Affidamento in Prova Rifiutato: Quando il Passato e il Contesto Sociale Contano
L’affidamento in prova ai servizi sociali rappresenta uno strumento fondamentale nel nostro ordinamento per favorire il reinserimento sociale del condannato, offrendo un’alternativa concreta al carcere. Tuttavia, la sua concessione non è automatica ed è subordinata a una valutazione approfondita da parte del giudice. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce quali elementi possono legittimamente portare a un diniego, anche a fronte di un percorso di volontariato proposto dal condannato.
I Fatti del Caso
Un individuo, condannato a una pena detentiva, presentava istanza al Tribunale di Sorveglianza per ottenere la misura alternativa dell’affidamento in prova. Il Tribunale, tuttavia, rigettava la richiesta, disponendo al suo posto la meno favorevole misura della detenzione domiciliare. 
La decisione del Tribunale si basava su una serie di elementi negativi: le condotte criminose pregresse del soggetto, la pendenza di altri procedimenti penali, l’assenza di un’attività lavorativa stabile e, non da ultimo, alcune informazioni ricevute dai Carabinieri. Queste ultime segnalavano la presenza di persone con precedenti penali all’interno dell’associazione di volontariato presso cui il condannato intendeva svolgere la sua attività. Ritenendo la motivazione del Tribunale viziata e basata su clausole di stile, la difesa presentava ricorso in Cassazione.
La Valutazione della Cassazione sull’Affidamento in Prova
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, quindi, inammissibile. Secondo i giudici supremi, le censure mosse dalla difesa erano generiche e non coglievano la sostanza della decisione del Tribunale di Sorveglianza. La Suprema Corte ha sottolineato che la valutazione del giudice di merito non era affatto basata su formule vuote, ma su un’analisi concreta e complessiva della situazione personale e sociale del condannato.
Le Motivazioni
La motivazione della Cassazione si fonda sulla validità del ragionamento seguito dal Tribunale di Sorveglianza. Quest’ultimo ha compiuto una valutazione prognostica negativa sulla possibilità di un efficace percorso di reinserimento attraverso l’affidamento in prova, basandosi su elementi specifici e non astratti. 
Gli elementi considerati decisivi sono stati:
1.  Le Condotte Criminose Pregresse: Il passato criminale del soggetto è stato un fattore rilevante per valutare la sua attuale affidabilità.
2.  Le Pendenze Giudiziarie: La presenza di ulteriori procedimenti penali in corso è stata interpretata come un indice di persistente inclinazione a delinquere.
3.  Il Contesto Sociale: Le informazioni relative all’associazione di volontariato, che includeva al suo interno altri soggetti con precedenti, hanno fatto dubitare dell’idoneità di tale ambiente a favorire un percorso di legalità.
4.  L’Assenza di Lavoro: La mancanza di un’occupazione lavorativa è stata vista come un ulteriore fattore di instabilità che avrebbe potuto compromettere il successo della misura.
La Corte ha quindi concluso che l’insieme di questi fattori giustificava pienamente la scelta di negare l’affidamento in prova e di optare per la detenzione domiciliare, una misura che, pur essendo alternativa al carcere, garantisce un controllo più stringente.
Le Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un principio cruciale: la concessione delle misure alternative alla detenzione richiede una valutazione globale e concreta del caso. Un giudice può legittimamente negare l’affidamento in prova quando, dall’analisi del passato criminale, della situazione attuale e del contesto sociale di riferimento, emergono elementi che rendono la prognosi di reinserimento sfavorevole. La sola proposta di un’attività di volontariato non è sufficiente a superare un quadro complessivo che presenta significative criticità.
 
Quali fattori possono portare un giudice a negare l’affidamento in prova?
Un giudice può negare l’affidamento in prova basandosi su una valutazione complessiva del condannato, che include le sue precedenti condotte criminose, la pendenza di altri procedimenti penali, l’assenza di un’attività lavorativa e informazioni negative sul contesto sociale in cui si inserirebbe, come un’associazione di volontariato frequentata da altri pregiudicati.
Una motivazione che elenca diversi elementi negativi è considerata una ‘clausola di stile’?
No. Secondo la Corte di Cassazione, quando un giudice basa la sua decisione su elementi specifici e concreti (come precedenti penali, pendenze giudiziarie, assenza di lavoro), la motivazione è valida e non costituisce una mera ‘clausola di stile’, anche se tali elementi sono spesso usati in casi simili.
Cosa succede se il ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando la Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, come stabilito dall’art. 616 del codice di procedura penale. Nel caso specifico, la somma è stata fissata in tremila euro.
 
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6699 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 6699  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 21/09/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di PERUGIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
Ritenuto che le censure dedotte nel ricorso di NOME COGNOME – nel quale il difensore si duole dell’inosservanza di legge e del vizio di motivazione per aver il Tribunale di sorveglianza di Perugia concesso la misura alternativa della detenzione domiciliare in luogo dell’affidamento in prova – sono manifestamente infondate.
Invero, il Tribunale di sorveglianza di Perugia nel rigettare la richiesta di affidamento in prova, fa leva sulle condotte criminose tenute dal condannato, sulle pendenze di ulteriori procedimenti penali, sulle informazioni rese dai Carabinieri della Stazione di Cosenza (circa la presenza di pregiudicati nel Consiglio dell’Associazione RAGIONE_SOCIALE presso la quale il condannato intenderebbe svolgere l’attività), nonché sull’assenza di un’attività lavorativa.
Rilevato, pertanto, che il ricorso – che lamenta l’utilizzo di mere clausole di stile – deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2024.