Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 30434 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 30434 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a VERONA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 20/09/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di VENEZIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Visti gli atti e l’ordinanza impugnata;
letti i motivi del ricorso;
rilevato, in linea generale, che l’affidamento in prova al servizio sociale, discipliNOME dall’art. 47 legge 26 luglio 1975, n. 354, è una misura alternativa alla detenzione carceraria che attua la finalità costituzionale rieducativa della pena e che può essere adottata, entro la generale cornice di ammissibilità prevista dalla legge, allorché, sulla base dell’osservazione della personalità del condanNOME condotta in istituto, o del comportamento da lui serbato in libertà, si ritenga che essa, anche attraverso l’adozione di opportune prescrizioni, possa contribuire alla risocializzazione prevenendo il pericolo di ricaduta nel reato;
che il giudizio in merito alla ammissione all’affidamento si fonda, dunque, sull’osservazione dell’evoluzione della personalità registratasi successivamente al fatto-reato, nella prospettiva di un ottimale reinserimento sociale: è infatti consolidato, presso la giurisprudenza di legittimità, l’indirizzo ermeneutico secondo cui «In tema di affidamento in prova al servizio sociale, ai fini del giudizio prognostico in ordine al buon esito della prova, il giudice, pur non potendo prescindere dalla natura e gravità dei reati commessi, dai precedenti penali e dai procedimenti penali eventualmente pendenti, deve valutare anche la condotta successivamente serbata dal condanNOME» (Sez. 1, n. 44992 del 17/09/2018, S., Rv. 273985), in tal senso deponendo il tenore letterale dell’art. 47, commi 2 e 3, legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui condiziona l’affidamento al convincimento che esso, anche attraverso le prescrizioni impartite al condanNOME, contribuisca alla sua rieducazione ed assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati;
che, dunque, il processo di emenda deve essere significativamente avviato, ancorché non sia richiesto il già conseguito ravvedimento, che caratterizza il diverso istituto della liberazione condizionale, previsto dal codice penale (Sez. 1, n. 43687 del 07/10/2010, COGNOME, Rv. 248984; Sez. 1, n. 26754 del 29/05/2009, COGNOME, Rv. 244654; Sez. 1, n. 3868 del 26/06/1995, NOME, Rv. 202413);
che, se il presupposto dell’emenda non è riscontrato, o non lo è nella misura reputata adeguata, il condanNOME, se lo consentono il limite di pena diversamente stabilito con riferimento alle varie ipotesi disciplinate dall’art. 47 ter legge 26 luglio 1975, n. 354 – ed il titolo di reato, può essere comunque ammesso alla detenzione domiciliare, alla sola condizione che sia scongiurato pericolo di commissione di nuovi reati (Sez. 1, n. 14962 del 17/03/2009, Castiglione, Rv. 243745);
che il fine rieducativo si attua, in tal caso, mediante una misura dal carattere più marcatamente contenitivo, saldandosi alla tendenziale sfiducia
ordinamentale sull’efficacia del trattamento penitenziario instaurato rispetto a pene di contenuta durata;
che rientra nella discrezionalità del giudice di merito l’apprezzamento in ordine all’idoneità o meno, ai fini della risocializzazione e della prevenzione della recidiva, delle misure alternative – alla cui base vi è la comune necessità di una prognosi positiva, seppur differenziata nei termini suindicati, frutto di un unitario accertamento (Sez. 1, n. 16442 del 10/02/2010, Pennacchio, Rv. 247235) – e l’eventuale scelta di quella ritenuta maggiormente congrua nel caso concreto;
che le relative valutazioni non sono censurabili in sede di legittimità, se sorrette da motivazione adeguata e rispondente a canoni logici (Sez. 1, n. 652 del 10/02/1992, Caroso, Rv. 189375), basata su esaustiva, ancorché se del caso sintetica, ricognizione degli incidenti elementi di giudizio;
che, nel caso di specie, il Tribunale di sorveglianza ha disatteso l’istanza di ammissione alla più ampia misura dell’affidamento in prova al servizio sociale sul rilievo che COGNOME – gravato da un unico precedente definitivo e da pendenze relative a fatti anche recenti e di una certa gravità è soggetto che, già ammesso alla detenzione domiciliare con autorizzazione al lavoro, ha tenuto un comportamento poco trasparente e lineare, «strumentalizzando l’autorizzazione concessa dal MDS a fini lavorativi e tenendo un atteggiamento ambiguo, elusivo e poco trasparente con le forze dell’ordine, indicativo del permanere di moduli comportamentali analoghi a quelli che stanno alla base delle condotte devianti in espiazione»;
che il Tribunale di sorveglianza ha aggiunto che egli «non risulta essersi in alcun modo concretamente attivato nei confronti delle parti civili pur a fronte di una condanna risarcitoria», atteso, in specie, che «le parti civili sono riuscite a recuperare circa metà dell’importo liquidato solo grazie al dissequestro delle somme recuperate in corso di giudizio»;
che, a fronte di un giudizio scevro da vizi logici e saldamente ancorato alle emergenze procedimentali, il ricorrente replica svolgendo’ ancora con la memoria del 22 marzo 2024, considerazioni di portata eminentemente rivalutativa – in ordine, specificamente: alla puntualità del rispetto delle prescrizioni connesse all’autorizzato svolgimento di attività lavorativa; alla sopravvenuta archiviazione del procedimento promosso a suo carico per il delitto di evasione; alle favorevoli opportunità di inserimento familiare, sociale e lavorativo; alle iniziative poste in essere a titolo risarcitorio e, lato sensu, riparativo – e si pone, pertanto, in un’ottica di mera confutazione, che non riesce ad individuare fratture logiche nel ragionamento sotteso alla decisione impugnata, incentrato sull’onnesso avvio di un effettivo e credibile processo di
emenda e, di conseguenza, sull’attuale inidoneità dell’affidamento in prova al servizio sociale a prevenire il rischio, ancora concreto, di recidiva;
che, pertanto, deve essere dichiarata la inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 04/04/2024.