Affidamento in Prova: Quando il Giudice Può Negarlo Senza Ulteriori Indagini
L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta una fondamentale misura alternativa alla detenzione, mirata al reinserimento del condannato. Tuttavia, l’accesso a tale beneficio non è automatico e dipende da una valutazione prognostica sulla personalità e sulla pericolosità sociale del soggetto. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale: il giudice non è tenuto a disporre ulteriori accertamenti socio-familiari se la documentazione già in atti rivela palesemente l’inidoneità del richiedente.
Il Contesto del Caso: La Richiesta di Misure Alternative
Il caso in esame riguarda un individuo condannato a una pena di quattro mesi di reclusione per il reato di truffa. Tramite il suo difensore, aveva presentato un’istanza al Tribunale di Sorveglianza per ottenere una misura alternativa alla detenzione, come l’affidamento in prova, la detenzione domiciliare o la semilibertà.
La Decisione del Tribunale di Sorveglianza
Il Tribunale di Sorveglianza di Torino ha respinto la richiesta. La decisione si fondava su una serie di elementi negativi emersi dalla documentazione processuale. In particolare, il giudice ha evidenziato:
* Precedenti penali specifici: Il soggetto aveva già riportato condanne per reati della stessa natura (truffa).
* Carichi pendenti: Erano presenti ulteriori procedimenti penali a suo carico per fatti analoghi.
* Informative di polizia: Le relazioni delle forze dell’ordine delineavano un profilo di persona socialmente pericolosa.
* Mancanza di opportunità lavorative: L’assenza di una prospettiva di lavoro stabile è stata considerata un ulteriore fattore di rischio.
Sulla base di questo quadro complessivo, il Tribunale ha ritenuto che il condannato non fosse meritevole di alcuna delle misure invocate, giudicando la detenzione come unica modalità esecutiva adeguata.
Il Ricorso in Cassazione e il Principio sull’Affidamento in Prova
Contro questa ordinanza, il condannato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando un vizio di motivazione. Secondo la difesa, il Tribunale si era limitato a un esame sommario delle relazioni, omettendo la necessaria e approfondita indagine di tipo socio-familiare sulla personalità del soggetto.
La Valutazione della Suprema Corte
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo le censure della difesa come mere doglianze di fatto, non consentite in sede di legittimità. Il ruolo della Cassazione, infatti, non è quello di riesaminare i fatti, ma di verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione.
Le Motivazioni
La Corte ha sottolineato che la motivazione del Tribunale di Sorveglianza era corretta, logica e giuridicamente fondata. A sostegno della propria decisione, ha richiamato un importante principio di diritto (Cass. Pen., Sez. 1, n. 26232/2020), secondo cui:
> «In tema di affidamento in prova al servizio sociale, il tribunale di sorveglianza, chiamato a decidere su un’istanza presentata da un condannato in stato di libertà, non ha l’obbligo di effettuare accertamenti ulteriori sulla personalità del richiedente, qualora le risultanze documentali rivelino l’inidoneità della misura richiesta».
In altre parole, se dagli atti processuali (certificato penale, carichi pendenti, informative di polizia) emerge già un quadro chiaro e negativo che sconsiglia la concessione della misura, il giudice non è obbligato a disporre ulteriori indagini, come quelle socio-familiari. La decisione può legittimamente basarsi sulla documentazione esistente quando questa è sufficiente a formulare un giudizio prognostico sfavorevole.
Le Conclusioni
Questa ordinanza conferma un orientamento consolidato e offre importanti implicazioni pratiche. Per chi intende richiedere l’affidamento in prova, è fondamentale presentare un’istanza supportata da elementi concreti e positivi che possano controbilanciare eventuali pendenze o precedenti. La decisione della Cassazione ribadisce che il percorso verso le misure alternative non è un diritto incondizionato, ma il risultato di una valutazione discrezionale del giudice, che può legittimamente fondarsi su un quadro documentale già di per sé eloquente. L’assenza di un obbligo di approfondimento istruttorio in presenza di elementi negativi evidenti snellisce la procedura, ma al contempo richiede al condannato di fornire sin da subito prove tangibili del proprio percorso di ravvedimento e della propria affidabilità sociale.
Un condannato ha sempre diritto a un’indagine approfondita sulla sua personalità quando chiede l’affidamento in prova?
No. Secondo la sentenza, il Tribunale di Sorveglianza non ha l’obbligo di effettuare ulteriori accertamenti sulla personalità del richiedente se le risultanze documentali già disponibili (come precedenti penali e informative di polizia) rivelano l’inidoneità della misura richiesta.
Quali elementi possono portare un Tribunale a ritenere un condannato non idoneo per le misure alternative?
Nel caso specifico, gli elementi decisivi sono stati i precedenti penali per reati della stessa specie, i carichi pendenti per fatti analoghi, le informative di polizia che delineavano il soggetto come socialmente pericoloso e la mancanza di opportunità lavorative.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché le critiche sollevate dalla difesa erano considerate “mere doglianze versate in fatto”, ovvero un tentativo di far riesaminare alla Corte il merito della decisione, cosa non consentita in sede di legittimità. La motivazione del provvedimento impugnato è stata ritenuta logica e priva di vizi giuridici.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31717 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31717 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CATANZARO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 06/02/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Torino ha rigettato le richieste dì affidamento in prova al servizio sociale, di detenzion domiciliare, di semilibertà o di differimento della pena, presentate da NOME COGNOMECOGNOME in relazione alla pena di mesi quattro di reclusione, inflittagli per il r di truffa, sottolineando trattarsi di soggetto attinto anche da precedenti condanne relative alla medesima fattispecie delittuosa, oltre che gravato da carichi pendenti inerenti a fatti di analoga tipologia; le informative di polizia acquisite, ino delineano il condannato quale persona socialmente pericolosa.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, a mezzo del difensore AVV_NOTAIO, deducendo vizio rilevante ex art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen., per vizio di motivazione, oltre che per essersi l’avversato provvedimento limitato a un esame solo sommario delle relazioni acquisite e, infine, per esser stata compiuto una insufficiente disamina logica e giuridica, in assenza della necessaria indagine di tipo socio-familiare.
Trattasi di censure non consentite in sede di legittimità, in quanto costituite da mere doglianze versate in fatto.
La critica difensiva, altresì, è pedissequamente riproduttiva di profili censura già adeguatamente vagliati e disattesi – secondo un corretto argomentare giuridico, del tutto privo di spunti di illogicità e contraddittorietà – dal Tribun sorveglianza di Torino. Invero, nell’impugnato provvedimento si sottolinea come il condannato non sia meritevole di alcuna delle misure invocate, in considerazione anzitutto dei pregiudizi e delle pendenze annoverate, nonché della mancanza di opportunità lavorative. Si può ricordare, del resto, il principio di diritto fissa Sez. 1, n. 26232 del 07/07/2020, COGNOME, Rv. 279581 – 01, a mente della quale: «In tema di affidamento in prova al servizio sociale, il tribunale di sorveglianza chiamato a decidere su un’istanza presentata da un condannato in stato di libertà, non ha l’obbligo di effettuare accertamenti ulteriori sulla personalità de richiedente, qualora le risultanze documentali rivelino l’inidoneità della misura richiesta».
L’impugnazione, a fronte di tale apparato motivazionale, spende unicamente argomenti assertivi e apodittici, non atti a scalfire la tenuta logic dell’impugnata ordinanza.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali e – non ricorrendo ipotesi di esonero – al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20 giugno 2024.