Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 29520 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 29520 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/05/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente sul ricorso proposto da
avverso l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Roma del 7.2.2025
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
Con ordinanza resa in data 7.2.2025, il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha provveduto su una domanda, presentata nell’interesse di NOME COGNOME di concessione della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale o, in subordine, della detenzione domiciliare.
– Relatore –
Sent. n. sez. 1698/2025
CC – 15/05/2025
R.G.N. 10737/2025
In definitiva, il collegio non ritiene COGNOME meritevole della misura dell’affidamento in prova, sia per la particolare gravità dei reati, sia per il suo atteggiamento attuale, sia perchØ Ł soggetto ancora pericoloso per la società. Di conseguenza, rigetta le istanze di affidamento in prova e dichiara inammissibile l’istanza di detenzione domiciliare.
Il ricorso lamenta che il Tribunale, da un lato, abbia omesso di valorizzare che COGNOME ha sempre avuto un atteggiamento collaborativo, tanto da ottenere il riconoscimento della circostanza attenuante prevista dall’art. 323bis cod. pen., e, dall’altro, che abbia travisato il contenuto della relazione dell’Uepe, nella quale risulta che il condannato sia in grado di mettere a fuoco le proprie responsabilità senza utilizzare meccanismi di minimizzazione. Non a caso, la relazione auspica la concessione della misura dell’affidamento in prova.
L’ordinanza, inoltre, non si rapporta con la situazione familiare attuale di COGNOME, il quale Ł esclusivo affidatario dei due figli che non sono ancora economicamente autosufficienti. Viceversa, il Tribunale annette una valenza sfavorevole al fatto che l’istante si preoccupi per il suo nucleo familiare, dando dimostrazione di un senso di umanità che semmai avrebbe dovuto essere valutato positivamente.
Ancora, dalla relazione emerge che il condannato abbia espresso il suo rammarico rispetto ai reati commessi, dei quali si Ł assunto la responsabilità, dando avvio a un processo di revisione critica.
L’ordinanza Ł viziata anche con riferimento alla ritenuta inidoneità dell’attività lavorativa, che COGNOME ha dovuto cambiare in quanto licenziato dalla precedente società di costruzioni, per la quale aveva ininterrottamente lavorato cinque anni, a causa di una riorganizzazione aziendale. Anche la difficoltà segnalata per i controlli del sorvegliato avrebbe potuto essere superata con la previsione di specifiche prescrizioni da impartire al condannato.
Infine, l’ordinanza impugnata non si Ł confrontata, in riferimento alle pendenze penali, con le allegazioni della difesa, la quale ha evidenziato che sono riconducibili a denunce della ex moglie per il reato di mancato versamento dell’assegno di mantenimento in suo favore.
Con requisitoria scritta trasmessa il 21.4.2025, il Sostituto Procuratore generale ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, in quanto non ha adeguatamente preso in considerazione la circostanza dell’avvio da parte del condannato di un percorso di collaborazione con la giustizia, che gli Ł valso il riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 323bis cod. pen., e non ha calato la grave vicenda penale per cui Ł stato condannato nell’ambito delle scelte processuali e personali di collaborazione con la giustizia che vi hanno fatto seguito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł infondato per le ragioni di seguito esposte.
1.L’accesso all’affidamento in prova al servizio sociale Ł subordinato alla sussistenza di determinati requisiti, alcuni dei quali attinenti alla meritevolezza della misura alternativa che il tribunale di sorveglianza deve ricavare dall’analisi del comportamento tenuto dal condannato e dalla conseguente prognosi di non recidiva da porsi in relazione con la idoneità dell’affidamento a contribuire al suo reinserimento nella società.
Sotto questo profilo, Ł stato affermato che il punto di partenza dell’analisi della personalità del soggetto Ł costituito dalla natura e dalla gravità dei reati per cui Ł stata irrogata la pena in espiazione; tuttavia, Ł necessaria anche la valutazione della condotta successivamente serbata dal condannato, essendo indispensabile l’esame dei suoi comportamenti attuali, attesa l’esigenza di accertare non solo l’assenza di indicazioni negative, ma anche la presenza di elementi positivi che consentano un giudizio prognostico di buon esito della prova e di prevenzione del pericolo di recidiva (Sez. 1, Sentenza n. 4390 del 20/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278174-01; Sez. 1, n. 31420 del 5/5/2015, COGNOME, Rv. 264602-01; cfr. anche Sez. 1, n. 7873 del 18/12/2023, dep. 2024, COGNOME Rv. 285855-01).
2. In questa prospettiva, l’ordinanza impugnata ha preso le mosse dalla valutazione dei reati commessi e delle pendenze processuali nei confronti di COGNOME
Quanto ai delitti per cui Ł stata irrogata la pena in esecuzione, il Tribunale di Sorveglianza ha apprezzato i fatti posti in essere dal ricorrente come ‘gravissimi’, evidenziando innanzitutto la contestazione del reato associativo, commesso da COGNOME per il tramite di «una sua partecipazione sistematica protrattasi per circa due anni, n.q. di titolare di un’impresa edile, ad un meccanismo corruttivo di funzionari pubblici (dipendenti o funzionari infedeli) allo scopo di falsificare i dati relativi alle gare d’appalto da assegnare, presso l’Aeronautica militare di Ciampino, financo introducendosi in luoghi militari, allo scopo di attuare i falsi documentali necessari, e retribuendo i suddetti dipendenti o funzionari pubblici con somme di denaro dal 5% al 10% del valore degli appalti illecitamente ottenuti».
In questo contesto, sono stati posti in risalto soprattutto i due episodi di corruzione per i quali il ricorrente Ł stato condannato, uno dei quali consistito, in particolare, nel pagamento ad un funzionario pubblico della somma di 150.000 euro quale compenso per avere ottenuto l’assegnazione di un appalto del valore di 1.500.000 euro circa.
L’ordinanza, inoltre, richiama, per il periodo successivo, due condanne di COGNOME per il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare e una sua recente iscrizione nel registro degli indagati per tentata truffa in concorso con altro soggetto.
Proprio alla luce di tale preventivo apprezzamento, il Tribunale di Sorveglianza ha ritenuto di non potere valutare l’atteggiamento del condannato – quale desumibile dalla relazione dell’UEPE di Roma – come sintomatico di un avvio di revisione critica del proprio passato criminale.
Dalla suddetta relazione, allegata al ricorso, risulta (nel paragrafo intitolato ‘Atteggiamento nei confronti del reato’) che COGNOME abbia espresso rammarico rispetto al suo coinvolgimento ‘nel reato commesso’, assumendosene la responsabilità e riconoscendo di avere agito con superficialità per non avere saputo gestire un momento di difficoltà economica nel 2015, cedendo alle pressioni di ‘persone sbagliate’.
Il Tribunale di Sorveglianza ha ritenuto, pertanto, che il condannato avesse mostrato una ‘totale minimizzazione dei fatti con dichiarazioni semplicistiche’, che avvaloravano una ricostruzione secondo cui la sua partecipazione ai reati era stata episodica e indotta dalle pressioni altrui.
Procedendo nell’esame della condotta di COGNOME successiva ai fatti per i quali ha
riportato la condanna in esecuzione, l’ordinanza impugnata stigmatizza la assoluta assenza di indicazioni da parte dell’istante circa il risarcimento dei danni e il pagamento delle spese processuali.
Quanto, poi, all’attività lavorativa, che pure Ł un elemento da prendere in considerazione ai fini del giudizio prognostico circa il reinserimento sociale del condannato, il Tribunale di Sorveglianza valuta negativamente la circostanza che COGNOME abbia chiesto di potere uscire dalla propria abitazione dalla ore 6.30 alle ore 23.00 e di effettuare spostamenti su tutto il territorio nazionale: si tratterebbe, ove l’affidamento sia autorizzato a queste condizioni, di una sostanziale neutralizzazione della condanna penale, tale da rendere vani i necessari controlli delle forze di polizia.
Come Ł evidente, dunque, il Tribunale di Sorveglianza ha ritenuto che sia le pregresse fonti di conoscenza, sia i successivi risultati dell’indagine socio-familiare operata dalle strutture di osservazione, non consentissero di ritenere COGNOME (posta l’inammissibilità della sua richiesta subordinata di detenzione domiciliare, per il difetto del requisito relativo ai limiti di pena) meritevole dell’ampia misura dell’affidamento in prova.
Il ricorso contrasta questa conclusione per il tramite di censure che, quanto ai fatti per i quali Ł intervenuta la condanna in esecuzione e alle ulteriori pendenze processuali, evidenziano, per un verso, che COGNOME abbia ottenuto il riconoscimento in sede di cognizione della circostanza di cui all’art. 323bis cod. pen. e, per l’altro, che abbia corrisposto la somma di 20.000 euro alla ex moglie in via transattiva.
Per vero, nØ dell’una nØ dell’altra circostanza Ł stata fornita precisa dimostrazione.
Che a COGNOME sia stata riconosciuta la circostanza di cui all’art. 323bis cod. pen., risulta dall’ordine di esecuzione emesso dal pubblico ministero ex art. 656 cod. proc. pen., mentre in atti Ł compresa la sentenza di primo grado con cui sono state concesse invece le sole attenuanti generiche. Al ricorso non Ł allegata la sentenza d’appello (che, per quanto emerge dallo stesso ordine di esecuzione, ha riformato la pronuncia del g.i.p. del Tribunale di Velletri), sicchØ non Ł dato valutare per quali ragioni e con quali modalità (per esempio, se a seguito di dibattimento di secondo grado o di concordato tra le parti) si sia addivenuti all’applicazione dell’attenuante speciale.
L’informazione sarebbe stata tanto piø necessaria se si considera che la collaborazione processuale non equivale di per sØ a revisione critica, intesa come sincera aspirazione a un reinserimento sociale, ma può avere motivazioni varie, come quelle collegate, per esempio, al pur legittimo fine di fruire di un trattamento sanzionatorio piø favorevole.
Al ricorso non Ł allegato nemmeno l’atto di transazione tra i coniugi, sicchØ nemmeno in questo caso Ł possibile valutare quando e in quale contesto sia intervenuto l’accordo e cosa abbia precisamente avuto ad oggetto.
Quanto, poi, alla condotta del condannato successiva ai reati, il ricorso avversa la motivazione dell’ordinanza impugnata con il richiamo della relazione dell’UEPE, da cui rimarca – sarebbe desumibile, differentemente da quanto ritenuto dai giudici di sorveglianza, una effettiva revisione critica del condannato, integrata da un approccio verso il proprio passato per nulla caratterizzato da minimizzazione degli illeciti commessi.
In realtà, la motivazione sul punto del Tribunale di Sorveglianza Ł nient’affatto illogica o contraddittoria quando ritiene di andare di contrario avviso rispetto all’UEPE.
Infatti, nella relazione di indagine sociale si parla del ‘rammarico’ di COGNOME per un reato commesso nel 2015 a causa di difficoltà economiche e dell’influenza di persone sbagliate. Tuttavia, il ricorrente Ł stato condannato per piø reati, tra cui quello di associazione a delinquere di natura permanente, che sono stati commessi in un ben piø
ampio arco temporale e con piø azioni da marzo 2014 al novembre 2015, sicchØ Ł ragionevole ritenere che, quand’anche la relazione riporti fedelmente l’atteggiamento del condannato, non di vera e propria revisione critica si tratterebbe, nemmeno nella forma di un avvio, in quanto un convinto ripudio delle condotte devianti non può che avere ad oggetto il complesso delle pregresse scelte criminali: il disconoscimento soltanto di una parte di esse, peraltro effettivamente improntato ad un tendenziale ridimensionamento della loro entità, non basta a fondare un giudizio di positiva evoluzione della personalità del condannato verso modelli di vita tendenti alla risocializzazione.
Peraltro, in questo contesto l’ordinanza impugnata ha appropriatamente messo in evidenza anche l’assenza, nell’istanza del condannato, di qualsivoglia riferimento all’adempimento delle obbligazioni civili derivanti dai reati.
Ai fini del diniego della concessione del beneficio dell’affidamento in prova al servizio sociale, infatti, il tribunale può legittimamente valutare l’ingiustificata indisponibilità del condannato a risarcire la vittima come elemento di segno negativo legittimante il rifiuto dell’affidamento, non rilevando che il risarcimento dei danni non sia previsto dalla norma come condizione per la concessione della misura alternativa (Sez. 1, n. 39266 del 15/6/2017, COGNOME, Rv. 271226 – 01; Sez. 1, n. 39474 del 25/9/2007, COGNOME, Rv. 237740 01).
Alla luce di quanto fin qui osservato, si deve ritenere, dunque, che le censure difensive non siano suscettibili di inficiare la tenuta della motivazione dell’ordinanza impugnata, laddove il Tribunale di Sorveglianza afferma la insussistenza di elementi positivi che facciano ragionevolmente ritenere la proficuità dell’affidamento e che consentano un favorevole giudizio prognostico di prevenzione del pericolo di recidiva.
Ne consegue, pertanto, che il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così Ł deciso, 15/05/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME