Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 45551 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 45551 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a VENARIA REALE il 20/03/1971
avverso l’ordinanza del 26/02/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
lette/serrttte le conclusioni del PG
Letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Milano ha rigettato la richiesta di affidamento in prova al servizio sociale, formulata nell’interesse di NOME COGNOME in relazione all’espiazione della pena residua di cui al cumulo del P.m. presso il Tribunale di Milano n. SIEP 2021/3146.
Avverso detta ordinanza propone ricorso per cassazione NOME COGNOME tramite il proprio difensore di fiducia.
2.1. Col primo motivo di impugnazione deduce violazione dell’art. 47 I. 26 luglio 1975, n. 354 (Ord. pen.) e vizio di motivazione in relazione all’individuazione dei presupposti necessari al fine della concessione della misura alternativa alla detenzione invocata.
Si duole la difesa che il Tribunale di sorveglianza di Milano non abbia tenuto conto del percorso educativo intrapreso da COGNOME, segnalato dalla relazione di sintesi aggiornata che fa riferimento anche a concessione di permessi premio nel 2023 da parte dell’Ufficio di sorveglianza di Milano. Detto Tribunale ha poi trascurato la disponibilità della RAGIONE_SOCIALE ad assumere lavorativamente il ricorrente e la sussistenza di un domicilio idoneo presso l’abitazione coniugale.
Si osserva che l’accesso alla misura dell’affidamento non presuppone una completa emenda, ma al più postula il mero inizio del percorso rieducativo e una ragionevole prognosi di reinserimento sociale del condannato.
Lamenta la difesa che detto Tribunale non risulta avere valutato a tale riguardo le acquisizioni documentali e in particolare essersi confrontato con le argomentazioni sia dell’ordinanza del 9 maggio 2023 concessiva dei permessi premio sia della relazione aggiornata del 20 febbraio 2024, che dà atto del fatto che la pericolosità sociale non possa più essere considerata attuale, dopo alcuni anni di carcerazione e dissociazione dal contesto criminale di provenienza e di irreprensibile condotta penitenziaria, giungendo a conclusioni in contrasto con tali acquisizioni.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso ci si duole dell’utilizzo da parte del Tribunale di sorveglianza per la decisione di rigetto di atti non presenti all’intern del fascicolo del procedimento in quanto non acquisiti formalmente (relazione di sintesi datata 11 aprile 2023 e sentenza del Tribunale di Varese).
La difesa insiste per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
Ai fini della concessione di una misura alternativa alla detenzione non è sufficiente l’assenza di indicazioni negative, quali il mancato superamento dei limiti massimi, fissati per legge, della pena da scontare e l’assenza di reati ostativi, ma occorre che risultino elementi positivi, che consentano un giudizio prognostico favorevole della prova (quanto in particolare all’affidamento in prova) e di prevenzione del pericolo di recidiva. Tali considerazioni, peraltro, devono essere inquadrate alla luce del più generale principio per il quale l’opportunità del trattamento alternativo non può prescindere dall’esistenza di un serio processo, già avviato, di revisione critica del passato delinquenziale e di risocializzazione che va motivatamente escluso attraverso il riferimento a dati fattuali obiettivamente certi -, oltre che dalla concreta praticabilità del beneficio stesso, essendo ovvio che la facoltà di ammettere a una misura alternativa presuppone la verifica dell’esistenza dei presupposti relativi all’emenda del soggetto e alle finalità rieducative. Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, inoltre, il giudice, pur non potendo prescindere, nella valutazione dei presupposti per la concessione di una misura alternativa, dalla tipologia e gravità dei reati commessi, deve, tuttavia, avere soprattutto riguardo al comportamento e alla situazione del soggetto dopo i fatti per cui è stata inflitta la condanna in esecuzione, onde verificare concretamente se vi siano o meno i sintomi di una positiva evoluzione della sua personalità e condizioni che rendano possibile il reinserimento sociale attraverso la richiesta misura alternativa (Sez. 1 n. 20469 del 23/04/201.4, Canterini, e Sez. 1, n. 17021 del 09/01/15, Nucera). 3. Orbene, l’ordinanza impugnata fa corretta applicazione di detti principi, lungi dal dar vita ad una motivazione meramente apparente. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Invero, l’ordinanza impugnata dà atto del fatto che COGNOME è in espiazione della pena di cui alla sentenza emessa dal Tribunale di Varese in data 31 marzo 2017 per numerosi furti commessi dal 2013 al 2015 e della pena di cui alla sentenza della Corte di appello di Milano in data 13 gennaio 2020, per avere detenuto in data 30 settembre 2019 un’arma comune da sparo completa di caricatore con 42 cartucce, compendio di furto commesso il 3 settembre precedente.
Rileva, altresì, che dalla relazione di sintesi dell’Il aprile 2023 risulta c COGNOME ha sempre negato la responsabilità per i reati di furto di cui alla sentenza
emessa dal Tribunale di Varese, affermando di essere stato erroneamente riconosciuto in fotografia dalle numerose persone offese.
Evidenzia che i furti erano stati commessi ai danni di persone anziane, entrando con l’inganno nelle abitazioni delle stesse e sottraendo, sempre con l’inganno, beni di ingente valore; e che la sentenza è ampiamente motivata e dà atto di tutti gli elementi di prova e anche della perdurante assenza di COGNOME durante l’istruttoria e l’esame delle persone offese, per evitare il riconoscimento de visu.
Aggiunge che il reato di detenzione d’arma per il quale il suddetto risulta, altresì, essere stato condannato era commesso durante il tempo in cui lo stesso si era reso latitante in relazione alla condanna per i vari reati di furto; e che anche per detto reato il condannato si è sempre dichiarato innocente, negando di essere stato a conoscenza della presenza dell’arma all’interno del camper stesso.
I Giudici della sorveglianza danno, altresì, atto dell’acquisizione agli atti dell relazione di sintesi datata 20 febbraio 2024, che ha ribadito quanto già esposto nella precedente relazione, informando del buon andamento dei permessi premio usufruiti dal detenuto, e spiegando, altresì, da un punto di vista sociologico, la mancata rivisitazione critica del passato da parte di COGNOME (e in particolare rilevando come la mancanza o la scarsità del senso di colpa per la commissione di reati predatori da parte degli appartenenti a comunità rom, come il suddetto, in danno di coloro che non vi appartengono siano piuttosto diffuse per ragioni culturali).
Detti Giudici, pur prendendo atto, diversamente da come lamentato dalla difesa, della sussistenza di un domicilio idoneo per l’eventuale esecuzione della misura alternativa e della disponibilità ad assumere il condannato della ditta RAGIONE_SOCIALE, concludono, alla luce del lontano fine pena e della gravità dei reati commessi in relazione ai quali COGNOME non risulta avere in realtà operato alcuna rivisitazione critica, limitandosi a professare la propria innocenza in relazione a tutti i fatti a lui ascritti, per ritenere non accoglibile la richiesta di affidame prova.
Tali argomentazioni sono tutt’altro che in contrasto col disposto dell’art. 47 Ord. pen. ovvero contraddittorie e viziate circa l’individuazione dei presupposti di cui a detta misura, in quanto correttamente escludono un automatismo nella concessione dell’affidamento in prova a coloro che, come il ricorrente, siano stati ammessi a permessi premio, in ragione dei differenti margini di libertà connessi ai due diversi benefici. Le conclusioni circa l’inaffidabilità del ricorrente in ordine rispetto delle prescrizioni e al perdurante rischio di recidiva sono coerenti con le premesse di assenza di rivisitazione critica e di residua pericolosità sociale rilevabile dal curriculum criminale dell’interessato, valorizzando a tale riguardo i
provvedimento impugnato anche i numerosi precedenti penali pure specifici e la latitanza in relazione alla condanna per i furti in esecuzione.
Ne consegue l’infondatezza delle doglianze di entrambi i motivi di ricorso, peraltro il secondo assolutamente generico.
Il provvedimento in esame, lungi dal focalizzarsi sui soli reati in esecuzione, pur muovendo, come si è visto, dalla lettura delle condanne, dà conto della presenza di entrambe le relazioni di sintesi agli atti del fascicolo e comunque si fonda sull’osservazione della personalità dell’interessato quale cristallizzata nelle stesse e, quindi, emersa nel corso dell’istruttoria del procedimento. Si confronta, inoltre, con la concessione e l’andamento dei permessi premio, nonché con l’offerta lavorativa e l’idoneità del domicilio, elementi che infondatamente si assumono trascurati.
Al rigetto consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, 1’8 ottobre 2024.