Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 29621 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 29621 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il 28/09/1997
avverso l’ordinanza del 26/02/2025 del TRIB. SORVEGLIANZA di MILANO udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME letternerrtite le conclusioni del PG
Letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Milano ha rigettato la richiesta di affidamento in prova al servizio sociale, formulata nell’interesse di NOME COGNOME in relazione all’espiazione della pena residua di cui al cumulo emesso dal P.m. presso il Tribunale di Milano in data 23 gennaio 2023.
Avverso detta ordinanza propone ricorso per cassazione COGNOME, tramite il proprio difensore di fiducia.
2.1. Col primo motivo di impugnazione deduce vizio di motivazione per la mancata consequenzialità tra premessa e motivazione.
Si duole che, benché COGNOME abbia trovato un lavoro, recuperato il rapporto con i genitori e tenuto una buona condotta in carcere, l’istanza sia stata rigettata.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso viene denunciato vizio di motivazione per il mancato esame di fatti più recenti di quelli indicati nell’ordinanza.
Rileva la difesa che nella motivazione dell’ordinanza, nell’affermare che il domicilio non sarebbe idoneo in quanto coincidente con quello dei genitori, non si tiene conto della remissione di querela del padre per il sincero pentimento dimostrato dal figlio dopo i fatti denunciati.
2.3. Col terzo motivo di impugnazione viene rilevata mancanza di motivazione per carenza di riferimenti concreti sul problema dell’abuso di bevande alcoliche per la risoluzione del quale il detenuto non si sarebbe attivato.
La difesa insiste per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
Ai fini della concessione di una misura alternativa alla detenzione non è sufficiente l’assenza di indicazioni negative, quali il mancato superamento dei limiti massimi, fissati per legge, della pena da scontare e l’assenza di reati ostativi, ma occorre che risultino elementi positivi, che consentano un giudizio prognostico favorevole della prova (quanto in particolare all’affidamento in prova) e di prevenzione del pericolo di recidiva. Tali considerazioni, peraltro, devono essere
inquadrate alla luce del più generale principio per il quale l’opportunità del trattamento alternativo non può prescindere dall’esistenza di un serio processo, già avviato, di revisione critica del passato delinquenziale e di risocializzazione che va motivatamente escluso attraverso il riferimento a dati fattuali obiettivamente certi -, oltre che dalla concreta praticabilità del beneficio stesso, essendo ovvio che la facoltà di ammettere a una misura alternativa presuppone la verifica dell’esistenza dei presupposti relativi all’emenda del soggetto e alle finalità rieducative. Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, inoltre, il giudice, pur non potendo prescindere, nella valutazione dei presupposti per la concessione di una misura alternativa, dalla tipologia e gravità dei reati commessi, deve, tuttavia, avere soprattutto riguardo al comportamento e alla situazione del soggetto dopo i fatti per cui è stata inflitta la condanna in esecuzione, onde verificare concretamente se vi siano o meno i sintomi di una positiva evoluzione della sua personalità e condizioni che rendano possibile il reinserimento sociale attraverso la richiesta misura alternativa (Sez. 1 n. 20469 del 23/04/2014, COGNOME, e Sez. 1, n. 17021 del 09/01/15, Nucera).
Orbene, l’ordinanza impugnata fa corretta applicazione di detti principi, lungi dal dar vita ad una motivazione viziata, come lamentato dalla difesa.
Invero, svolge una valutazione analitica, con un certo livello di approfondimento, della personalità complessa di COGNOME.
In una situazione ricca di aspetti contraddittori il Tribunale di sorveglianza dimostra di farsi carico di questa complessità e opta per una valutazione cauta e prudente orientata a privilegiare le perplessità circa l’idoneità della soluzione costruita intorno all’immediato rientro nel nucleo familiare senza specifici supporti comunitari.
L’ordinanza impugnata, invero, dà atto del fatto che il condannato è in espiazione della pena per due tentate rapine aggravate commesse nel 2018, ha due recenti pendenze per violenza e/o minaccia e resistenza a pubblico ufficiale e risulta che nel dicembre 2024 ha avuto un avviso di conclusione delle indagini preliminari per lesioni aggravate ai danni della ex fidanzata.
Rileva, altresì, che dalla relazione comportamentale trasmessa dalla Casa circondariale di Busto Arsizio si apprende che il detenuto mantiene una condotta regolare e partecipa attivamente a varie attività trattamentali, relazionandosi in modo adeguato con gli operatori penitenziari e i compagni di detenzione, mostrandosi, altresì, collaborativo con l’esperto ex art. 80 Ord. pen.
Evidenzia il Tribunale di sorveglianza che il detenuto riconosce in modo critico l’importanza di proseguire in un percorso di sostegno psicologico, volto a implementare le proprie risorse e lavorare sui suoi tratti disfunzionali. Aggiunge
che in modo critico riconosce e apprezza il gesto del padre che, rivolgendosi alle forze dell’ordine, lo ha aiutato in modo duro a capire gli sbagli che stava commettendo e perpetrando nel tempo; e che riconosce, inoltre, come il periodo trascorso in carcere sia stato per lui funzionale per comprendere, in termini sia cognitivi che emotivi, quanto fosse disadattivo il proprio stile di vita e al contempo comprendere la gravità delle azioni antigiuridiche da lui commesse. Osserva che il detenuto, vissuto in un orfanotrofio in Ucraina fino all’età di sei anni, venendo poi adottato, riconosce di avere sempre avuto un carattere irrequieto e di avere fatto diventare il divertimento e lo sperpero di denaro il suo interesse primario fin dall’adolescenza, facendo uso eccessivo di alcol che di sovente ha agevolato una modalità di comportamento aggressiva. Aggiunge, sempre l’ordinanza, che rispetto al motivo per cui si trova ristretto, COGNOME riconosce le proprie responsabilità e adotta un atteggiamento critico; e che ha, inoltre, una capacità di riconoscimento del danno causato alle vittime. Afferma, quindi; in conclusione, che, ad oggi, considerata l’adesione al percorso trattamentale individualizzato e rilevata una maggiore consapevolezza nel soggetto dei propri agiti devianti, non vi sono elementi ostativi alla concessione del beneficio richiesto.
E, ciò nonostante, il Tribunale di sorveglianza ritiene allo stato insussistenti i presupposti per formulare una prognosi positiva in ordine all’ampia misura richiesta e condivisibili gli argomenti che hanno portato il Magistrato di sorveglianza a respingere l’istanza in via provvisoria.
Osserva che, pur valutato il buon percorso avviato da COGNOME in carcere e la disponibilità di una valida opportunità lavorativa, non possono certamente essere trascurati -oltre ai procedimenti pendenti e alle segnalazioni in banca dati – i gravi fatti accaduti in tempi recenti in ambito familiare, che hanno richiesto l’intervento delle forze dell’ordine e per i quali i genitori del condannato hanno sporto denuncia nei confronti dello stesso, fatti, questi, che rendono secondo i Giudici della sorveglianza assolutamente inidoneo allo stato il domicilio indicato. Sottolineano, invero, detti Giudici che occorre procedere con cautela, visto anche il recente ingresso in carcere, con un ulteriore congruo periodo di osservazione, durante il quale COGNOME, con l’ausilio degli operatori del trattamento, avrà modo di continuare il proprio percorso di riflessione sui propri agiti devianti e di lavorare sulle propri fragilità, essendo emersa anche una problematica di abuso di sostanze alcoliche (rispetto alla quale non vi sono prove che sia stata definitivamente risolta o che vi sia intenzione di intraprendere un serio percorso di cura); e che, al contempo, sia necessario approfondire l’attuale situazione socio-familiare del soggetto e valutare la possibilità di inserirlo in un contesto maggiormente contenitivo e “protettivo” come quello di una Comunità.
Quindi, il Tribunale di sorveglianza di Milano, da un lato, lega, per quanto analiticamente osservato, l’apertura al supporto comunitario, ritenendo, in modo non manifestamente illogico, emergere con adeguata univocità la sussistenza di un quadro di dipendenze incompatibile con l’ordinario affidamento in prova svolto presso l’abitazione dei genitori. E, dall’altro, non esclude una prospettiva favorevole, ma ritiene che essa debba essere affermata sulla base di elementi più concreti e soppesati all’esito di una specifica relazione socio-familiare, che allo stato sembra comunque mancare, nonostante l’elevato approfondimento evidenziato dalla relazione comportamentale. Quindi, pur rilevando contraddizioni oggettivamente esistenti circa gli elementi da valutare, perviene ad una decisione argomentata in modo coerente, che non esclude affatto che in futuro la misura verrà concessa, ma la ritiene, allo stato, non adeguata e, quindi, pericolosa rispetto alla rieducazione e risocializzazione del condannato.
Di contro, il ricorso si rivela infondato.
Laddove insiste sul fatto che, nonostante il recupero del rapporto con i genitori, la remissione della querela da parte del padre e la sussistenza di un’opportunità lavorativa, la misura sia stata rigettata, senza considerare che non è affatto contraddittorio ritenere che, anche a fronte di remissione di querela, vi possano essere problemi di convivenza con i genitori e, comunque, senza menzionare il riferimento dell’ordinanza alle recenti lesioni all’ex fidanzata. Ovvero laddove, in modo assolutamente generico e non autosufficiente, lamenta il riferimento dell’ordinanza a problemi di alcolismo senza specificazione della fonte, quando emerge in modo del tutto evidente dalla relazione che ad essi si sia riferito il condannato.
Al rigetto consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Vedendo il provvedimento oggetto di esame sulla condizione di alcoldipendente del condannato, va disposto l’oscuramento come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d. Igs. 196/03 in quanto imposto dalla
legge.
Così deciso in Roma, il 4 giugno 2025.