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Affidamento in prova: no al diniego per disoccupazione

La Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza di un Tribunale di Sorveglianza che negava l’affidamento in prova a una donna solo perché disoccupata. La sentenza stabilisce che la mancanza di un lavoro non può essere l’unico motivo ostativo, ma il giudice deve compiere una valutazione complessiva della personalità e del percorso di reinserimento sociale del condannato, considerando tutti gli elementi favorevoli come la stabilità familiare e la condotta post-reato.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in Prova: la Disoccupazione non Basta a Negarlo

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale in materia di misure alternative alla detenzione: la concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale non può essere negata basandosi unicamente sulla mancanza di un’attività lavorativa. Questo importante chiarimento sottolinea la necessità di una valutazione complessa e personalizzata del percorso di reinserimento del condannato.

I Fatti del Caso: La Richiesta di Misura Alternativa

Una donna, condannata a una pena di due anni e quattro mesi di reclusione per reati di estorsione, presentava istanza al Tribunale di Sorveglianza per ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale. In subordine, chiedeva la detenzione domiciliare. La relazione dei servizi sociali (UEPE) evidenziava che la donna, madre di due figli, era priva di un’occupazione e si dedicava interamente alla cura della prole.

La Decisione del Tribunale di Sorveglianza

Il Tribunale di Sorveglianza, pur concedendo la misura della detenzione domiciliare, rigettava la richiesta principale di affidamento in prova. La motivazione si basava implicitamente sulla circostanza che la donna non lavorava né cercava attivamente un impiego, essendo concentrata sulla cura dei figli. Questa situazione veniva interpretata come un ostacolo al percorso risocializzante previsto dalla misura.

Il Ricorso in Cassazione e l’Affidamento in Prova

La difesa della donna ha impugnato l’ordinanza dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando un vizio di motivazione e una violazione di legge. Il ricorso sosteneva che la decisione del Tribunale si fondava su un presupposto errato, ovvero che la mancanza di un lavoro fosse di per sé un elemento sufficiente a giustificare il diniego dell’affidamento in prova.

Inoltre, il ricorso evidenziava come il Tribunale avesse completamente omesso di valutare numerosi altri indici favorevoli emersi dalla stessa relazione dell’UEPE, quali:

* L’assenza di procedimenti penali in corso.
* La notevole distanza temporale dai fatti per cui era stata condannata.
* L’assenza di attuali condotte devianti.
* Una stabile situazione familiare, con un compagno e due figli.
* Un corretto stile di vita e il ripudio delle condotte passate.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendolo fondato. Gli Ermellini hanno censurato la motivazione del Tribunale di Sorveglianza, definendola carente e illogica. La Corte ha ribadito che, ai sensi dell’art. 47 dell’Ordinamento Penitenziario, lo scopo dell’affidamento in prova è contribuire alla rieducazione del reo e prevenire la commissione di nuovi reati.

Lo svolgimento di un’attività lavorativa, pur essendo un elemento importante, non è un requisito indispensabile per la concessione della misura, ma una delle possibili prescrizioni che il giudice può imporre. È solo uno degli elementi idonei a formare un giudizio prognostico favorevole sul reinserimento sociale del condannato. La sua assenza non può costituire, da sola, una condizione ostativa, specialmente se giustificata da ragioni familiari come la cura dei figli.

Il Tribunale, secondo la Cassazione, avrebbe dovuto valutare se l’asserito disinteresse per la ricerca di un lavoro fosse sintomo di una mancata volontà di recupero sociale oppure una scelta necessitata dall’impegno familiare. Inoltre, il giudice di sorveglianza ha errato nell’omettere completamente la valutazione di tutti gli altri elementi positivi che indicavano un’evoluzione favorevole della personalità della donna e un concreto allontanamento dalle logiche criminali.

Le Conclusioni: Principi per la Valutazione

In conclusione, la sentenza ha annullato l’ordinanza impugnata, rinviando il caso al Tribunale di Sorveglianza di Firenze per un nuovo giudizio. Quest’ultimo dovrà attenersi ai principi stabiliti dalla Corte: la valutazione per la concessione dell’affidamento in prova deve essere globale e approfondita. È necessario analizzare il comportamento del condannato successivo ai fatti, la sua personalità attuale e il contesto di vita, senza fermarsi a un singolo elemento, come la condizione lavorativa. La decisione deve spiegare in modo logico perché si ritiene che una misura sia più idonea di un’altra a favorire il percorso di reinserimento e a prevenire il rischio di recidiva.

La mancanza di un lavoro può impedire da sola la concessione dell’affidamento in prova?
No, secondo la sentenza, la mancanza di un’attività lavorativa è soltanto uno degli elementi da considerare e non può rappresentare, da sola, una condizione ostativa all’accesso alla misura. Il giudice deve valutare il quadro complessivo.

Cosa deve valutare il giudice per concedere l’affidamento in prova?
Il giudice deve compiere una valutazione globale della personalità del condannato, basata sull’osservazione della sua condotta dopo il reato. Deve verificare se vi sia stata un’evoluzione positiva tale da rendere possibile il reinserimento sociale e da assicurare la prevenzione di futuri crimini, considerando elementi come la situazione familiare, il tempo trascorso dai fatti e l’assenza di nuove condotte devianti.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la decisione del Tribunale di Sorveglianza?
La Corte ha annullato la decisione perché la motivazione era carente e illogica. Il Tribunale aveva respinto la richiesta di affidamento basandosi quasi esclusivamente sulla disoccupazione della ricorrente, senza spiegare perché ciò rendesse la misura inadatta e omettendo di considerare tutti gli altri indici positivi che deponevano a favore della concessione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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