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Affidamento in prova: no se prognosi è negativa

La Cassazione ha rigettato il ricorso di un detenuto che chiedeva l’affidamento in prova. La corte ha confermato che la buona condotta in carcere non basta se la prognosi complessiva di reinserimento sociale è negativa, basata sui gravi precedenti penali e su una relazione sfavorevole della personalità. È stata inoltre respinta la questione di legittimità costituzionale sulla differenza di pena tra detenzione domiciliare alternativa e sostitutiva.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in prova: non basta la buona condotta se la prognosi è negativa

Con la sentenza n. 33973/2025, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sui presupposti per la concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale, chiarendo che la buona condotta carceraria, da sola, non è sufficiente a superare una prognosi complessivamente negativa sul percorso di reinserimento del condannato. La decisione analizza anche l’importante distinzione tra misure alternative e pene sostitutive introdotte dalla Riforma Cartabia.

I Fatti del Caso

Il Tribunale di Sorveglianza rigettava le istanze di un condannato volte a ottenere misure alternative alla detenzione, tra cui l’affidamento in prova. La decisione si fondava sui numerosi e gravi precedenti penali del soggetto, incluso un recente reato di evasione, e sull’esito negativo dell’osservazione della sua personalità in carcere.
Il condannato proponeva ricorso in Cassazione lamentando due aspetti principali:
1. Vizio di motivazione: a suo dire, il Tribunale si era basato esclusivamente sulla sua “biografia criminale”, trascurando la regolare condotta tenuta durante la detenzione.
2. Questione di legittimità costituzionale: sollevava dubbi sulla disparità di trattamento tra il limite di pena di due anni per la detenzione domiciliare “alternativa” e quello di quattro anni per la detenzione domiciliare “sostitutiva”, introdotta dalla Riforma Cartabia.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato in entrambi i motivi. Ha confermato la correttezza della decisione del Tribunale di Sorveglianza, ribadendo i principi consolidati in materia di valutazione per la concessione delle misure alternative.

Le motivazioni: il peso della prognosi per l’affidamento in prova

La Corte ha chiarito che, ai fini della concessione dell’affidamento in prova, il giudice deve formulare una “ragionevole prognosi di completo reinserimento sociale”. Questo giudizio non può basarsi su un singolo elemento, ma deve scaturire da una valutazione complessiva.

I precedenti penali e la gravità dei reati commessi costituiscono il punto di partenza dell’analisi, ma non possono essere l’unico fattore. È essenziale considerare anche la condotta successiva del condannato e i suoi comportamenti attuali. Tuttavia, come precisato dalla Corte, il Tribunale non si era limitato ai precedenti, ma aveva dato il giusto peso alla relazione di sintesi degli operatori penitenziari. Tale relazione, pur attestando una “correttezza formale” del comportamento in carcere, concludeva in senso negativo a causa della “complessità del caso, la mancanza di un contesto familiare supportivo, l’assenza di un percorso di riflessione critica sull’agito” e la frammentarietà della storia personale del soggetto. Di conseguenza, la prognosi negativa del Tribunale è stata ritenuta correttamente motivata e in linea con le risultanze istruttorie.

La distinzione tra misure alternative e pene sostitutive

In merito al secondo motivo, la Cassazione ha dichiarato la questione superata da una precedente pronuncia della Corte Costituzionale (sent. n. 176/2024). La Consulta ha spiegato che la differenza tra i limiti di pena per la detenzione domiciliare “sostitutiva” (fino a 4 anni) e quella “alternativa” (con limiti più stringenti) è una scelta deliberata del legislatore con la Riforma Cartabia.
L’obiettivo era incentivare l’applicazione delle pene sostitutive già in fase di condanna per ridurre il sovraffollamento carcerario e il fenomeno dei “liberi sospesi”. Rendere la pena sostitutiva più vantaggiosa (con un limite di pena più alto e contenuti più flessibili) serve a incoraggiare l’imputato ad accettarla subito, piuttosto che attendere la fase esecutiva per richiedere una misura alternativa. Estendere tale disciplina più favorevole a chi è già stato condannato in via definitiva vanificherebbe lo scopo della riforma.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale nell’esecuzione penale: la concessione di una misura alternativa come l’affidamento in prova non è un automatismo, nemmeno di fronte a una buona condotta in istituto. La valutazione del giudice deve essere globale e proiettata al futuro, mirando a verificare l’esistenza di un reale e avviato percorso di revisione critica e di risocializzazione. La decisione sottolinea inoltre la coerenza del sistema introdotto dalla Riforma Cartabia, le cui differenze normative tra pene sostitutive e misure alternative rispondono a una precisa logica di politica criminale volta a deflazionare il sistema carcerario sin dalla fase di cognizione.

La buona condotta in carcere è sufficiente per ottenere l’affidamento in prova?
No, la sola buona condotta formale tenuta in carcere non è sufficiente. Il giudice deve compiere una valutazione complessiva della personalità del condannato per formulare una prognosi di completo reinserimento sociale. Questa prognosi può risultare negativa, e quindi ostativa alla concessione della misura, anche a fronte di un comportamento corretto durante la detenzione, se altri elementi (come la gravità dei reati, l’assenza di un supporto familiare o di una riflessione critica sul passato) depongono in senso contrario.

Perché esistono limiti di pena diversi tra la detenzione domiciliare “alternativa” e quella “sostitutiva”?
La differenza è una scelta voluta dal legislatore con la Riforma Cartabia. La detenzione domiciliare sostitutiva, applicata dal giudice al momento della condanna, ha un limite di pena più elevato (fino a 4 anni) per renderla più appetibile e incentivare gli imputati ad accedervi subito, evitando così l’ingresso in carcere per pene brevi. La detenzione domiciliare alternativa, concessa dal Tribunale di Sorveglianza in fase di esecuzione, ha presupposti e limiti di pena più stringenti perché si inserisce in un contesto diverso.

Quali elementi considera il giudice per formulare la prognosi di reinserimento sociale?
Il giudice parte dall’analisi della natura e gravità dei reati per cui è intervenuta la condanna e dei precedenti penali. A questi elementi unisce la valutazione della condotta tenuta successivamente dal condannato, i suoi comportamenti attuali, l’adesione a valori socialmente condivisi, l’attaccamento al contesto familiare e le prospettive di risocializzazione. Un ruolo cruciale è svolto dalle relazioni redatte dagli operatori penitenziari durante il periodo di osservazione in carcere.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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