Affidamento in Prova: La Pericolosità Sociale Prevale sul Reinserimento Lavorativo
L’ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Settima Penale, del 20 giugno 2024, offre un’importante chiave di lettura sui criteri di concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale. Anche in presenza di elementi positivi come un lavoro stabile e un’abitazione, la valutazione sulla persistente pericolosità sociale del condannato, desunta da precedenti penali, può essere determinante per negare il beneficio. Analizziamo nel dettaglio questa decisione.
I Fatti del Caso: la Richiesta Dopo una Condanna per Rapina
Un soggetto, condannato in via definitiva a due anni e quattro mesi di reclusione per il reato di rapina aggravata, presentava istanza per essere ammesso alla misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale. A sostegno della sua richiesta, la difesa evidenziava la resipiscenza manifestata dal condannato, il possesso di un regolare contratto di affitto e lo svolgimento di un’attività lavorativa stabile. Tuttavia, il Tribunale di Sorveglianza di Roma rigettava l’istanza. Contro tale provvedimento, il difensore proponeva ricorso per Cassazione, lamentando vizi di violazione di legge e una motivazione contraddittoria.
L’Analisi della Cassazione: il Ruolo dell’Affidamento in Prova
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione del Tribunale di Sorveglianza. I giudici di legittimità hanno chiarito che le censure sollevate dalla difesa non erano ammissibili in quella sede, in quanto si trattava di mere “doglianze in fatto”, ovvero critiche alla valutazione del merito compiuta dal giudice precedente, e non di veri e propri vizi di legittimità.
La Prevalenza della Pericolosità Sociale
Il punto centrale della decisione risiede nella valutazione della personalità del condannato. Il Tribunale di Sorveglianza, con un ragionamento ritenuto corretto dalla Cassazione, aveva rilevato l’impossibilità di formulare un giudizio prognostico positivo. Questa impossibilità derivava dalla presenza, a carico del soggetto, di diverse altre condanne e pendenze. Tali elementi, nel loro insieme, delineavano un quadro di “persistente pericolosità sociale”, che ostacolava la concessione del beneficio richiesto. In sostanza, gli elementi positivi (lavoro, casa) non erano sufficienti a superare la prognosi negativa basata sulla carriera criminale del soggetto.
Inammissibilità del Ricorso per Doglianze di Fatto
La Corte ha inoltre ribadito un principio fondamentale del processo di Cassazione: il suo compito non è rivalutare i fatti, ma controllare la corretta applicazione della legge. Le argomentazioni della difesa, incentrate sulla mancata valorizzazione del pentimento o degli aspetti positivi della vita del condannato, sono state considerate una riproposizione di questioni di merito già esaminate e correttamente respinte dal Tribunale di Sorveglianza. Pertanto, il ricorso è stato dichiarato inammissibile.
Le Motivazioni della Decisione
Le motivazioni della Corte si fondano su una netta distinzione tra il giudizio di fatto, di competenza dei giudici di merito, e il giudizio di legittimità, proprio della Cassazione. Il Tribunale di Sorveglianza ha correttamente esercitato il suo potere discrezionale nel valutare la personalità del condannato. Ha considerato tutti gli elementi a disposizione, sia quelli favorevoli (stabilità lavorativa e abitativa) sia quelli sfavorevoli (precedenti penali e carichi pendenti). La conclusione che il quadro generale indicasse una persistente pericolosità sociale, tale da impedire una prognosi favorevole al reinserimento attraverso l’affidamento in prova, è stata ritenuta logica e priva di vizi giuridici. La Cassazione, non potendo entrare nel merito di tale valutazione, ha dovuto confermarne la correttezza formale e giuridica, dichiarando inammissibile l’impugnazione.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza
Questa ordinanza ribadisce che per ottenere l’affidamento in prova non è sufficiente dimostrare di avere un lavoro e una casa. Il giudice deve compiere una valutazione complessiva e prospettica sulla personalità del condannato, la cosiddetta “duplice prognosi”. Deve convincersi non solo che il soggetto non commetterà altri reati, ma anche che la misura alternativa possa effettivamente contribuire alla sua rieducazione. La presenza di un passato criminale significativo può rendere questa prognosi negativa, anche a fronte di recenti progressi nel percorso di reinserimento sociale e lavorativo. La decisione sottolinea l’importanza di presentare istanze ben fondate che non si limitino a elencare elementi positivi, ma che affrontino e cerchino di superare le criticità legate alla storia criminale del richiedente.
Avere un lavoro e una casa è sufficiente per ottenere l’affidamento in prova?
No, secondo questa ordinanza non è sufficiente. Sebbene siano elementi positivi, la presenza di altre condanne e pendenze che delineano un quadro di “persistente pericolosità sociale” può portare al rigetto della richiesta, impedendo una prognosi favorevole.
Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le critiche mosse dal difensore erano “doglianze in fatto”, cioè contestazioni sulla valutazione dei fatti (come la sincerità del pentimento), e non vizi di legittimità (errori nell’applicazione della legge), che sono gli unici esaminabili dalla Corte di Cassazione.
Cosa si intende per prognosi negativa ai fini della concessione del beneficio?
Significa che il giudice, analizzando la storia e la personalità del condannato, non ritiene probabile che questi si asterrà dal commettere altri reati e che la misura alternativa possa avere successo nel suo percorso di rieducazione. In questo caso, la prognosi negativa era basata sulla presenza di diverse condanne e pendenze.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31713 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31713 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 22/02/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato l’istanza presentata da NOME COGNOME, soggetto condannato con sentenza della Corte di appello di Roma del 31/05/2022 (passata in giudicato il 21/03/2023) alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione per il reato di rapina aggravata commesso nel 2021, finalizzata a ottenere l’ammissione all’affidamento in prova al servizio sociale ex art. 47 legge 26 luglio 1975, n. 354.
AVV_NOTAIO, difensore del condannato, ha impugnato tale provvedimento, dolendosi della sussistenza dei vizi di violazione di legge, in riferimento all’art. 47 Ord. pen. e di contraddittorietà e omessa motivazione dell’impugnato provvedimento.
La difesa sostiene non esser stata adeguatamente valutata la resipiscenza manifestata dal condannato, come emergente dagli atti redatti dall’equipe della Casa circondariale di Frosinone; trattasi, peraltro, di un soggetto che ha un regolare contratto di affitto e che è stabilmente occupato sotto il profilo lavorativo
Trattasi di censure non consentite in sede di legittimità, in quanto costituite da mere doglianze versate in fatto. Dette critiche, altresì, sono pedissequamente riproduttive di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi – secondo un corretto argomentare giuridico, privo di vizi logici e contraddittorietà – dal Tribunale dì sorveglianza di Roma.
Invero, nell’impugnato provvedimento si rileva la attuale impossibilità di giungere alla formulazione di un giudizio positivo, in ordine al superamento della duplice prognosi da effettuare in vista della concessione dell’invocato beneficio, in considerazione della presenza – a carico del condannato – di diverse condanne e pendenze, cosi delineandosi un quadro di persistente pericolosità sociale.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ipotesi di esonero – al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20 giugno 2024.