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Affidamento in prova: no se manca revisione critica

La Corte di Cassazione ha confermato il diniego dell’affidamento in prova a un detenuto per tentato omicidio. La decisione si fonda sulla mancanza di una revisione critica del proprio comportamento da parte del condannato, elemento ritenuto indispensabile per una prognosi favorevole di reinserimento sociale, anche in presenza di altri fattori positivi come la disponibilità lavorativa e il supporto familiare.

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Pubblicato il 9 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in prova: La Revisione Critica del Reato è Indispensabile

L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta una delle più importanti misure alternative alla detenzione, finalizzata al reinserimento del condannato nella società. Tuttavia, la sua concessione non è automatica. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: anche in presenza di elementi positivi, come un lavoro e il sostegno familiare, la misura non può essere concessa se manca un percorso, almeno avviato, di revisione critica del proprio passato criminale. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Un uomo, condannato per il grave reato di tentato omicidio e agli arresti domiciliari, presentava istanza al Tribunale di Sorveglianza per ottenere una misura alternativa come l’affidamento in prova, la semilibertà o la detenzione domiciliare. A sostegno della sua richiesta, evidenziava alcuni elementi positivi:

* La disponibilità di un’azienda agricola a riassumerlo.
* La disponibilità a svolgere attività di volontariato.
* Il supporto della sua famiglia.

Di contro, il Tribunale rilevava aspetti negativi di notevole peso. Dalla relazione dei servizi sociali (Uepe) emergeva un atteggiamento superficiale del condannato rispetto al reato commesso, che tendeva a giustificare come una reazione istintiva. Inoltre, risultava una pendenza per minaccia aggravata e precedenti di polizia. I mezzi di sostentamento, infine, provenivano dai genitori, entrambi con precedenti.

La Decisione del Tribunale e il Ricorso

Il Tribunale di Sorveglianza rigettava l’istanza. La motivazione si concentrava sulla superficialità con cui il condannato valutava il proprio gesto e sulla mancanza di un percorso di revisione critica. Secondo i giudici, questo atteggiamento rendeva inappropriata la concessione di una misura alternativa, nonostante la pena dovesse terminare solo dopo diversi anni.

Il difensore del condannato proponeva ricorso in Cassazione, sostenendo che la decisione del Tribunale fosse illogica e contraddittoria. A suo avviso, i giudici non avevano dato il giusto peso agli elementi positivi emersi, come la disponibilità al dialogo, il riconoscimento del contesto sociale di appartenenza e le opportunità lavorative e di volontariato, che avrebbero dovuto legittimare una prognosi favorevole.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione sull’Affidamento in Prova

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, ritenendo la decisione del Tribunale di Sorveglianza corretta e ben motivata. I giudici supremi hanno chiarito i presupposti per la concessione dell’affidamento in prova. Non basta l’assenza di elementi negativi, ma è necessaria la presenza di elementi positivi che fondino un giudizio prognostico favorevole sulla riuscita della misura e sulla prevenzione della recidiva.

Il punto centrale della sentenza è l’importanza della revisione critica. La Corte ha affermato che, sebbene non si possa pretendere una completa e definitiva revisione del proprio passato, è indispensabile che un tale processo sia almeno stato avviato. L’atteggiamento giustificatorio e la mancanza di senso critico verso i reati commessi sono visti come espressione di una persistenza di mentalità criminale e, di conseguenza, come un sintomo di una mancata risposta al processo rieducativo.

La Corte ha specificato che gli elementi positivi, come il lavoro o il sostegno familiare, pur importanti, diventano recessivi se manca questo fondamentale presupposto. Il giudice, inoltre, può legittimamente ritenere necessario un ulteriore periodo di osservazione prima di concedere benefici, specialmente di fronte a reati gravi che indicano una significativa capacità a delinquere.

Conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio cardine nell’esecuzione della pena: le misure alternative non sono un diritto automatico, ma una possibilità legata a una valutazione complessa della personalità del condannato. Per accedere all’affidamento in prova, non è sufficiente presentare garanzie esterne come un lavoro o una famiglia. È essenziale dimostrare di aver intrapreso un percorso interiore di cambiamento, a partire dal ripudio delle condotte passate e dall’adesione a valori socialmente condivisi. La mancanza di questa revisione critica costituisce un ostacolo insormontabile, poiché mina alla base la prognosi di un futuro reinserimento sociale e di prevenzione di nuovi reati.

Perché è stato negato l’affidamento in prova nonostante la disponibilità di un lavoro e il supporto familiare?
Perché il condannato ha mostrato un atteggiamento superficiale e giustificatorio riguardo al grave reato commesso, non avendo avviato un percorso di revisione critica del suo comportamento. Questo è stato ritenuto un elemento decisivo e ostativo dal Tribunale.

È necessario aver completato una revisione critica del proprio passato per ottenere una misura alternativa?
No, la Corte di Cassazione ha specificato che non è richiesta una completa revisione critica del proprio passato. Tuttavia, è indispensabile che dai risultati dell’osservazione della personalità emerga che un tale processo critico sia stato quantomeno avviato.

Possono i giudici negare una misura alternativa anche se ci sono segnali positivi?
Sì. La giurisprudenza afferma che il Tribunale di Sorveglianza, specialmente in caso di reati gravi, può legittimamente ritenere necessario un ulteriore periodo di osservazione per verificare l’attitudine del soggetto ad adeguarsi alle prescrizioni, anche in presenza di elementi positivi nel suo comportamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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