Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 36884 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 36884 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Brindisi il DATA_NASCITA;
avverso la ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Lecce del 06/05/2025;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Lecce rigettava la domanda di affidamento in prova al servizio sociale presentata nell’interesse di NOME COGNOME, con riferimento alla pena di cui al provvedimento di cumulo della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Brindisi del 1° ottobre 2024.
Il Tribunale osservava che il condannato, già ammesso alla detenzione domiciliare ex art. 47-ter, comma 1-bis, Ord. pen., aveva proposto la richiesta unicamente per la ragione che – a seguito della emissione del sopra indicato provvedimento di cumulo sopra indicato – la pena residua era divenuta superiore ad anni due, ma che successivamente la stessa (dopo la concessione della liberazione anticipata) era nuovamente scesa al di sotto del limite sopra indicato, con la conseguenza che era venuta meno la ragione della richiesta di concessione in via provvisoria della misura alternativa dell’affidamento in prova. Inoltre, l’COGNOME non aveva prospettato alcuna attività lavorativa o di volontariato ritenute necessarie per poter prevedere un concreto percorso di reinserimento nella società e che, pertanto, la richiesta ex art. 47 Ord. pen. andava intesa come un modo per usufruire di prescrizioni più favorevoli e non già per effettuare un serio processo di risocializzazione da parte del condannato.
Avverso tale ordinanza NOME AVV_NOTAIO, per mezzo dell’AVV_NOTAIO, ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., insistendo per il su annullamento.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 47 Ord. pen. ed il vizio di motivazione per avere ritenuto venuto meno – una volta concessa la liberazione anticipata – il motivo per il quale egli aveva chiesto l’affidamento nonostante, dopo la richiesta di applicazione in via provvisoria della misura alternativa (sulla quale il Tribunale di sorveglianza non aveva mai provveduto) ne fosse stata presentata una nuova, fondata sulle condizioni venutesi a creare dopo la concessione della riduzione della pena ai sensi dell’art. 54 Ord. pen.
2.2. Con il secondo motivo il condannato deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione dell’art. 47 I. 354/75 ed il relativo vizio di motivazione; al riguardo, osserva che l’ordinanza impugnata non ha tenuto conto della sua regolare condotta e del rispetto delle prescrizioni nel corso della detenzione domiciliare (come confermato dall’autorità di pubblica sicurezza), dei costanti contatti da lui serbati con il locale centro di salute mentale ed i servizi sociali, dando invece rilievo negativo alla mancanza di una attività lavorativa o risocializzante sebbene egli, comunque, percepisca due pensioni e sia affetto da deficit di natura cognitiva. In sostanza, quindi, il ricorrente si duole del fatto che il Tribunale di sorveglianza ha totalmente omesso di valutare il processo di risocializzazione in atto, sostenendo in modo gratuito che la richiesta di affidamento era stata avanzata unicamente per fruire di prescrizioni più favorevoli.
Il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME ha concluso per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso (i cui motivi possono essere trattati congiuntamente per la loro connessione) è nel complesso infondato e, pertanto, deve essere respinto con la conseguente conferma del provvedimento impugnato, sia pure con parziale correzione della motivazione ai sensi dell’art. 619 del codice di rito.
L’affidamento in prova al servizio sociale, disciplinato dall’art. 47 Ord. pen., è una misura alternativa alla detenzione carceraria che attua la finalità costituzionale rieducativa della pena. Essa può essere adottata, entro la generale cornice di ammissibilità prevista dalla legge, allorché, sulla base dell’osservazione della personalità del condannato condotta in istituto, o del comportamento da lui serbato in libertà, si ritenga che la medesima, anche attraverso l’adozione di opportune prescrizioni, possa contribuire alla menzionata rieducazione, prevenendo il pericolo di ricaduta nel reato. Ciò che assume rilievo, rispetto all’affidamento, è l’evoluzione della personalità registratasi successivamente al fatto-reato, nella prospettiva di un ottimale reinserimento sociale (Sez. 1, n. 33287 del 11/06/2013, COGNOME, Rv. 257001-01). Il processo di emenda deve
essere significativamente avviato, ancorché non sia richiesto il già conseguito ravvedimento, che caratterizza il diverso istituto della liberazione condizionale, previsto dal codice penale (Sez. 1, n. 43687 del 07/10/2010, COGNOME, Rv. 24898401; Sez. 1, n. 26754 del 29/05/2009, COGNOME, Rv. 244654-01; Sez. 1, n. 3868 del 26/06/1995, NOME, Rv. 202413-01).
Rientra nella discrezionalità del giudice di merito l’apprezzamento sull’idoneità o meno, ai fini della risocializzazione e della prevenzione della recidiva, delle diverse misure alternative in astratto concedibili (e l’eventuale scelta di quella ritenuta maggiormente congrua nel caso concreto). Le relative valutazioni non sono censurabili in sede di legittimità, se sorrette da motivazione adeguata e rispondente a canoni logici (Sez. 1, n. 652 del 10/02/1992, Caroso, Rv. 189375-01), la quale non può prescindere da un’esaustiva, ancorché se del caso sintetica, ricognizione degli incidenti elementi di giudizio.
Ciò posto, risulta inconferente il riferimento, contenuto nella ordinanza impugnata, al fatto che l’affidamento sarebbe stato richiesto dal condannato al solo fine di ottenere prescrizioni più favorevoli atteso che, trattandosi della più ampia tra le misure alternative alla detenzione, esso per sua natura comporta naturalmente spazi di libertà più ampi per il condannato rispetto alla detenzione domiciliare; analogamente, non risulta corretta la evidenziazione, da parte del Tribunale, dell’assenza di una attività lavorativa che, come noto, non costituisce requisito dirimente per la concessione dell’affidamento in prova (Sez. 1, n. 1023 del 30/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274869-01; Sez. 1, n. 18939 del 26/02/2013, E.A., Rv. 256024-01; Sez. 1, n. 26789 del 18/06/2009, COGNOME, Rv. 244735-01), tanto più che NOME COGNOME risulta titolare di due pensioni
Chiarito quanto sopra la ordinanza impugnata non appare censurabile poiché ha dato rilievo, in modo non contraddittorio e con carattere assorbente, alla mancata prospettazione di qualsiasi attività di volontariato e, comunque, risocializzante che il condannato svolgerebbe in ipotesi di ammissione alla più ampia fra le misura alternative alla detenzione.
Al riguardo, si osserva che lo stesso ricorrente nella istanza di affidamento dell’il. marzo 2025 aveva genericamente indicato la propria disponibilità a svolgere una attività di tal genere, senza però fornire alcuna concreta indicazione sul punto; pertanto, l’assenza di una qualsivoglia attività di carattere risocializzante è stata
considerata, in modo non manifestamente illogico, elemento ostativo alla concessione dell’affidamento in prova.
Pertanto, le censure difensive (peraltro, in gran parte rivalutative) non scalfiscono il congruo argomentare del Tribunale di sorveglianza.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali a norma dell’art. 616 del codice di rito.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2025.