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Affidamento in prova: l’onere della prova del giudice

Un condannato si è visto negare la richiesta di affidamento in prova da scontare in Germania, suo paese di cittadinanza, per non aver fornito alcuni documenti esteri. La Corte di Cassazione ha annullato la decisione, stabilendo un principio fondamentale: il Tribunale di sorveglianza ha il dovere di acquisire d’ufficio le informazioni necessarie, anche attivando i canali di cooperazione giudiziaria internazionale. La valutazione per l’affidamento in prova non può basarsi solo su un singolo elemento, come la prova del lavoro, ma deve considerare l’intero percorso rieducativo della persona.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in prova all’estero: il Giudice non può imporre oneri probatori eccessivi

L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta uno strumento fondamentale per la rieducazione del condannato, come previsto dalla Costituzione. Ma cosa succede quando questa misura deve essere eseguita all’estero? A chi spetta l’onere di reperire la documentazione necessaria? Con la sentenza n. 16467/2025, la Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento cruciale: il Tribunale di sorveglianza ha un ruolo attivo e non può limitarsi a negare il beneficio a causa di difficoltà burocratiche, anche internazionali.

I fatti del caso

Un cittadino condannato in Italia aveva presentato istanza per l’affidamento in prova al servizio sociale, chiedendo di poter eseguire la misura in Germania, suo paese di cittadinanza. Il Tribunale di sorveglianza di Catanzaro aveva respinto la richiesta, motivando il diniego con il mancato assolvimento, da parte del richiedente, di un onere probatorio specifico: la produzione del certificato penale tedesco, di un certificato di buona condotta e di documentazione relativa all’attività lavorativa svolta all’estero, il tutto tradotto in italiano.

Il condannato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la documentazione sull’attività lavorativa era già stata allegata e che, in ogni caso, spetta al Tribunale di sorveglianza il potere-dovere di istruire d’ufficio il procedimento, acquisendo le informazioni necessarie. Inoltre, il ricorrente lamentava che la decisione si fosse concentrata unicamente sulla questione lavorativa, senza procedere a una valutazione complessiva e di sintesi del suo percorso di vita successivo al reato.

I poteri istruttori del Giudice e l’affidamento in prova

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso fondato, accogliendo le tesi difensive. I giudici supremi hanno ribadito che la valutazione per la concessione dell’affidamento in prova deve concentrarsi sull’evoluzione della personalità del condannato e sulla prospettiva di un suo reinserimento sociale. In quest’ottica, il giudice non è un mero spettatore passivo.

Secondo l’articolo 666, comma 5, del codice di procedura penale, richiamato anche per il procedimento di sorveglianza, il giudice ha il potere di assumere informazioni d’ufficio. Questo significa che, di fronte a un’allegazione specifica del richiedente (come quella sulla sua attività lavorativa in Germania), il Tribunale avrebbe dovuto e potuto svolgere una propria istruttoria per verificarla. Le eventuali difficoltà legate al reperimento di documenti in territorio estero non possono tradursi in un onere insormontabile per il condannato, ma devono essere superate attivando i canali di cooperazione giudiziaria internazionale.

La necessità di una valutazione globale

Un altro punto cruciale della sentenza riguarda l’approccio alla valutazione. La disponibilità di un lavoro è certamente un elemento importante, ma non è l’unico né sempre il più decisivo. Il requisito può essere surrogato dall’impegno in altre attività, anche di volontariato, che siano utili alla reintegrazione sociale.

La Cassazione ha criticato la decisione del Tribunale di sorveglianza proprio perché era “interamente focalizzata su detto presupposto lavorativo” e “priva di una visione d’insieme sul percorso di vita del condannato, successivo ai fatti di reato”. La valutazione deve essere completa, esaustiva e logica, prendendo in considerazione tutti gli elementi a disposizione per formulare una prognosi sulla rieducazione e sulla prevenzione della recidiva.

Le motivazioni

La Corte Suprema ha annullato l’ordinanza impugnata perché viziata sotto un duplice profilo. In primo luogo, il Tribunale di sorveglianza ha ignorato il suo dovere di svolgere un’istruttoria autonoma, nonostante il ricorrente avesse fornito specifiche indicazioni sulla sua attività lavorativa in Germania. Le difficoltà nel reperire prove all’estero devono essere superate tramite la cooperazione giudiziaria, non imponendo al condannato “oneri radicalmente condizionanti”. In secondo luogo, la decisione è risultata inadeguatamente motivata perché si è concentrata esclusivamente sulla mancata prova del lavoro, omettendo la necessaria valutazione complessiva del percorso di vita e delle prospettive di reinserimento del condannato, elementi che erano stati indicati e in parte documentati.

Le conclusioni

La sentenza stabilisce un principio di garanzia fondamentale: il giudice della sorveglianza ha un ruolo attivo e inquirente. Non può rigettare una richiesta di misura alternativa scaricando sul condannato oneri probatori eccessivi o di difficile adempimento, specialmente in contesti internazionali. La decisione sull’affidamento in prova deve scaturire da una visione d’insieme, equilibrata e completa, che tenga conto di tutti gli aspetti della vita del condannato successivi al reato, in linea con la finalità rieducativa della pena. Il caso è stato quindi rinviato al Tribunale di sorveglianza di Catanzaro per un nuovo giudizio che dovrà attenersi a questi importanti principi.

A chi spetta l’onere di raccogliere la documentazione per un affidamento in prova da svolgersi all’estero?
Secondo la Corte di Cassazione, il Tribunale di sorveglianza ha il potere-dovere di acquisire d’ufficio le informazioni necessarie. Non può imporre al richiedente oneri probatori eccessivamente gravosi, ma deve attivarsi, se necessario, tramite i canali di cooperazione giudiziaria internazionale per reperire la documentazione.

Avere un lavoro è un requisito obbligatorio per ottenere l’affidamento in prova?
No, non è un requisito assoluto. Sebbene la disponibilità di un lavoro sia un elemento importante per una valutazione favorevole, la sua assenza può essere compensata dall’impegno del condannato in altre attività, come il volontariato, che siano comunque utili al suo percorso di reintegrazione sociale.

Su cosa deve basarsi la decisione del Tribunale di sorveglianza per concedere o negare l’affidamento in prova?
La decisione deve basarsi su una valutazione complessiva e di sintesi del percorso del condannato successivo al reato. Il giudice non può focalizzarsi su un singolo aspetto (come la prova del lavoro), ma deve considerare tutti gli elementi disponibili per formulare una prognosi sull’idoneità della misura a contribuire alla rieducazione e a prevenire il pericolo di ricaduta nel reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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