Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 13033 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 13033 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/12/2023
i c a reazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letle le conclusioni del PG, il quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 10 maggio 2023, il Tribunale di sorveglianza di Catania ha: l) dichiarato non luogo a provvedere sull’istanza, proposta da NOME COGNOME, intesa allo scioglimento del cumulo operato dal locale pubblico ministero in data 12 marzo 2022, da eseguirsi scorporando la porzione di pena relativa a reato ostativo alla sospensione dell’esecuzione; rigettato la richiesta della COGNOME di ammissione all’affidamento in prova al servizio sociale in relazione alla pera detentiva residua, medio tempore rideterminata, a seguito di applicazione, in executivis, della disciplina in materia di reato continuato, in quattro anni ed otto mesi di reclusione, con decorrenza dall’i ottobre 2021 e fine pena previsto al 2 marzo 2026.
Quanto al primo aspetto, il Tribunale di sorveglianza ha ritenuto che l’istanza della condannata tendeva ad un risultato – la separata individuazione delle pene irrogate, rispettivamente, per il reato ostativo (ai sensi dell’art. 656, comma 9, lett. a, cod. proc. pen.) e per quelli residui che non incide sulla valutazione che gli era, in quel frangente, demandata, circoscritta alla verifica della sussistenza delle condizioni per la sua ammissione alla misura alternativa alla detenzione dell’affidamento in prova al servizio sociale.
A quest’ultimo proposito, ha stimato che le note positive contenute nella relazione di sintesi redatta dagli operatori penitenziari non valgono a dimostrare che la COGNOME abbia effettivamente avviato un processo di emenda tale da elicere il rischio di recidiva e, quindi, da consentirle l’accesso ad una misura, quale l’affidamento in prova al servizio sociale, che assicura al condannato ampi spazi di libertà e che in direzione contraria si pongono, in particolare, sia la complessiva storia giudiziaria della donna che le sue più recenti manifestazioni antisociali.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’AVV_NOTAIO, riccrso per cassazione affidato a due motivi, con il primo dei quali lamenta violazione di legge e vizio di motivazione per avere il Tribunale di sorveglianza dichiarato non luogo a provvedere sulla richiesta di scissione del cumulo senza considerare che, all’atto della sopravvenienza dal nuovo titolo, ostativo, compreso nell’ordine di esecuzione di pene concorrenti del 12 marzo 2022, ella si trovava in regime di affidamento in prova al servizio sociale, ciò che avrebbe imposto il rispetto della procedura prevista dagli artt. 51-bis legge 26 luglio 1975, n. 354, e 98 d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, che assegna alla giurisdizione di sorveglianza il potere di valutare l’incidenza del titolo sopravvenuto sulla
misura in corso di esecuzione, nel caso concreto non esercitato per avere il pubblico ministero posto direttamente in esecuzione la pena detentiva.
Osserva, al riguardo, che, qualora gli organi dell’esecuzione avessero agito in modo ortodosso, l’invocata scissione del cumulo avrebbe potuto costituire la premessa per la sospensione temporanea della misura e l’apprezzamento delle condizioni – a suo dire insussistenti, posto che la nuova condanna atteneva a fatto assai risalente nel tempo – per la sua revoca.
Con il secondo motivo, la ricorrente eccepisce, ancora, violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al diniego di ammissione alla misura alternativa, che assume supportato da un illogico ed ingiustificato giudizio di attuale pericolosità sociale, smentito dalle informazioni acquisite in ordine alla positiva evoluzione della sua personalità e dalla concreta opportunità di inserimento lavorativo ed ancorato, per di più, ad una denuncia per un furto, asseritamente commesso nel 2021, che non risulta compiutamente accertato e che, comunque, è divenuto improcedibile, in seguito alle modifiche normative di recente introduzione, per carenza di querela e non potrà essere, quindi, oggetto, in futuro, di compiuto accertamento.
Il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, passibile di rigetto.
Con il primo motivo, NOME COGNOME si duole dell’irritualità della procedura adottata in conseguenza della sopravvenienza di titolo ostativo, id est di condanna per il reato ex art. 624-bis cod. pen. che, ai sensi dell’art. 656, comma 9, lett. a) cod. proc. pen., non consente – ferma restando la facoltà per il condannato di chiedere l’ammissione a misura alternativa alla detenzione la sospensione dell’esecuzione in forza del precedente comma 5.
Sostiene, in altri termini, la ricorrente che, qualora il pubblico ministero si fosse, in ossequio alla previsione normativa, rivolto al Magistrato e, quindi, al Tribunale di sorveglianza per l’adozione dei provvedimenti di loro rispettiva competenza, la richiesta di revoca della misura alternativa già in atto avrebbe potuto essere vagliata prima dell’eventuale esecuzione del nuovo titolo e che, comunque, la scissione del cumulo sarebbe stata, a quel punto, funzionale ad evitare che ella fosse definitivamente pregiudicata dall’iniziativa del pubblico
ministero, tanto più in considerazione dell’auspicabile rigetto della proposta di revoca eventualmente avanzata dall’ufficio di Procura.
Trattasi, va tuttavia replicato, di obiezione priva di pregio, perché, vedendo sull’ortodossia di un segmento della procedura superato dal successivo rigetto della richiesta di ammissione alla misura alternativa alla detenzione, mira ad un risultato privo di tangibile, concreta utilità per la condannata, la cui istanza è stata ormai delibata con esito negativo, ciò che confina sul piano della mera teoria la rilevanza della questione posta.
Sul punto, va opportunamente aggiunto che la prospettazione della COGNOME è contraddetta dal riferimento, presente nel fascicolo trasmesso dal Tribunale di sorveglianza, alla richiesta, rivolta dal pubblico ministero al Magistrato di sorveglianza ai sensi dell’art. 51-bis legge 26 luglio 1975, n. 354, di dichiarare la cessazione dell’affidamento in prova, avuto riguardo sia all’entità della pena complessiva da eseguire – in quel momento superiore al limite di legge – che all’ostatività del titolo alla sospensione ex art. 656, comma 5, cod. proc. pen..
Per quanto concerne la residua censura, occorre ricordare, preliminarmente, che l’affidamento in prova al servizio sociale, disciplinato dall’art. 47 legge 26 luglio 1975, n. 354, è una misura alternativa alla detenzione carceraria che attua la finalità costituzionale rieducativa della pena e che può essere adottata, entro la generale cornice di ammissibilità prevista dalla legge, allorché, sulla base dell’osservazione della personalità del condannato condotta in istituto, o del comportamento da lui serbato in libertà, si ritenga che essa, anche attraverso l’adozione di opportune prescrizioni, possa contribuire alla risocializzazione prevenendo il pericolo di ricaduta nel reato.
Il giudizio in merito alla ammissione all’affidamento si fonda, dunque, sull’osservazione dell’evoluzione della personallità registratasi successivamente al fatto-reato, nella prospettiva di un ottimale reinserimento sociale: è infatti consolidato, presso la giurisprudenza di legittimità, l’indirizzo ermeneutico secondo cui «In tema di affidamento in prova al servizio sociale, ai fini del giudizio prognostico in ordine al buon esito della prova, il giudice, pur non potendo prescindere dalla natura e gravità dei reati commessi, dai precedenti penali e dai procedimenti penali eventualmente pendenti, deve valutare anche la condotta successivamente serbata dal condannato» (Sez. 1, n. 44992 del 17,09/2018, S., Rv. 273985), in tal senso deponendo il tenore letterale dell’art. 47, commi 2 e 3, legge 26 luglio 1975, n. :354, nella parte in cui condiziona l’affidamento al convincimento che esso, anche attraverso le prescrizioni
impartite al condannato, contribuisca alla sua rieducazione ed assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati.
Il processo di emenda deve essere significativamente avviato, ancorché non sia richiesto il già conseguito ravvedimento, che caratterizza il diverso istituto della liberazione condizionale, previsto dal codice penale (Sez. 1, n. 43687 del 07/10/2010, COGNOME, Rv. 248984; Sez. 1, n. 26754 del 29/05/2009, COGNOME, Rv. 244654; Sez. 1, n. 3868 del 26/06/1995, NOME, Rv. 202413).
Se il presupposto dell’emenda non è riscontrato, o non lo è nella misura reputata adeguata, il condannato, se lo consentono il limite di pena -diversamente stabilito con riferimento alle varie ipotesi disciplinate dall’art. 47ter legge 26 luglio 1975, n. 354 – ed il titolo di reato, può essere comunque ammesso alla detenzione domiciliare, alla sola condizione che sia scongiurato il percolo di commissione di nuovi reati (Sez. 1, n. 14962 del 17/03/2009, Castiglione, Rv. 243745).
Il fine rieducativo si attua, in tal caso, mediante una misura dal carattere più marcatamente contenitivo, saldandosi alla tendenziale sfiducia ordinamentale suli’efficacia del trattamento penitenziario instaurato rispetto a pene di contenuta durata.
Rientra nella discrezionalità del giudice dil merito l’apprezzamento in ordine all’idoneità o meno, ai fini della risocializzazione e della prevenzione della recidiva, delle misure alternative – alla cui base vi è la comune necessità di una prognosi positiva, seppur differenziata nei termini suindicati, frutto di un unitario accertamento (Sez. 1, n. 16442 del 10/02/2(110, Pennacchio, Rv. 247235) – e l’eventuale scelta di quella ritenuta maggiormente congrua nel caso concreto.
Le relative valutazioni non sono censurabilli in sede di legittimità, se sorrette da motivazione adeguata e rispondente a canoni logici (Sez. 1, n. 652 del 10/02/1992, Caroso, Rv. 189375), basata su esaustiva, ancorché se del caso sintetica, ricognizione degli incidenti elementi di giudizio.
Scrutinata alla luce di tali principi, l’ordinanza impugnata supera senz’altro il controllo di legittimità.
Il Tribunale di sorveglianza ha, invero, orientato la decisione in ragione, innanzitutto, dell’allarmante profilo criminale di NOME COGNOME, gravata da decine di condanne definitive per reati anche di notevole allarme sociale e condannata, da ultimo, per reati di truffa, furto in abitazione e spendita di monete falsificate.
Ha, ulteriormente, rilevato che, pur a fronte delle positive informazioni trasmesse dagli operatori penitenziari, la persistenza, nella condannata, di una propensione al reato incompatibile con l’ammissione ad una misura alternativa
che garantisce al condannato spazi di libertà assai significativi trova riscontro nella più recente condanna – relativa a fatto che, quantunque remoto, conferma, anche per l’entità della pena inflitta, la sua inveterata consuetudine con il delitto e nella promozione di un procedimento penale per un furto che ella avrebbe commesso nel 2021.
Ha, infine, rimarcato che le confortanti notazioni contenute nella relazione di sintesi e l’opportunità di inserimento lavorativo non valgono, da sole, a comprovare l’avvio di un effettivo processo di emenda, non avendo ella, tra l’altro, provveduto a risarcire, almeno parzialmente, le vittime dei reati da lei commessi né ottemperato al pagamento della provvisionale stabilita a suo carico con sentenza del 9 settembre 2020.
A fronte della ricostruzione resa dal Tribunale di sorveglianza, la ricorrente prospetta, per contro, deduzioni in fatto e volte ad una rivalutazione delle evidenze disponibili, evocando l’erronea applicazione delle previsioni normative e deficit di logicità nella motivazione, che, per quanto detto, si rivelano insussistenti.
Nel ricordare che, nel 2021, altro Tribunale di sorveglianza la ha ammessa all’affidamento in prova al servizio sociale, pur al cospetto del medesimo curriculum criminale, la COGNOME trascura che, come sopra precisato, il suo bagaglio delinquenziale risulta arricchito, in questo caso, dalla condanna alla severa sanzione detentiva di cinque anni di reclusione, a lei inflitta per il furto in abitazione e gli altri reati commessi nel 2012.
La circostanza rileva, innanzitutto, perché innalza il quantum di pena da espiare, in tal modo incidendo sulla valutazione demandata al Tribunale di sorveglianza, che è influenzata, tra l’altro, dalla durata della pena detentiva da espiare che, prima della sopravvenienza del nuovo titolo, era circoscritta ad un anno e nove mesi; dall’altro, in quanto concorre a tratteggiare la personalità della condannata, come emergente dal suo background criminale e giudiziario.
Inserita in questa cornice, l’instaurazione di un procedimento penale a carico dell’odierna ricorrente per un furto che ella avrebbe commesso nel 2021 costituisce, ha rilevato il Tribunale di sorveglianza, elemento di ulteriore allarme, che non è sterilizzato dall’eventuale improcedibilità del rea1:o, che non elide l’illiceità penale del fatto, spia di persistente consuetudine della donna con comportamenti trasgressivi ed antisociali.
Né, va conclusivamente aggiunto, l’assenza, in ordine a tale episodio, di un accertamento giurisdizionale lo confina nel campo dell’irrilevanza, attesa la congruità di una motivazione che poggi, oltre che su altri, pregnanti, elementi,
su una pendenza relativa a condotta la cui materialità la ricorrente si è astenuta dal contestare.
Dal rigetto del ricorso discende la condanna di NOME COGNOME al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 20/12/2023.