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Affidamento in prova: no se c’è rischio di recidiva

Una donna condannata per usura ha richiesto l’affidamento in prova, ma la misura è stata negata dal Tribunale di Sorveglianza. La decisione è stata motivata da precedenti penali, mancanza di un lavoro stabile e frequentazioni con pregiudicati. La Corte di Cassazione ha confermato il diniego, stabilendo che un giudizio prognostico negativo sul rischio di recidiva, fondato su elementi concreti, giustifica il rigetto della richiesta di misure alternative alla detenzione.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in prova: Quando il Rischio di Recidiva Prevale sul Reinserimento

L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta una delle più importanti misure alternative alla detenzione, concepita per favorire il reinserimento sociale del condannato. Tuttavia, la sua concessione non è automatica e dipende da una valutazione approfondita della personalità del soggetto e delle sue prospettive future. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 5464/2024) ha ribadito un principio fondamentale: in assenza di elementi positivi e in presenza di un concreto rischio di recidiva, la misura non può essere concessa.

I fatti del caso: la richiesta di affidamento in prova negata

Il caso esaminato riguarda una donna condannata per il reato di usura continuata. Dopo la condanna, la donna aveva presentato istanza al Tribunale di Sorveglianza per ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale. Il Tribunale, tuttavia, ha respinto la richiesta.

La decisione si basava su una serie di elementi negativi:

* Precedenti penali: La condannata aveva precedenti risalenti agli anni ’80 e ’90.
* Contesto criminale: Il reato di usura era stato commesso insieme ad altri soggetti, indicando un suo inserimento in ambienti criminali.
* Mancanza di stabilità: Non risultava aver mai svolto un’attività lavorativa stabile e continuativa.
* Frequentazioni pericolose: Informative delle forze dell’ordine segnalavano le sue frequentazioni con persone pregiudicate per reati contro il patrimonio e spaccio di stupefacenti.

Sulla base di questi fattori, il Tribunale ha concluso che mancavano valide prospettive di risocializzazione e che non era possibile formulare una prognosi favorevole circa la sua capacità di non commettere nuovi reati.

La decisione della Corte di Cassazione e il diniego dell’affidamento in prova

La donna ha presentato ricorso per cassazione, sostenendo che la decisione del Tribunale fosse basata su mere supposizioni e congetture, prive di riscontri oggettivi, e che la motivazione fosse vaga e contraddittoria. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la legittimità della decisione del Tribunale di Sorveglianza.

La valutazione del giudice di merito

La Cassazione ha chiarito che la valutazione delle condizioni per la concessione delle misure alternative è un compito riservato al giudice di merito (in questo caso, il Tribunale di Sorveglianza). In sede di legittimità, la Corte può solo verificare che la motivazione della decisione sia logica, completa e non contraddittoria, senza poter riesaminare i fatti.

L’importanza del giudizio prognostico sull’affidamento in prova

Secondo la giurisprudenza consolidata, per concedere l’affidamento in prova non basta l’assenza di elementi negativi. È necessario che emergano elementi positivi che consentano un giudizio prognostico favorevole, ovvero una previsione fondata sulla possibilità di successo del percorso di reinserimento e sulla prevenzione del pericolo di recidiva.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha ritenuto che la motivazione del Tribunale di Sorveglianza fosse adeguata e non contraddittoria. La decisione di negare l’affidamento non era basata su vaghe congetture, ma su elementi specifici e concreti: la gravità del reato commesso, i precedenti penali, la mancanza di un lavoro stabile e le informazioni della polizia sui suoi collegamenti con pregiudicati. Questi fattori, considerati nel loro insieme, supportavano logicamente la conclusione che la richiedente non avesse mostrato la volontà di rispettare le regole né la capacità di gestire responsabilmente una misura alternativa, rendendo concreto il rischio di recidiva.

Le conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio cruciale in materia di esecuzione della pena: le misure alternative non sono un diritto automatico, ma uno strumento finalizzato al recupero sociale, la cui applicazione richiede una prognosi positiva. La valutazione del giudice deve basarsi su un’analisi completa della personalità del condannato, della sua storia e del suo contesto di vita. La presenza di indicatori negativi, come frequentazioni criminali e una generale propensione a delinquere non superata da un percorso di revisione critica, giustifica pienamente il diniego di benefici come l’affidamento in prova, a tutela della collettività.

Quando può essere negato l’affidamento in prova?
L’affidamento in prova può essere negato quando il giudice formula un giudizio prognostico negativo, basato su elementi concreti, circa le probabilità di successo della misura e il rischio che il condannato commetta nuovi reati (recidiva).

Quali elementi considera il giudice per valutare il rischio di recidiva?
Il giudice considera la gravità del reato per cui è avvenuta la condanna, i precedenti penali, la mancanza di un’attività lavorativa stabile e le frequentazioni del soggetto, in particolare i collegamenti con persone pregiudicate.

L’assenza di comportamenti negativi dopo la condanna è sufficiente per ottenere la misura?
No. Secondo la sentenza, non è sufficiente la mera assenza di indicazioni negative. Per la concessione della misura alternativa occorrono elementi positivi concreti che dimostrino un’evoluzione favorevole della personalità e che consentano di formulare un giudizio positivo sul reinserimento sociale e sulla prevenzione di nuovi reati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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