Affidamento in Prova: Quando la Cassazione non può riesaminare il merito
L’ordinanza in esame offre un importante chiarimento sui limiti del ricorso in Cassazione in materia di misure alternative alla detenzione, in particolare per l’affidamento in prova ai servizi sociali. La Suprema Corte ha ribadito un principio fondamentale: il suo giudizio è di legittimità, non di merito. Questo significa che non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice che ha esaminato i fatti, a meno che la motivazione di quest’ultimo non sia palesemente illogica o contraddittoria. Analizziamo la vicenda per comprendere meglio la portata di questa decisione.
I Fatti del Caso
Un soggetto, condannato con sentenza definitiva a una pena di sei mesi di reclusione per il reato di truffa, presentava al Tribunale di Sorveglianza un’istanza per ottenere una misura alternativa alla detenzione, chiedendo l’affidamento in prova ai servizi sociali o, in subordine, la detenzione domiciliare. Il Tribunale di Sorveglianza, tuttavia, rigettava entrambe le richieste. La decisione si basava su una valutazione complessiva della personalità del condannato, desunta dai suoi precedenti penali e dalla sua condotta di vita, ritenuta ‘non tranquillizzante’ in un’ottica di risocializzazione.
Il Ricorso per Cassazione e le Doglianze del Ricorrente
Contro l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza, il condannato proponeva ricorso per cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione. Secondo la difesa, la valutazione del giudice di merito era stata lacunosa, in particolare per non aver considerato l’assenza di contatti del proprio assistito con organizzazioni criminali. Il ricorso mirava, in sostanza, a ottenere una riconsiderazione degli elementi di fatto che, a parere della difesa, avrebbero dovuto condurre a una decisione favorevole alla concessione dei benefici richiesti.
Le Motivazioni della Cassazione e i limiti all’affidamento in prova
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo motivazioni chiare e in linea con il suo consolidato orientamento. La Suprema Corte ha innanzitutto qualificato le censure del ricorrente come ‘mere doglianze versate in fatto’, ovvero tentativi di ottenere un nuovo giudizio sul merito della vicenda, attività preclusa in sede di legittimità.
Il punto centrale della decisione risiede nel riconoscimento del potere discrezionale del giudice di sorveglianza. Questo giudice, nell’esaminare una richiesta di affidamento in prova, non si limita a una verifica formale, ma compie una valutazione prognostica complessa sulla personalità del condannato e sulle sue possibilità di reinserimento sociale. In questo caso, il Tribunale di Sorveglianza aveva motivato il proprio diniego in modo completo e non manifestamente illogico, sottolineando come i precedenti penali e la condotta di vita del soggetto fossero ‘fattori atti a imporre cautela’.
La Cassazione ha quindi affermato che, a fronte di una motivazione coerente e priva di vizi logici evidenti, non le è consentito sindacare la scelta discrezionale del giudice di merito, neanche se una diversa valutazione degli stessi elementi fosse stata astrattamente possibile. Il ricorso è stato pertanto respinto, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Conclusioni: il Potere Discrezionale del Giudice di Sorveglianza
Questa pronuncia ribadisce con forza la distinzione tra giudizio di merito e giudizio di legittimità. Chi intende ricorrere in Cassazione contro un diniego di misure alternative non può limitarsi a contestare la valutazione dei fatti compiuta dal giudice (ad esempio, sostenendo che il proprio passato non è così grave), ma deve dimostrare un vero e proprio errore di diritto o un’irragionevolezza manifesta nel percorso logico seguito dal giudice. L’ordinanza conferma l’ampia discrezionalità del Tribunale di Sorveglianza nel valutare la personalità del condannato ai fini della concessione dei benefici penitenziari, una valutazione che, se correttamente motivata, risulta difficilmente censurabile in sede di legittimità.
Quali sono i limiti di un ricorso in Cassazione contro il diniego di misure alternative?
Il ricorso in Cassazione può basarsi solo su questioni di legittimità (errori di diritto o vizi logici manifesti della motivazione), ma non può chiedere un riesame dei fatti o della valutazione discrezionale del giudice di merito, se questa è adeguatamente motivata.
Un giudice può negare l’affidamento in prova basandosi sulla ‘condotta di vita’ del condannato?
Sì, il giudice di sorveglianza, nell’esercizio del suo potere discrezionale, può considerare i procedimenti penali a carico del condannato e la sua condotta di vita complessiva come fattori che suggeriscono cautela e che possono portare a una prognosi sfavorevole sul percorso di risocializzazione, giustificando così il diniego del beneficio.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come stabilito dall’art. 616 del codice di procedura penale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 33919 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 33919 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 01/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 04/04/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di PERUGIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Perugia ha rigettato le istanze di affidamento in prova e di detenzione domiciliare, presentate da NOME COGNOME, soggetto in attesa di esecuzione della pena di mesi sei di reclusione, di cui alla sentenza del Tribunale di Terni del 24/03/2021, conseguente alla commissione del reato di truffa.
Ricorre per cassazione l’interessato, a mezzo del difensore AVV_NOTAIO, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen., in relazione all’art. 47 legge 26 lug 1975, n. 354, stante la natura lacunosa della valutazione sussunta nell’ordinanza impugnata e l’omessa considerazione dell’assenza di contatti del condannato con qualsivoglia organizzazione criminale; errato sarebbe – in ipotesi difensiva – anche il giudizio che sorregge la decisione reiettiva, riferita alla invocata detenzio domiciliare.
Vengono anzitutto articolate censure non consentite in sede di legittimità, in quanto costituite da mere doglianze versate in fatto e non scandite da specifica critica del complesso delle argomentazioni poste a base dell’ordinanza, che ha motivato il rigetto compiutamente, oltre che in maniera non manifestamente illogica o contraddittoria.
Invero, il giudice a quo, nell’esercizio del potere discrezionale di cui è titolare (Sez. 1, n. 8712 del 08/02/2012, Tanzi, Rv. 252921-01), ha sottolineato come i procedimenti penali a carico del condannato e la natura non tranquillizzante – in prospettiva risocializzante – della condotta di vita dallo stesso tenuta, siano fatto atti a imporre cautela, in sede di concessione degli invocati benefici.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ravvisandosi ipotesi di esonero – al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento d spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa d ammende.
Così deciso in Roma, 01 luglio 2024
Il Consigliere estens re
GLYPH
Il Presidente