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Affidamento in prova: no se c’è rischio recidiva

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un detenuto contro il diniego dell’affidamento in prova al servizio sociale. La decisione si fonda sulla valutazione del Tribunale di Sorveglianza, che ha ritenuto il profilo criminale del soggetto e il concreto pericolo di recidiva incompatibili con una misura che concede ampia libertà. Secondo la Corte, la buona condotta in carcere non è sufficiente a dimostrare un’affidabilità tale da giustificare la concessione del beneficio, essendo necessario un percorso rieducativo più consolidato e graduale.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in prova: la buona condotta non basta se il rischio di recidiva è alto

L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta uno degli strumenti più importanti per il reinserimento sociale del condannato. Tuttavia, la sua concessione non è automatica e dipende da una valutazione complessa che il giudice deve compiere sulla personalità del richiedente. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: la buona condotta tenuta in carcere è una condizione necessaria ma non sufficiente, specialmente quando il profilo criminale e il pericolo di ricaduta nel reato sono concreti e attuali.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato riguarda un uomo condannato per rapina aggravata e tentato furto aggravato, con una pena residua di quasi tre anni di reclusione. L’interessato aveva richiesto al Tribunale di Sorveglianza di essere ammesso alla misura alternativa dell’affidamento in prova. Il Tribunale, tuttavia, ha respinto l’istanza, ritenendo che la propensione criminale del soggetto, attestata dalle condanne subite per reati di notevole gravità, non potesse essere contenuta da una misura che, per sua natura, garantisce ampi spazi di libertà e si basa sull’autodeterminazione del condannato nel rispettare le prescrizioni.

La Decisione del Tribunale di Sorveglianza

Il Tribunale di Sorveglianza ha motivato il suo diniego sottolineando che, sebbene il condannato avesse mantenuto una condotta regolare durante la detenzione e partecipato al trattamento rieducativo, questi elementi non erano sufficienti a dimostrare la sua completa affidabilità. Secondo i giudici, il percorso di reinserimento doveva essere graduale. Prima di concedere un beneficio così ampio come l’affidamento in prova, era necessario verificare la solidità del cambiamento attraverso la sperimentazione di benefici minori, come i permessi premio. Questo approccio, basato sul principio di progressione, avrebbe consentito di saggiare l’effettivo avvio di un processo di revisione critica del proprio passato deviante.

Il ricorso per Cassazione e il vizio di motivazione

Contro questa decisione, il condannato ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando due vizi principali:
1. Violazione di legge: Il Tribunale avrebbe sottovalutato i dati positivi emersi dall’osservazione scientifica della sua personalità, dando invece un peso eccessivo ai suoi precedenti penali.
2. Vizio di motivazione: La valutazione sul pericolo di recidiva si sarebbe basata su condotte ormai remote, senza considerare l’evoluzione positiva della sua personalità, dimostrata dalla piena adesione al programma di trattamento.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, giudicando le censure manifestamente infondate. Gli Ermellini hanno confermato la piena legittimità del ragionamento seguito dal Tribunale di Sorveglianza, ritenendolo logico, coerente e privo di vizi.

La Corte ha ribadito che il giudizio per la concessione dell’affidamento in prova si basa su una prognosi futura: il giudice deve convincersi che la misura, assieme alle prescrizioni imposte, possa contribuire alla rieducazione del condannato e, soprattutto, prevenire il pericolo che commetta altri reati.

Nel caso specifico, la valutazione del Tribunale è stata considerata corretta. Ha tenuto conto dell’allarmante profilo criminale del soggetto, autore di illeciti recenti e violenti, incompatibile con una misura che si fonda sulla fiducia. Allo stesso tempo, ha valorizzato i progressi fatti, auspicandone però il consolidamento attraverso un percorso graduale. Il ricorso è stato quindi interpretato come un tentativo di ottenere una nuova valutazione dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità.

Conclusioni

La sentenza in commento offre un’importante lezione sul bilanciamento tra la finalità rieducativa della pena e le esigenze di sicurezza sociale. L’affidamento in prova non è un diritto automatico del condannato, ma l’esito di un’attenta e discrezionale valutazione del giudice. La buona condotta carceraria è un presupposto indispensabile, ma il cuore del giudizio risiede nella prognosi sul futuro comportamento del soggetto. Se il pericolo di recidiva è ritenuto concreto e attuale, è legittimo che il giudice adotti un approccio prudente, privilegiando un percorso di reinserimento graduale che permetta di testare sul campo la solidità del cambiamento prima di concedere piena fiducia e ampi margini di libertà.

La buona condotta in carcere è sufficiente per ottenere l’affidamento in prova?
No, non è sufficiente. Sebbene sia un presupposto necessario, il giudice deve compiere una valutazione prognostica complessiva, considerando la natura e la gravità dei reati commessi, i precedenti penali e il concreto pericolo che il condannato commetta nuovi reati. La regolarità della condotta in costanza di detenzione è solo uno degli elementi di questo giudizio.

Perché il Tribunale ha negato l’affidamento in prova in questo caso specifico?
Il Tribunale lo ha negato perché ha ritenuto che l’allarmante profilo criminale del condannato, autore in tempi recenti di gravi reati che implicavano l’uso di violenza, fosse incompatibile con una misura alternativa che garantisce ampi spazi di libertà. Ha giudicato il percorso rieducativo intrapreso non ancora sufficientemente consolidato da escludere il pericolo di recidiva.

Cosa si intende per ‘principio di progressione’ nella concessione dei benefici penitenziari?
Si intende un percorso graduale attraverso il quale il condannato può accedere a benefici sempre più ampi. Prima di ottenere misure come l’affidamento in prova, è opportuno che sperimenti benefici minori, come i permessi premio. Questo permette ai giudici di saggiare l’effettivo avvio del processo di revisione critica e di verificare l’affidabilità del soggetto in un contesto di libertà controllata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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