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Affidamento in prova: lavoro non indispensabile

La Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza di un Tribunale di Sorveglianza che negava l’affidamento in prova a un detenuto per la mancanza di un’attività lavorativa già avviata. La Suprema Corte ha ribadito che il lavoro non è un requisito indispensabile per la concessione della misura, ma solo uno degli elementi da considerare. La valutazione deve essere complessiva, tenendo conto del percorso di revisione critica del condannato e dei suoi sforzi per il reinserimento sociale, anche se un impiego non si è ancora concretizzato per cause esterne.

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Pubblicato il 15 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in Prova: Lavoro non Indispensabile per la Concessione

Con la sentenza n. 33635/2024, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sui requisiti per l’affidamento in prova al servizio sociale, chiarendo un principio fondamentale: la mancanza di un’occupazione lavorativa stabile e già avviata non costituisce, di per sé, un ostacolo insormontabile per ottenere questa misura alternativa alla detenzione. La valutazione del giudice deve essere globale e incentrata sul percorso di reinserimento del condannato.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dalla decisione del Tribunale di Sorveglianza di Brescia, che aveva respinto la richiesta di affidamento in prova presentata da un detenuto. Il Tribunale, pur concedendo provvisoriamente la misura più restrittiva della semilibertà, aveva motivato il diniego sulla base dell’incertezza della prospettiva lavorativa del richiedente.

Nello specifico, un’azienda si era dichiarata disponibile ad assumerlo, ma l’assunzione non si era ancora formalizzata a causa di un ritardo burocratico: la casa circondariale non aveva ancora trasmesso la documentazione sanitaria richiesta dal medico competente dell’azienda. Il detenuto, ritenendo la decisione illogica e contraddittoria, ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che il Tribunale non avesse adeguatamente considerato il suo comportamento corretto in carcere, la partecipazione a programmi formativi e la sua volontà di intraprendere un percorso terapeutico.

La Valutazione del Tribunale di Sorveglianza

Il Tribunale di Sorveglianza aveva fondato la sua decisione quasi esclusivamente sulla mancanza di un’attività lavorativa già in essere. Secondo i giudici, questa “incertezza” rendeva prematura la concessione di una misura ampia come l’affidamento in prova, ritenendo che mancassero le “risorse esterne idonee a sorreggerla”. In sostanza, la mancanza del lavoro è stata vista come un elemento ostativo preponderante, capace di assorbire ogni altra valutazione positiva sul percorso del condannato.

La Posizione della Cassazione sull’Affidamento in Prova

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando la decisione e rinviando il caso a un nuovo esame. I giudici di legittimità hanno evidenziato come la motivazione del Tribunale fosse viziata da contraddittorietà e da un’errata applicazione della legge.

Il punto centrale della sentenza è che lo svolgimento di un’attività lavorativa, sebbene rappresenti un importante strumento di reinserimento sociale, è solo uno degli elementi da considerare nel giudizio prognostico. La giurisprudenza consolidata, richiamata dalla Corte, ha costantemente affermato che la sussistenza di un lavoro già disponibile non è una condizione necessaria per la concessione dell’affidamento in prova.

Le motivazioni

La Corte ha spiegato che la finalità dell’affidamento in prova, secondo l’art. 47 della Legge n. 354/1975, è quella di contribuire alla rieducazione del reo e prevenire il pericolo che commetta altri reati. Per raggiungere questo obiettivo, non è richiesta la prova di una completa revisione critica del proprio passato, ma è sufficiente che un tale processo sia stato almeno avviato. La valutazione del giudice deve essere olistica, basata sui risultati del trattamento individualizzato, sulla condotta tenuta e sui comportamenti attuali. Il provvedimento impugnato è stato ritenuto carente proprio perché non si è confrontato adeguatamente con le risultanze positive dell’osservazione del detenuto, come l’adesione alle attività trattamentali e culturali e la manifestata volontà di recupero. Inoltre, il Tribunale ha valorizzato in senso negativo un fatto – la mancata assunzione – dovuto a motivi del tutto indipendenti dalla volontà del detenuto, anziché attribuire un significato positivo alla circostanza che egli si fosse attivato con successo per trovare un’occupazione.

Le conclusioni

In conclusione, la sentenza stabilisce che il giudice di sorveglianza non può negare l’affidamento in prova basandosi esclusivamente sulla mancanza attuale di un lavoro. Deve, invece, effettuare un esame completo di tutti gli elementi a disposizione, valorizzando i progressi compiuti dal condannato nel suo percorso di reinserimento sociale. L’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza è stata annullata con rinvio, affinché la richiesta del detenuto venga riesaminata alla luce dei principi affermati dalla Corte, che privilegiano una valutazione sostanziale e non meramente formale del percorso rieducativo.

È necessario avere già un lavoro per ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che la sussistenza di un lavoro già disponibile non è un requisito necessario per la concessione della misura.

Cosa deve valutare il giudice per concedere l’affidamento in prova?
Il giudice deve compiere una valutazione complessiva della personalità del condannato, considerando il suo comportamento, la partecipazione a programmi di trattamento, la revisione critica del proprio passato e il percorso di recupero sociale avviato, al fine di formulare un giudizio prognostico favorevole sul suo reinserimento nella società.

Se il mancato inizio di un lavoro dipende da cause esterne al condannato, può questo impedirgli di ottenere l’affidamento in prova?
No. La Corte ha ritenuto contraddittorio e illegittimo penalizzare il condannato per il mancato inizio di un’attività lavorativa dovuto a motivi indipendenti dalla sua volontà. Anzi, l’essersi attivato per trovare un’occupazione è un elemento positivo da valutare favorevolmente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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