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Affidamento in prova: no se manca un progetto sociale

La Corte di Cassazione ha confermato il diniego dell’affidamento in prova a un condannato che, pur avendo i requisiti di pena, non aveva prospettato alcuna attività lavorativa o di volontariato. La sentenza stabilisce che, sebbene un lavoro non sia un requisito assoluto, la totale assenza di un progetto concreto di reinserimento sociale è un motivo valido per respingere la richiesta, in quanto la misura non può essere concessa solo per ottenere condizioni più favorevoli rispetto alla detenzione domiciliare.

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Pubblicato il 23 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in Prova: La Proposta di un Percorso di Reinserimento è Davvero Necessaria?

L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta una delle più importanti misure alternative alla detenzione, pensata per favorire il reinserimento del condannato nella società. Tuttavia, la sua concessione non è automatica e dipende da una valutazione complessiva della personalità del soggetto e delle sue prospettive di risocializzazione. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito un punto fondamentale: la mancanza di un progetto concreto, come un’attività di volontariato, può essere un ostacolo decisivo per ottenere il beneficio.

I Fatti di Causa: Dalla Detenzione Domiciliare alla Richiesta di Misura Alternativa

Il caso riguarda un uomo, già in regime di detenzione domiciliare, che ha presentato istanza per l’affidamento in prova al servizio sociale. La richiesta era stata motivata dall’emissione di un provvedimento di cumulo pene che aveva innalzato il residuo da scontare oltre il limite previsto per la detenzione domiciliare. Successivamente, grazie alla concessione della liberazione anticipata, la pena era nuovamente rientrata nei limiti, ma l’istanza di affidamento era stata comunque mantenuta. Il Tribunale di Sorveglianza, però, aveva respinto la domanda.

La Decisione del Tribunale di Sorveglianza

Il Tribunale di Sorveglianza ha rigettato la richiesta del condannato sulla base di due principali considerazioni. In primo luogo, ha ritenuto che la domanda fosse motivata unicamente dall’intento di ottenere prescrizioni più favorevoli rispetto a quelle della detenzione domiciliare, venuta meno la ragione originaria legata all’aumento della pena. In secondo luogo, e in modo decisivo, ha sottolineato come l’interessato non avesse prospettato alcuna attività lavorativa o di volontariato. Questa assenza di un progetto concreto è stata interpretata come mancanza di un serio impegno verso un percorso di reinserimento sociale.

I Motivi del Ricorso e le Difese sull’Affidamento in Prova

Il condannato, tramite il suo legale, ha presentato ricorso in Cassazione, contestando la decisione del Tribunale. La difesa ha sostenuto che i giudici non avessero tenuto conto della sua regolare condotta durante la detenzione domiciliare, dei costanti contatti con i servizi sociali e con il centro di salute mentale, e del suo deficit cognitivo. Inoltre, è stato evidenziato che l’assenza di un’attività lavorativa non dovrebbe essere un elemento negativo, dato che il condannato percepiva due pensioni e la legge non la impone come requisito obbligatorio per l’affidamento in prova.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, pur correggendo parzialmente la motivazione del provvedimento impugnato. I giudici supremi hanno innanzitutto chiarito che l’assenza di un’attività lavorativa non costituisce, di per sé, un requisito ostativo alla concessione della misura alternativa. Questo principio è consolidato, specialmente in casi come quello di specie in cui il soggetto ha altre fonti di sostentamento.

Tuttavia, la Corte ha dato rilievo, con carattere assorbente, a un altro aspetto: la totale mancanza di una prospettazione di qualsiasi attività di volontariato o, comunque, risocializzante. Il ricorrente si era limitato a indicare una generica disponibilità a svolgere tali attività, senza però fornire alcuna indicazione concreta. Secondo la Cassazione, questa genericità equivale a un’assenza di progetto. L’affidamento in prova non è solo un modo per scontare la pena fuori dal carcere, ma uno strumento che deve contribuire attivamente alla rieducazione e prevenire la ricaduta nel reato. Per questo, è necessario che il condannato dimostri un impegno concreto, delineando un percorso che intende seguire. La semplice disponibilità non basta.

Conclusioni: L’Importanza di un Progetto Concreto per l’Affidamento

La sentenza in esame ribadisce un principio cruciale: per accedere all’affidamento in prova, non è sufficiente soddisfare i requisiti formali legati all’entità della pena. È indispensabile presentare un progetto di reinserimento sociale credibile e dettagliato. La mancanza di una proposta specifica, che sia lavorativa o di volontariato, viene interpretata dal giudice come un’assenza di volontà di intraprendere un serio percorso di emenda. Pertanto, chi aspira a ottenere questa misura alternativa deve attivarsi per costruire e presentare al Tribunale di Sorveglianza un programma concreto di attività che dimostri il proprio impegno a reintegrarsi positivamente nella società.

Per ottenere l’affidamento in prova è obbligatorio avere un lavoro?
No, la Corte di Cassazione chiarisce che un’attività lavorativa non è un requisito indispensabile per la concessione dell’affidamento in prova, tanto più se il condannato, come nel caso di specie, percepisce già delle pensioni.

L’affidamento in prova può essere negato se non si propone un’attività di volontariato?
Sì. Secondo la sentenza, sebbene il lavoro non sia obbligatorio, la totale assenza della prospettazione di qualsiasi attività risocializzante, come il volontariato, costituisce un elemento ostativo che può legittimamente portare al rigetto della richiesta.

È sufficiente dichiararsi genericamente disponibili a svolgere attività risocializzanti per ottenere la misura alternativa?
No, non è sufficiente. La Corte ha ritenuto che una generica indicazione di disponibilità, senza fornire alcuna concreta indicazione su un progetto specifico, equivale a una mancata prospettazione di un percorso di reinserimento e giustifica il diniego della misura.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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