerga che
un siffatto processo critico sia stato almeno avviato (Sez. 1, n. 771 del 6/2/1996, Tron, Rv. 203988 – 01; Sez. 1, 19/11/1995, Fiorentino, Rv. 203154 – 01).
In particolare, è stato chiarito che, per il giudizio prognostico favorevole, la natura e la gravità dei reati per i quali è stata irrogata la pena in espiazione deve costituire, unitamente ai precedenti (Sez. 1, n. 1812 del 4/3/1999, COGNOME, Rv. 213062 – 01), alle pendenze e alle informazioni di P.S. (Sez. 1, n. 1970 dell’11/3/1997, COGNOME, Rv. 207998 – 01), il punto di partenza dell’analisi della personalità del soggetto, la cui compiuta ed esauriente valutazione non può mai prescindere, tuttavia, dalla condotta tenuta successivamente dal condanNOME e dai suoi comportamenti attuali, risultando questi essenziali ai fini della ponderazione dell’esistenza di un effettivo processo di recupero sociale e della prevenzione del pericolo di recidiva (Sez. 1, n. 31420 del 5/5/2015, COGNOME, Rv. 264602 – 01; Sez. 1, n. 31809 del 9/7/2009, COGNOME, Rv. 244322 – 01; Sez. 1, n. 371 del 15/11/2001, dep. 8/1/2002, COGNOME, Rv. 220473 – 01); si è, più di recente, ulteriormente precisato che, fra gli indicatori utilmente apprezzabili in tale ottica possono essere annoverati l’assenza di nuove denunzie, il ripudio delle pregresse condotte devianti, l’adesione a valori socialmente condivisi, la condotta di vita attuale, la congruità della condanna, l’attaccamento al contesto familiare e l’eventuale buona prospettiva di risocializzazione (Sez. 1, n. 43863 del 23/10/2024, COGNOME, Rv. 287151 – 01; Sez. 1, n. 6752 del 19/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285859 – 02; Sez. 1, n. 7873 del 18/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285855 – 01; Sez. 1, n. 1410 del 30/10/2019, dep. 2020, M., Rv. 277924 – 01).
Va, infine, sottolineato, sempre in tema di misure alternative alla detenzione, che il giudice, nell’esaminare le relazioni provenienti dagli organi deputati all’osservazione del condanNOME, non è, in alcun modo, vincolato dai giudizi di idoneità ivi espressi, ma è tenuto soltanto a considerare le riferit informazioni sulla personalità e lo stile di vita dell’interessato, parametrandone la rilevanza ai fini della decisione alle istanze rieducative e ai profili di pericolos dell’interessato, secondo la gradualità che governa l’ammissione ai benefici penitenziari (Sez. 1, n. 20040 del 26/01/2024, COGNOME, Rv. 286402 – 01; Sez. 1, n. 23343 del 23/03/2017, Arzu, Rv. 270016 – 01).
2.2. Venendo al caso di specie, ritiene il Collegio che il Tribunale di sorveglianza abbia fatto corretta applicazione degli enunciati principi, perché, nella formulazione della sua prognosi negativa, non ha affatto attribuito rilevanza, men che meno decisiva, alla biografia criminale del condanNOME, come vorrebbe la difesa del ricorrente, ma, focalizzata l’attenzione sulla tipologia e gravità del reato la cui pena è in espiazione, quale legittimo punto di partenza della valutazione, ha, poi, convenientemente apprezzato le risultanze negative emergenti cl ) alla
relazione di sintesi in atti, in cui gli operatori della RAGIONE_SOCIALE Siracus hanno bensì dato atto della correttezza formale del comportamento tenuto dal detenuto, ma, hanno, poi, inequivocamente concluso in senso contrario alla concedibilità, in suo favore, di una misura alternativa ampia come l’affidamento, “…per la complessità del caso, la mancanza di un contesto familiare supportivo, l’assenza di un percorso di riflessione critica sull’agito, la frammentarietà delle notizie relative alla storia familiare e personale del soggetto provenienti dal territorio”.
Pertanto, la prognosi negativa conclusivamente formulata dal Tribunale appare pienamente in linea con il giudizio degli operatori penitenziari, diversamente da quanto assunto in ricorso.
Con la sentenza n. 176/2024, la Corte costituzionale ha giudicato non fondata la questione di legittimità sollevata, come richiesto in questa sede anche dal ricorrente col secondo motivo dedotto, in relazione all’art. 47-ter, comma 1bis, Ord. pen. nei termini prima riportati nella superiore esposizione in fatto.
Si ritiene opportuno trascrivere di seguito i brani salienti della pronuncia, in modo tale da poter adeguatamente comprendere il ragionamento svolto dal Giudice delle leggi.
3.1. Sulla riforma delle “pene sostitutive” e sul rapporto con le misure alternative, con particolare riguardo alla detenzione domiciliare, la Corte costituzionale ha osservato:
«3. – Per quanto più direttamente attiene all’odierno thema decidendum, la riforma ha modificato profondamente anche la compagine delle pene sostitutive. Alla pena sostitutiva pecuniaria sono state, infatti, affiancate quelle – di nuovo conio – della semilibertà, della detenzione domiciliare e del lavoro sostitutivo, sopprimendo la semidetenzione e la libertà controllata.
Nell’indicata logica di anticipazione dell’alternativa al carcere al giudizio di cognizione, la semilibertà e la detenzione domiciliare sostituiva vengono evidentemente a porsi come ideale pendant delle misure alternative alla detenzione di egual nome previste dalla legge di ordinamento penitenziario. Il che non implica però una coincidenza di disciplina, quanto a presupposti e contenuti.
Ciò è vero in modo particolare per la detenzione domiciliare, cui ineriscono gli odierni quesiti di legittimità costituzionale.
Dissimile, anzitutto, è la perimetrazione della relativa area oggettiva di fruibilità. La detenzione domiciliare sostitutiva può essere, infatti, applicata quando il giudice ritiene di dover determinare la pena detentiva entro il limite dei quattro anni (artt. 53, primo comma, della legge n. 689 del 1981 e 20-bis, secondo comma, cod. pen.). Si tratta di limite più ampio di quello per l’accesso alla misura
alternativa, laddove il condanNOME non versi né nelle condizioni che consentono di fruire della detenzione domiciliare speciale prevista dall’art. 47-quinquies ordin. penit. (riservata ai soggetti che debbano accudire prole in tenera età), né nelle condizioni soggettive di particolare vulnerabilità indicate dai commi 01, 1 e 1-ter dell’art. 47-ter ordin. penit., che permettono di fruire della detenzione domiciliare ordinaria, secondo i casi, senza limiti di pena o nell’eguale limite dei quattro anni. Fuori di tali ipotesi, il censurato comma 1-bis del medesimo art. 47-ter ordin. penit. prevede, infatti, che la detenzione domiciliare possa essere concessa solo quando, in assenza dei presupposti per l’affidamento in prova al servizio sociale, la pena da espiare non ecceda i due anni: limite che nel caso oggetto del giudizio a quo risulta superato (a differenza di quello relativo alla detenzione domiciliare sostitutiva), essendo stata inflitta al condanNOME una pena complessiva di due anni e dieci mesi di reclusione.
La detenzione domiciliare sostitutiva si presenta, poi, in generale più favorevole sul piano dei contenuti.
L’art. 47-ter, comma 4, ordin. penit., rinviando all’art. 284 cod. proc. pen., prevede infatti che il condanNOME ammesso alla misura alternativa possa essere autorizzato dal giudice ad assentarsi dal luogo di esecuzione della misura per il tempo strettamente necessario a provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita o per esercitare un’attività lavorativa: ma ciò solo quando non possa provvedere altrimenti a quelle esigenze o versi in una situazione di assoluta indigenza. Assai meno stringente risulta invece il disposto del novellato art. 56 della legge n. 689 del 1981, secondo il quale il condanNOME alla detenzione domiciliare sostitutiva è tenuto a rimanere nel luogo in cui la pena deve essere espiata per un periodo minimo di dodici ore al giorno, determiNOME dal giudice «avuto riguardo a comprovate esigenze familiari, di studio, di formazione professionale, di lavoro o di salute del condanNOME», ferma restando, in ogni caso, la possibilità per quest’ultimo di «lasciare il domicilio per almeno quattro ore al giorno, anche non continuative, per provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita e di salute, secondo quanto stabilito dal giudice»; il tutto tenendo conto anche del «programma di trattamento elaborato dall’ufficio di esecuzione penale esterna, che prende in carico il condanNOME e che riferisce periodicamente sulla sua condotta e sul percorso di reinserimento sociale». Si tratta di previsioni che il rimettente valorizza in rapporto al caso sottoposto al suo vaglio, rilevando come le prescrizioni che accompagnano la detenzione domiciliare sostitutiva consentirebbero, per la loro flessibilità, di salvaguardare le esigenze di cura, formazione professionale e lavoro del condanNOME istante, così da favorire la sua rieducazione, risultando al tempo stesso idonee – stanti anche le prescrizioni comuni a tutte le pene sostitutive diverse da quella pecuniaria, di cui ll’art. 56-
ter della legge n. 689 del 1981 – a prevenire il pericolo che egli commetta nuovi reati.
Diversamente dal condanNOME ammesso alla misura alternativa, il condanNOME alla detenzione domiciliare sostitutiva può inoltre fruire di licenze (art. 69, primo comma, della legge n. 689 del 1981) ed è soggetto a una disciplina meno severa quanto alle conseguenze dell’ingiustificato allontanamento dal luogo di espiazione della pena (art. 72, primo comma, della legge n. 689 del 1981)».
3.2. La Corte costituzionale si è soffermata, in seguito, sulle ragioni che hanno indotto il legislatore a prevedere una disciplina della detenzione domiciliare sostitutiva più “liberale” di quella viceversa prevista per la corrispondente misura alternativa:
Di là dalla stretta connessione logico-sistematica delle pene sostitutive con il giudizio di cognizione (sulla disomogeneità, per questo verso, tra le categorie dei liberi sospesi e dei condannati con sentenza definitiva successiva all’entrata in vigore della riforma, Corte di cassazione, sezione prima penale, 7 luglio-31 agosto 2023, n. 36379), occorre infatti tener conto delle specifiche ragioni che hanno indotto il legislatore della riforma a prevedere una disciplina della detenzione domiciliare sostitutiva più “liberale” di quella della corrispondente misura alternativa alla detenzione.
In ossequio ai criteri di delega legislativa (art. 1, comma 17, lettera b, della legge n. 134 del 2021) – difformi, sul punto, rispetto alle proposte della Commissione di studio istituita con decreto ministeriale 16 marzo 2021, servite di base per la riforma – il d.lgs. n. 150 del 2022 non ha incluso, tra le nuove pene sostitutive, una figura corrispondente alla più favorevole tra le misure alternative alla detenzione contemplate dalla legge di ordinamento penitenziario, vale a dire l’affidamento in prova al servizio sociale (art. 47 ordin. penit.).
Tale circostanza, se per un verso ha reso necessario subordinare in via generale al consenso dell’imputato l’applicazione delle pene sostitutive diverse da quella pecuniaria (art. 58, terzo comma, della legge n. 689 del 1981), per un altro verso ha fatto emergere l’esigenza di evitare un effetto disincentivante che rischiava di compromettere a priori il conseguimento degli obiettivi della riforma, a partire da quello di contenimento del fenomeno dei liberi sospesi (ma anche l’altro di promuovere l’accesso ai riti alternativi: sul punto, sentenza n. 84 del 2024). L’imputato potrebbe trovare, infatti, non conveniente assoggettarsi a pene sostitutive che dovrà effettivamente e immediatamente scontare una volta divenuta definitiva la condanna, preferendo puntare sull’ottenimento della più vantaggiosa misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale nella condizione di libero sospeso.
La previsione di una disciplina della detenzione domiciliare sostitutiva più “elastica” rispetto a quella dell’omonima misura alternativa alla detenzione mira anche e proprio ad attenuare tale effetto disincentivante, oltre che ad incrementare la capacità della pena sostitutiva di rispondere a finalità di rieducazione e recupero sociale del condanNOME (ancora, sentenza n. 84 del 2024). Se da un lato, infatti, il limite di fruibilità di tale pena sostitutiva risulta alli quello dell’affidamento in prova, dall’altro, la disciplina dei suoi contenuti finisc di fatto, per avvicinarla in modo significativo a quest’ultima misura.
Si comprende allora come sarebbe del tutto ingiustificato estendere tale disciplina più favorevole a soggetti che, al momento dell’entrata in vigore della riforma, siano già stati raggiunti da una sentenza di condanna irrevocabile e si trovino nella condizione – quella di liberi sospesi – che la riforma stessa mira a prevenire, ma che, proprio per questo, hanno la possibilità di fruire, quando ne ricorrano i presupposti, della misura dell’affidamento in prova al servizio sociale, priva di diretta corrispondenza nella griglia delle pene sostitutive».
La decisione del Giudice delle leggi, di cui si è appena dato compiuto conto nei suoi snodi cruciali, permette di ritenere superato il secondo motivo di ricorso, attinente a una questione di legittimità costituzionale già affrontata e giudicata infondata.
Il ricorso va, in conclusione, rigettato, dal che consegue ex lege la condanna del proponente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 30 settembre 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente