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Affidamento in prova: no se c’è rischio recidiva

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso contro il diniego dell’affidamento in prova. La decisione si basa sulla valutazione della pericolosità sociale del soggetto, desunta da precedenti penali, carichi pendenti e una recente grave condotta illecita, elementi che indicano un concreto rischio di recidiva e l’assenza di un effettivo percorso di revisione critica.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in Prova: Quando il Rischio di Recidiva Prevale

L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta uno strumento cruciale nel nostro ordinamento per favorire il reinserimento sociale del condannato. Tuttavia, la sua concessione non è automatica. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i criteri di valutazione che il giudice deve seguire, sottolineando come un concreto rischio di recidiva possa precludere l’accesso a questa misura alternativa, anche a fronte di singoli elementi apparentemente positivi.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato riguarda un individuo che si è visto negare dal Tribunale di Sorveglianza la richiesta di ammissione all’affidamento in prova. La decisione del Tribunale era fondata su una serie di elementi negativi:

* Diversi precedenti penali, anche per reati di significativa gravità.
* Carichi pendenti per ulteriori reati in materia di stupefacenti, commessi dopo la condanna definitiva.
* Una recente e grave condotta illecita: il soggetto era stato trovato in possesso di un chilogrammo di cocaina, fatto per cui si trovava agli arresti domiciliari.
* L’assenza di un serio impegno lavorativo e di elementi che potessero indicare l’avvio di un processo di revisione critica del proprio passato.

Il ricorrente, nel suo appello alla Corte di Cassazione, contestava la decisione sostenendo che il Tribunale non avesse adeguatamente considerato la concessione di un’attenuante in relazione al recente episodio di detenzione di stupefacenti.

La Decisione della Corte e l’Importanza del Giudizio Prognostico

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la validità della decisione del Tribunale di Sorveglianza. Gli Ermellini hanno ribadito che la valutazione per la concessione dell’affidamento in prova deve basarsi su un giudizio prognostico complessivo sulla personalità del condannato.

Questo giudizio non può prescindere dalla natura e dalla gravità dei reati commessi, ma deve estendersi all’analisi del comportamento successivo alla condanna, dei precedenti penali, della condotta carceraria e dei risultati delle indagini socio-familiari. L’obiettivo è verificare la presenza non solo dell’assenza di indicatori negativi, ma soprattutto di elementi positivi che facciano ragionevolmente ritenere che la misura alternativa avrà successo nel prevenire il pericolo di recidiva.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha specificato che la decisione del Tribunale di Sorveglianza era immune da vizi logici, in quanto basata su una valutazione completa e coerente. I giudici di merito avevano correttamente evidenziato come la pluralità di precedenti, la pendenza di nuovi procedimenti per reati della stessa indole e la gravità dell’ultima condotta (il possesso di un ingente quantitativo di droga) delineassero un quadro di attuale pericolosità sociale.

Secondo la Cassazione, il ricorso si limitava a una mera confutazione delle valutazioni del Tribunale, senza individuare reali fratture logiche nel suo ragionamento. La mancata considerazione di una singola attenuante, ottenuta in un altro procedimento, non era sufficiente a smontare un quadro probatorio complessivamente negativo. Il nucleo della decisione impugnata risiedeva nell’accertamento dell’assenza di un effettivo processo di ‘emenda’ e, di conseguenza, nell’inidoneità dell’affidamento in prova a prevenire un concreto rischio di recidiva.

Le Conclusioni

Questa ordinanza riafferma un principio fondamentale in materia di esecuzione della pena: le misure alternative non sono un diritto automatico del condannato, ma una possibilità subordinata a una valutazione discrezionale e rigorosa da parte del giudice. È necessario che emerga un processo di cambiamento, anche solo iniziale, ma concreto e verificabile. La persistenza in condotte illecite, specialmente se gravi e recenti, costituisce un ostacolo insormontabile alla concessione del beneficio, poiché dimostra che il percorso di risocializzazione non è stato ancora intrapreso e che il pericolo per la collettività è ancora attuale.

Qual è lo scopo principale dell’affidamento in prova al servizio sociale?
Lo scopo è la rieducazione del condannato. È una misura alternativa alla detenzione che mira a contribuire alla risocializzazione della persona, prevenendo il pericolo che commetta nuovi reati.

La gravità del reato o i precedenti penali impediscono automaticamente la concessione dell’affidamento in prova?
No, da soli non possono assumere un rilievo decisivo in senso negativo. Tuttavia, sono elementi fondamentali che il giudice deve considerare nell’ambito di una valutazione complessiva della personalità del soggetto e del rischio di recidiva.

Cosa deve dimostrare un condannato per ottenere l’affidamento in prova?
Non è sufficiente che manchino indicazioni negative. È indispensabile la presenza di elementi positivi che consentano un giudizio prognostico favorevole. Deve emergere che il soggetto ha avviato, almeno in parte, un processo di revisione critica del proprio passato e che vi siano concrete possibilità di reinserimento sociale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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