Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 5464 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 5464 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nata a Ariccia il DATA_NASCITA;
avverso la ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Roma del 08/02/2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Roma ha respinto la domanda di affidamento in prova avanzata da NOME COGNOME, con riferimento alla condanna inflittale dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Velletri con sentenza pronunciata il 9 novembre 2017 per il reato di usura continuata.
1.1. In particolare, il Tribunale di sorveglianza ha osservato che, sulla base delle negative informazioni dei Carabinieri di Ariccia e dei precedenti penali risultanti a suo carico, doveva escludersi un reale recupero sociale e di riabilitazione della condannata. Nel provvedimento è stato, infatti, evidenziato che la COGNOME annovera precedenti risalenti agli anni ’80 e ’90 e che i reati per i quali ha avanzato l’istanza erano stati commessi assieme ad altri soggetti a conferma del suo inserimento in ambienti criminali. Inoltre, l’istante non risultava avere mai svolto attività lavorativa in via continuativa e stabile ed era priva di valide prospettive risocializzanti, tenuto anche conto della sua frequentazione con pregiudicati di Ariccia per reati contro il patrimonio ed in materia di spaccio di stupefacenti.
1.2. Sulla base di tali elementi, pertanto, è stata esclusa la possibilità di formulare una prognosi di non recidivanza, con la conseguente reiezione della istanza di affidamento in prova.
Avverso la predetta ordinanza NOME COGNOME, per mezzo dell’AVV_NOTAIO, propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art.173 disp. att. cod. proc. pen., insisten per l’annullamento della medesima.
2.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art.47 Ord. pen. e deduce che il rigetto della istanza sarebbe stato fondato su mere supposizioni, prive di oggettivi riscontri essendosi basato sulle mere congetture contenute nella informativa dei Carabinieri di Ariccia del 18 gennaio 2023.
2.2. Con il secondo lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., la mancanza e la contraddittorietà della motivazione poiché il rigetto
sarebbe stato fondato su elementi del tutto vaghi e generici senza, invece, indicare concreti elementi a sostegno della decisione stessa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
Come è noto, ai fini dell’affidamento in prova al servizio sociale, ciò che assume rilievo è l’evoluzione della personalità del condannato successivamente al COGNOME fatto COGNOME nella COGNOME prospettiva COGNOME di COGNOME un COGNOME ottimale COGNOME reinserimento COGNOME sociale (Sez. 1 – , Sentenza n. 10586 del 08/02/2019, Rv. 274993 – 01).
2.1. In proposito, è opportuno ricordare che, secondo la giurisprudenza di legittimità, in tema di adozione delle misure alternative alla detenzione, allorché il giudice di merito abbia accertato una propensione a delinquere del soggetto, desunta dal tipo di reato commesso e dalla assenza (o non completamento) di un processo di revisione critica, è giustificato il giudizio prognostico negativo in ordine alle probabilità di successo dell’applicazione di misure alternative al regime carcerario, non essendo sufficiente l’assenza di indicazioni negative ed occorrendo, invece, elementi positivi che consentano un giudizio prognostico di esito favorevole della prova e di prevenzione del pericolo di recidiva (Sez. 1, n. 11573 del 05/02/2013, COGNOME, Rv. 255362; Sez. 1, n. 4553 del 21/06/2000, COGNOME, Rv. 216914).
2.2. La valutazione delle condizioni per la concessione delle misure alternative alla detenzione è compito riservato al giudice di merito e, in sede di legittimità, può essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza, adeguatezza, completezza e logicità della motivazione, mentre non sono ammesse le censure che, pure investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già esaminate da detto giudice.
Posto in astratto quanto sopra, deve notarsi, con riferimento al caso concreto ora in esame, che il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rispettato i suddetti principi e non è incorso in alcun vizio di violazione di legge e di motivazione.
3.1. Infatti, con motivazione adeguata e non contraddittoria, COGNOME nel rispetto del principio sopra indicato ha osservato che non era possibile formulare una prognosi di non recidivanza tenuto conto della gravità del reato commesso, dei precedenti penali, del mancato svolgimento in modo stabile di una attività lavorativa e delle negative informazioni fornite dall’autorità di polizia che aveva riferito di collegamenti della condannata con pregiudicati. Pertanto, si è ritenuto che l’odierna ricorrente non aveva mostrato la volontà di attenersi al rispetto delle regole e di essere in grado di gestire in modo adeguata e responsabile la più ampia fra le misure alternative alla detenzione.
3.2. Sulla base di tali elementi, quindi, il provvedimento impugnato, in modo non manifestamente illogico, ha evidenziato la inidoneità dell’affidamento a prevenire il rischio di recidiva; si tratta, all’evidenza, di una valutazione di fat espressa in modo coerente, per escludere la concessione della più ampia fra le misure alternative alla detenzione, mentre la ricorrente -pur lamentando la violazione di legge ed il vizio di motivazione – vorrebbe in realtà pervenire ad una lettura alternativa (non consentita in questa sede) degli elementi di merito coerentemente esaminati dal giudice a quo .
Il ricorso, pertanto, deve essere respinto con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali a norma dell’art.616 cod. proc. pen.
P. Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 13 ottobre 2023.