Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 26960 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 26960 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a ROMA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 06/02/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME, per mezzo del suo difensore AVV_NOTAIO, ha proposto ricorso contro l’ordinanza emessa in data 06 febbraio 2024 con cui il Tribunale di sorveglianza di Roma ha respinto la sua richiesta di affidamento in prova al servizio sociale, o in subordine di detenzione domiciliare, in relazione al titolo esecutivo n. NUMERO_DOCUMENTO STEP dalla Procura generale di Roma per una pena definitiva di un anno, otto mesi e 21 giorni di reclusione per delitti di Cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/1990, ritenendo non concedibili tali misure per essere la istante sottoposta agli arresti domiciliari per gravissimi reati di traffi di droga e di armi commessi in epoca recente, fatti che dimostrano il suo inserimento in circuiti criminali di ampio raggio e l’attualità della sua pericolosi sociale;
rilevato che la ricorrente deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione da parte dell’ordinanza impugnata, per avere il Tribunale ritenuto dimostrativa di pericolosità sociale la condanna riportata per traffico di armi e droga, senza considerare che, in relazione a tale procedimento, ella ha ottenuto gli arresti domiciliari, dopo un lungo periodo di carcerazione, a dimostrazione dell’affievolimento delle esigenze cautelari, è stata condannata ad una pena già sostituita con la detenzione domiciliare, stante la collaborazione prestata, e non è pertanto provato il paventato inserimento in circuiti criminali di rilevante pericolosità, non essendo peraltro l’assenza di pericolosità sociale della istante un requisito per la concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale;
vista la memoria depositata dalla ricorrente, reiterativa dei motivi del ricorso;
ritenuto che il ricorso sia manifestamente infondato, avendo il Tribunale valutato in modo non illogico e non contraddittorio l’inidoneità delle misure alternative richieste per svolgere uno scopo rieducativo ed evitare la commissione di nuovi reati, escludendola per il fatto di avere la istante, nel periodo di libertà, commesso altri reati, in parte analoghi e in parte di maggiore gravità, per i quali è stata arrestata in flagranza, dimostrandosi così ancora fortemente incline al delitto e del tutto lontana da un percorso anche solo iniziale di reinserimento sociale;
ritenuto altresì inammissibile il ricorso nella parte in cui sostiene l concedibilità delle misure alternative alla luce della condotta collaborativa che la
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ricorrente avrebbe tenuto nel procedimento ancora in corso, deducendo l’erroneità dell’ordinanza impugnata per non avere il Tribunale di sorveglianza preso atto delle valutazioni del giudice della cognizione, in quanto il giudice della sorveglianza non ha alcun onere di adeguarsi alle valutazioni di quel diverso giudice, relative all’istituto della cautela, che ha presupposti ben diversi da quell della esecuzione della pena;
ritenuto, peraltro, che debba essere ribadito il principio di progressione trattannentale, dettato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui «In tema di concessione di misure alternative alla detenzione il tribunale di sorveglianza, anche quando siano emersi elementi positivi nel comportamento del detenuto, può legittimamente ritenere necessario un ulteriore periodo di osservazione e lo svolgimento di altri esperimenti premiali, al fine di verificare l’attitudine del soggetto ad adeguarsi alle prescrizioni da imporre, specie se il reato commesso sia sintomatico di una non irrilevante capacità a delinquere e sussista una verosimile contiguità con ambienti delinquenziali di elevato livello». (Sez. 1, n. 22443 del 17/01/2019, Rv. 276213);
ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen., al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 06 giugno 2024