Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 27633 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 27633 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NETTUNO il 9/07/1975
avverso l ‘ ordinanza del 7/03/2025 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 26 settembre 2024, il Tribunale di sorveglianza di Roma aveva dichiarato inammissibile, ai sensi dell ‘ art. 58quater , comma 7-bis, Ord. pen., le istanze di affidamento in prova al servizio sociale e di detenzione domiciliare proposte nell ‘ interesse di NOME COGNOME detenuto in espiazione della pena di 7 anni di reclusione determinata con il provvedimento di cumulo emesso dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Velletri del 21 novembre 2022. Secondo il Collegio, COGNOME aveva già ottenuto l ‘ affidamento in prova in data 8 ottobre 2013 per un reato in materia di stupefacenti (rispetto al quale era stata dichiarata l ‘ estinzione con provvedimento del 3 maggio 2018), ma, successivamente, aveva ripreso a delinquere commettendo un reato della stessa specie di quello per il quale era stato condannato, con l ‘ applicazione della recidiva ex art. 99, comma quarto, cod. pen.
1.1. Con sentenza in data 29 novembre 2024, la Prima Sezione penale della Corte di cassazione annullò la predetta ordinanza, rilevando che dalla lettura del provvedimento impugnato, non risultava che il Tribunale di sorveglianza avesse verificato se il precedente affidamento in prova fosse stato concesso quando NOME era stato già dichiarato recidivo, atteso che solo in tale ipotesi avrebbe trovato applicazione la preclusione prevista dall ‘ art. 58-quater, comma 7-bis , Ord. pen.
1.2. Con ordinanza in data 7 marzo 2025, il Tribunale di sorveglianza di Roma, provvedendo in sede di rinvio, ha rigettato le richieste di misura alternativa proposte nell ‘ interesse dello stesso COGNOME, rilevando la gravità del reato e l ‘ incompleta revisione critica rispetto ad esso, posto che egli non affronterebbe pienamente la propria responsabilità e, anzi, minimizzerebbe la commissione del reato, concentrandosi sul suo stato d ‘ animo derivante dalla detenzione. Inoltre, COGNOME non avrebbe mai fruito di permessi premio, fondamentali per testare l ‘ affidabilità del detenuto nel contesto esterno, considerando che in passato egli, dopo avere beneficiato dell ‘ affidamento in prova, era tornato a delinquere.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso il predetto provvedimento per mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME deducendo sei distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell ‘ art. 606, comma 1, lett. e ), cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla valutazione della pericolosità sociale e del percorso di recupero del condannato. Il Tribunale di sorveglianza avrebbe fondato il proprio giudizio negativo sui «pregiudizi penali e di polizia» di NOME e sulle sue frequentazioni con ‘ pregiudicati ‘ risalenti a un periodo in cui non aveva ancora
intrapreso un serio percorso di recupero e non avrebbe tenuto conto del positivo cambiamento intervenuto nella sua vita, posto che, anche prima della carcerazione, egli svolgeva attività lavorativa in un ambiente sociale regolare, lontano da contesti criminali, dimostrando una propensione all ‘ inserimento sociale e alla responsabilità; circostanza omessa nell ‘ ordinanza impugnata. Inoltre, il Tribunale avrebbe respinto la richiesta per la sopravvenienza di un ulteriore condanna a 10 anni, con conseguente superamento del limite di pena previsto per la concessione del beneficio, sicché la decisione non sottenderebbe alcun giudizio di non meritevolezza del condannato ma un mero calcolo aritmetico, che avrebbe impedito a Tatta di iniziare la misura cui era stato precedentemente ammesso, sul presupposto che esistessero le condizioni per un percorso di recupero esterno. Quanto alla pericolosità sociale derivante dal mancato ravvedimento del condannato, il consolidato orientamento della Corte di cassazione richiederebbe che tale valutazione si fondi su un giudizio prognostico attuale e concreto che tenga conto del percorso di vita del soggetto, della sua condotta successiva al reato e delle concrete prospettive di reinserimento sociale. E, analogamente, la Corte europea dei diritti dell ‘ Uomo avrebbe più volte ribadito la necessità di una valutazione attuale della pericolosità del condannato di tipo dinamico, che tenga conto dei cambiamenti intervenuti nella vita del condannato durante l ‘ espiazione della pena. In particolare, il percorso carcerario sarebbe stato caratterizzato da un impegno costante e da risultati significativi, culminati nel conseguimento del diploma. E la prova della volontà di NOME di costruirsi un futuro lontano dal crimine sarebbe data dall ‘ assenza di nuovi reati dopo le precedenti condanne.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. e ), cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla mancata osservanza delle indicazioni offerte dalla sentenza di annullamento. Il Tribunale avrebbe erroneamente interpretato le affermazioni rese da COGNOME agli operatori penitenziari, affermando che egli che «minimizza il reato e durante i colloqui si concentra più sul suo stato d ‘ animo derivante dalla detenzione», senza tenere conto del contesto emotivo in cui si svolgono i colloqui e della sofferenza che la detenzione comporta. Né si sarebbe tenuto conto della disponibilità della moglie ad accogliere il condannato nella propria abitazione, ritenuta idonea, dove la donna vive con i figli.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell ‘ art. 606, comma 1, lett. b ) ed e ), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione della legge penale, per essersi l ‘ ordinanza impugnata posta in contrasto con la finalità rieducativa della pena, sancita dall ‘ art. 27 Cost. e dai principi affermati dalla CEDU. La rigida applicazione di criteri formali e la mancata valorizzazione dei progressi compiuti da NOME durante l ‘ espiazione della pena frustrerebbero tale finalità.
2.4. Con il quarto motivo, il ricorso deduce, ex art. 606, comma 1, lett. e ), cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla valorizzazione di una circostanza aggravante prevista dall ‘ art. 80, d.P.R. n. 309 del 1990 in tema di stupefacenti. In realtà, tale fattispecie sarebbe inesistente con riferimento alla posizione giuridica di Tatta.
2.5. Con il quinto motivo, il ricorso lamenta, ex art. 606, comma 1, lett. e ), cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al riferimento all ‘ art. 80, d.P.R. n. 309 del 1990. Il d.P.R. n. 309 del 1990 non conterrebbe alcuna disposizione con le caratteristiche descritte nell ‘ ordinanza annullata, con conseguente vizio del procedimento.
2.6. Con il sesto motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. e ), cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla valorizzazione dell ‘ art. 80, d.P.R. n. 309 del 1990 e delle pendenze penali. Il Tribunale di sorveglianza affermerebbe la sussistenza di pendenze penali a carico di Tatta a partire da presunte dichiarazioni dei Carabinieri del tutto prive di fondamento, non basate su alcun documento ufficiale, verbale o relazione, ma smentite dalle relazioni presenti agli atti. Quanto, poi, alla mancanza di pentimento per i fatti commessi dal condannato e all ‘ assenza di una relazione dl sintesi, la giurisprudenza di legittimità riterrebbe che il pentimento non sia un motivo sufficiente per negare i benefici penitenziari, essendo rilevanti unicamente il percorso di risocializzazione del condannato, la sua condotta carceraria, il rischio di recidiva, i rapporti con la famiglia e la comunità, l ‘ eventuale partecipazione a programmi di riabilitazione, non potendo la motivazione basarsi esclusivamente sul mancato pentimento.
In data 15 maggio 2025 è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stato chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
Va premesso che, secondo la giurisprudenza di legittimità, la concessione della misura dell ‘ affidamento in prova postula il positivo accertamento delle condizioni per realizzare il reinserimento del soggetto che vi venga ammesso e, al contempo, per prevenire l ‘ eventuale commissione di nuovi reati. A tal fine, devono essere valutati una serie di indici predittivi, tra i quali la giurisprudenza di legittimità colloca la natura e la gravità dei reati per i quali è stata applicata la pena in espiazione, che devono costituire, unitamente ai precedenti penali (Sez.
1, n. 1812 del 4/03/1999, COGNOME, Rv. 213062 – 01), alle pendenze giudiziarie e alle informazioni degli organi di pubblica sicurezza (Sez. 1, n. 1970 dell ‘ 11/03/1997, COGNOME, Rv. 207998 – 01), il punto di partenza dell ‘ analisi della personalità del soggetto. Tuttavia, la compiuta ed esauriente valutazione di quest ‘ ultima non può mai prescindere dalla condotta tenuta successivamente e dall ‘ attuale situazione della persona condannata, le quali risultano essenziali ai fini della ponderazione dell ‘ esistenza o della possibilità di un effettivo processo di recupero sociale, anche rispetto alla prevenzione del pericolo di recidiva (Sez. 1, n. 6783 del 13/12/1996, dep. 1997, COGNOME, Rv. 206776 – 01; Sez. 1, n. 688 del 5/02/1998, COGNOME, Rv. 210389 – 01; Sez. 1, n. 371 del 15/11/2001, dep. 2002, COGNOME, Rv. 220473 – 01; Sez. 1, n. 31809 del 9/07/2009, COGNOME, Rv. 244322 – 01; Sez. 1, n. 31420 del 5/05/2015, COGNOME, Rv. 264602 – 01). Tra gli indicatori utilmente apprezzabili in tale ottica, possono essere valutati l ‘ assenza di nuove denunzie, il ripudio delle pregresse condotte devianti, l ‘ adesione a valori socialmente condivisi, la condotta di vita attuale, l ‘ attaccamento al contesto familiare e l ‘ eventuale buona prospettiva di risocializzazione (Sez. 1, n. 44992 del 17/09/2018, S., Rv. 273985 – 01; Sez. 1, n. 45443 del 17/11/2021, COGNOME, non massimata). Quanto, poi, all ‘ atteggiamento rispetto al reato commesso, significativo ai fini del giudizio sulla possibilità di risocializzazione, è stato chiarito che il processo di revisione critica deve essere quantomeno avviato, ancorché non sia richiesto il già conseguito ravvedimento, che caratterizza il diverso istituto della liberazione condizionale, previsto dal codice penale (cfr. Sez. 1, n. 43687 del 7/10/2010, COGNOME, Rv. 248984 – 01; Sez. 1, n. 26754 del 29/05/2009, COGNOME, Rv. 244654 – 01).
Il Tribunale di sorveglianza si è attenuto alla delinerata cornice di principio, valorizzando, ai fini del negativo giudizio prognostico, una serie di elementi di fatto che, secondo il suo non illogico apprezzamento, assumevano un peso rilevante.
Infatti, l ‘ ordinanza impugnata ha evidenziato, in primo luogo, l ‘ esito negativo del precedente periodo di affidamento in prova al servizio sociale, atteso che, successivamente alla sua conclusione, COGNOME è tornato a commettere nuovi reati, in tal modo dimostrando la non proficuità del precedente percorso di recupero e giustificando il maggior rigore valutativo espresso nel nuovo giudizio prognostico, asseverato dal mancato avvio del processo di revisione critica riferito nell ‘ aggiornamento della relazione di sintesi, ove si afferma che COGNOME nel momento in cui affronta il tema del reato commesso, tende a cambiare discorso.
Ma soprattutto il Tribunale ha ritenuto che non avendo egli ancora fruito di permessi premio, la applicazione della più ampia tra le misure alternativa fosse prematura, occorrendo verificare la capacità di autocontrollo del detenuto all’esito di un ulteriore periodo di osservazione della personalità.
A fronte di tale compiuta motivazione, le censure difensive assumono una connotazione essenzialmente rivalutativa e non riescono a disarticolare il discorso giustificativo compiuto dall ‘ ordinanza impugnata, la quale resiste, dunque, alle critiche mosse con il ricorso.
Sotto altro profilo, manifestamente infondate sono le argomentazioni difensive svolte con il quarto, il quinto e il sesto motivo, concernenti il supposto riferimento, nell ‘ ordinanza impugnata, alla circostanza aggravante dell ‘ art. 80, d.P.R. n. 309 del 1990. In realtà, dalla piana lettura del provvedimento emerge che il richiamo normativo concerne l ‘ art. 80 dell ‘ ordinamento penitenziario, ovvero la disposizione relativa all’attività svolta dagli esperti psicologi e/o criminologici nell ‘ osservazione della personalità della persona detenuta, donde la totale inconferenza delle censure sul punto articolate dal ricorso.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PER QUESTI MOTIVI
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in data 12 giugno 2025