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Affidamento in prova: no con precedenti penali gravi

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un condannato contro il diniego di affidamento in prova. La decisione si fonda sui numerosi e gravi precedenti penali, sulla condotta negativa complessiva del soggetto e sulla genericità del programma di reinserimento proposto, ritenuto inadatto a prevenire la recidiva.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in Prova: Quando i Precedenti Penali e la Condotta Negativa Chiudono la Porta

L’affidamento in prova ai servizi sociali rappresenta una fondamentale misura alternativa alla detenzione, orientata al reinserimento sociale del condannato. Tuttavia, la sua concessione non è automatica e dipende da una valutazione prognostica sulla capacità del soggetto di non commettere nuovi reati. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce come una storia criminale significativa e una condotta complessivamente negativa possano precludere l’accesso a questo beneficio, anche in presenza di un’attività di volontariato.

I Fatti del Caso: La Richiesta di Affidamento in Prova

Il caso esaminato riguarda un individuo condannato che aveva presentato istanza per ottenere l’affidamento in prova ai servizi sociali. La sua richiesta era stata respinta dal Tribunale di Sorveglianza di Napoli. Contro questa decisione, il suo difensore ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione da parte dei giudici di merito.

L’Analisi del Tribunale di Sorveglianza

Il Tribunale di Sorveglianza aveva basato il proprio diniego su una serie di elementi concreti. In primo luogo, era stata evidenziata la “pessima condotta” del detenuto, desunta non solo dai reati per cui era stato condannato, ma anche dai numerosi e gravi precedenti penali. Questi includevano reati di ricettazione, rapina, furto tentato ed estorsione. Inoltre, il soggetto risultava imputato in altri due procedimenti per rissa, minaccia aggravata, porto d’armi e atti persecutori, commessi in epoca relativamente recente (2017 e 2021). Questo quadro indicava una persistente tendenza a delinquere.

La Decisione della Cassazione sull’Affidamento in Prova

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la correttezza della decisione del Tribunale di Sorveglianza. Gli Ermellini hanno ritenuto le censure del ricorrente manifestamente infondate e semplici reiterazioni di argomenti già esaminati e respinti.

I Precedenti Penali e la Condotta del Soggetto

La Corte ha ribadito che la valutazione per la concessione dell’affidamento in prova deve tenere conto dell’intera storia personale e criminale del condannato. I numerosi e gravi precedenti, uniti a procedimenti penali pendenti per reati recenti, costituiscono un fondato motivo per ritenere che il soggetto non offra sufficienti garanzie di reinserimento sociale e che, al contrario, vi sia un concreto pericolo di recidiva.

L’Inidoneità del Programma di Reinserimento

Un altro punto cruciale della decisione riguarda il programma di trattamento proposto. Il ricorrente aveva fatto leva su un’attività di volontariato, ma i giudici l’hanno considerata “eccessivamente generica”. Secondo la Corte, un’attività di questo tipo, per essere rilevante, deve essere specificamente strutturata per affrontare le cause della devianza criminale del soggetto e per prevenire la commissione di nuovi reati. Un impegno generico non è sufficiente a superare una prognosi negativa basata su una carriera criminale consolidata e recente, soprattutto considerando che la fine della pena era prevista per il lontano 2027.

Le Motivazioni

La motivazione della Cassazione si concentra sul rigore necessario nella valutazione prognostica richiesta per l’accesso a misure alternative. Non è sufficiente la mera allegazione di un’attività lavorativa o di volontariato per ottenere il beneficio. È necessario che il percorso di reinserimento proposto sia concreto, specifico e idoneo a contrastare la pericolosità sociale del condannato, la quale deve essere valutata sulla base di tutti gli elementi disponibili, inclusi i precedenti penali, i carichi pendenti e la condotta generale. Il rigetto si fonda quindi sull’inadeguatezza del percorso rieducativo a fronte di un profilo di rischio criminale elevato e attuale.

Le Conclusioni

Questa ordinanza riafferma un principio consolidato: l’affidamento in prova non è un diritto, ma un beneficio concesso a seguito di un giudizio prognostico favorevole. Una storia criminale significativa e la mancanza di un progetto di reinserimento concreto e credibile sono ostacoli insormontabili. Per gli operatori del diritto e per chi aspira a tale misura, emerge la necessità di presentare istanze supportate da programmi di trattamento dettagliati e personalizzati, capaci di dimostrare un reale e verificabile percorso di cambiamento, al di là di generiche dichiarazioni di intenti.

Quali elementi possono portare al rigetto di una richiesta di affidamento in prova?
Sulla base dell’ordinanza, elementi determinanti per il rigetto sono la condotta negativa del detenuto, la presenza di numerosi e gravi precedenti penali, l’esistenza di ulteriori procedimenti penali pendenti, la recente commissione di reati e un programma di reinserimento ritenuto troppo generico e inidoneo a prevenire la recidiva.

Un’attività di volontariato è sempre sufficiente per ottenere l’affidamento in prova?
No. Secondo la Corte, un’attività di volontariato definita “eccessivamente generica” non è di per sé sufficiente a garantire il reinserimento sociale del condannato, specialmente se contrapposta a una storia criminale recente e a un profilo di pericolosità sociale elevato.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, come in questo caso, la Corte non esamina il merito della questione. Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro (in questo caso, 3.000 euro) in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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