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Affidamento in prova: no al diniego su mero sospetto

Un uomo condannato per bancarotta si è visto negare l’affidamento in prova dal Tribunale di Sorveglianza sulla base del sospetto che stesse continuando la sua attività illecita. La Corte di Cassazione ha annullato la decisione, stabilendo che il diniego dell’affidamento in prova deve fondarsi su una valutazione concreta della pericolosità attuale e del percorso rieducativo, non su mere congetture. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in Prova: La Cassazione Annulla il Diniego Basato su Mero Sospetto

L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta uno strumento fondamentale nel nostro ordinamento per favorire il reinserimento sociale del condannato. Tuttavia, la sua concessione non è automatica e richiede una valutazione attenta da parte del Tribunale di Sorveglianza. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 19808/2025) ha ribadito un principio cruciale: la decisione di negare questa misura alternativa non può basarsi su mere congetture o sospetti, ma deve fondarsi su un’analisi concreta e completa della situazione attuale del richiedente.

I Fatti del Caso

Un uomo, condannato per reati di bancarotta per distrazione e minaccia a pubblico ufficiale risalenti al 2016, presentava istanza per ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale. Dopo la condanna, egli aveva intrapreso un’attività lavorativa come operaio in un’impresa edile gestita dal fratello. Il Tribunale di Sorveglianza di Firenze, tuttavia, respingeva la sua richiesta, concedendogli unicamente la semilibertà.

La Decisione del Tribunale di Sorveglianza

La decisione di diniego si basava essenzialmente su un sospetto: i giudici ipotizzavano che l’attività lavorativa presso l’azienda del fratello fosse una mera ‘prosecuzione’ dell’originaria attività imprenditoriale illecita. Secondo il Tribunale, era probabile che le risorse sottratte ai creditori aziendali fossero state reinvestite in tale nuovo contesto. Questa congettura, unita alla natura dei reati commessi, portava il Tribunale a ritenere necessaria una ‘gradualità’ nella concessione delle misure alternative, negando così l’affidamento in prova.

Il Ricorso in Cassazione e la Valutazione sull’Affidamento in Prova

L’uomo proponeva ricorso per cassazione, sostenendo che la motivazione del Tribunale fosse viziata in quanto basata su considerazioni puramente congetturali. A sostegno della sua tesi, evidenziava che le verifiche effettuate dalla Guardia di Finanza, disposte dallo stesso Tribunale, non avevano confermato tali sospetti. Inoltre, sottolineava i contenuti positivi della relazione dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE) e l’assenza di qualsiasi indicatore di una sua attuale pericolosità sociale.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando la decisione del Tribunale di Sorveglianza. I giudici supremi hanno chiarito che la motivazione del diniego era effettivamente fondata su un mero sospetto di trasferimento di risorse tra due società, senza una congrua ricognizione delle finalità dell’istituto dell’affidamento in prova.

La Corte ha ribadito alcuni principi fondamentali:

1. Valutazione Completa: Per formulare il giudizio prognostico necessario alla concessione della misura, il Tribunale ha l’obbligo di indicare in modo analitico e coerente gli aspetti indicativi della pericolosità attuale, senza però trascurare gli elementi favorevoli all’istante.
2. Irrilevanza di Singoli Elementi Negativi: La gravità del reato, i precedenti penali o la mancata ammissione di colpevolezza non sono, da soli, elementi sufficienti a giustificare un diniego. L’istituto mira a favorire il recupero del condannato, e per questo è sufficiente che un processo di revisione critica del proprio passato sia stato almeno avviato.
3. No a Decisioni Congetturali: Il Tribunale di Sorveglianza non ha adempiuto al suo dovere, basando la prognosi negativa sulla natura del reato commesso anni prima e su un mero sospetto, senza un concreto ed esaustivo apprezzamento dell’evoluzione della personalità del condannato negli anni successivi.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante monito per i Tribunali di Sorveglianza. La valutazione per la concessione di una misura alternativa come l’affidamento in prova deve essere ancorata a fatti concreti e attuali. Non è sufficiente un sospetto, per quanto plausibile possa apparire, per negare un percorso di risocializzazione che, sulla base di elementi oggettivi (relazioni dei servizi sociali, verifiche investigative), appare già avviato. La decisione deve bilanciare la pericolosità residua con i progressi compiuti dal condannato, in linea con la funzione rieducativa della pena sancita dalla Costituzione. La Corte ha quindi disposto l’annullamento con rinvio, affinché il Tribunale di Sorveglianza riesamini il caso attenendosi a questi principi.

Un giudice può negare l’affidamento in prova basandosi solo su un sospetto?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la decisione di negare l’affidamento in prova deve basarsi su una valutazione analitica e concreta di elementi indicativi della pericolosità attuale, non su un mero sospetto di prosecuzione di attività illecite.

La gravità del reato commesso in passato è sufficiente per negare l’affidamento in prova?
No. Secondo la sentenza, elementi come la gravità del reato, i precedenti penali o la mancata ammissione di colpevolezza non possono, da soli, essere decisivi per negare la misura. Devono essere valutati insieme all’evoluzione della personalità del condannato.

Cosa deve valutare il Tribunale di Sorveglianza per concedere l’affidamento in prova?
Il Tribunale deve formulare un giudizio prognostico positivo sulla possibilità di risocializzazione del condannato. Deve indicare in modo analitico e coerente gli aspetti che dimostrano l’eventuale pericolosità attuale, senza trascurare gli elementi favorevoli all’istante, come le relazioni positive dei servizi sociali o le verifiche investigative.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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